Mai
come oggi la situazione politica italiana pare insopportabile e nel contempo
comica, andata oltre un tasso di legittima tolleranza per approdare ad un punto
di non ritorno.
Sono
pessimista, lo sono normalmente nei fatti di ogni giorno e figuriamoci come mi
sento oggi con un Ministro che prima di giurare alla Repubblica si reca presso
un fiumiciattolo per bere l’acqua (santa o solo buona?); mentre il “suo”
Presidente del Consiglio parla di complotto giudiziario…
Vorrei
cercare di ragionare su alcune cose che mi circolano nella testa, alla stregua
di una febbre dispettosa che non vuole andare via ma che rimane costante,
latente, pronta ad uscire fuori al minimo atto di debolezza.
E
non posso fare a meno di interrogarmi.
Perché
è nata Forza Italia?
Perché
gli italiani credono ciecamente a Berlusconi?
Cosa
è cambiato nel paese e quali valori sociali sono stati modificati, o
addirittura soppiantati?
Qualcuno
- la maggioranza, in effetti - potrebbe a ragione sostenere che la sinistra ha
fallito nei propri intenti politici e morali creando quel terreno fertile per
la crescita di nuovi partiti (1), ma mi sembra un po’ troppo semplicistico
evidenziare solo gli sbagli di uno per giustificare la vittoria dell’altro, si
rischia così di “sminuire” l’avversario o – fattore già realizzato – di
sottovalutarlo completamente, ed in questo caso mi è di conforto uno stralcio
del brano tratto dall’intervento pronunciato da Luciano Violante nel 1997,
durante il secondo congresso del P.D.S.
“Il
crollo dei sistemi comunisti ha accelerato la crisi delle grandi idee. Poteva
essere il tramonto della contrapposizione amico – nemico, e l’inizio della
costruzione di nuovi valori civili unanimemente condivisi. Ma non è ancora
così. Ciascuna grande idea esprime il meglio di sé e delle proprie ragioni nel
confronto con l’avversario. Quando l’avversario ha ceduto, di schianto, come è
accaduto appunto ai regimi del blocco sovietico, la cultura europea si è
cullata nella vittoria, si è intorpidita nella sicurezza, sembra aver perso la
capacità di mantenere il primato delle sue idee e dei suoi valori. È toccato a
Giovanni Paolo II mettere in guardia dai rischi di un eccesso di trionfo del
capitalismo per i diritti e le libertà delle persone più deboli, dei Paesi più
poveri” (2).
Quindi,
la sconfitta sociale della sinistra non ha favorito la destra, ma semmai ha
contribuito ad un latente riemergere di valori cattolici.
Ma
cerchiamo di andare con ordine.
Fin
dai primi anni della Repubblica, si cercò di difendere l’unità politica della
Nazione attraverso l’apologia della stessa come valore di unione ideale e
solidarietà collettiva, il tutto supportato da quei valori storici e culturali,
testimonianza lampante di un passato comune.
Scriveva
Carlo Sforza nel 1945: “L’idea di nazione sarà per lungo tempo ancora una delle
forze vive della Storia e non sarà combattendo o denigrando quello che vi è di
nobile, di sano e di fecondo nell’idea di patria che si faciliterà l’avvento di
uno spirito internazionale capace di gettare le basi di un mondo più
fraternamente cristiano. Le nazioni sono non solamente una realtà; esse sono il
retaggio prezioso e il riflesso, brillante riflesso di ciò che ancora oggi
costituisce il più splendido ornamento sentimentale e spirituale dell’Europa”
(3).
Emerge
in maniera chiara come le basi di cui parla lo Sforza siano basi di retaggio
prettamente religioso; si cerca ancora di unificare la Nazione non come ideale
laico, bensì ideale religioso con “sfaccettature” laiche, il tutto in nome di
un ingombrante passato.
Un
sistema politico che nel tempo si rivela sempre più in disfacimento, complice
anche l’abrogazione della proporzionale, unitamente all’adozione del sistema
uninominale senza ballottaggio che ha, di fatto, cancellato il ruolo politico
della Democrazia Cristiana, dal lontano 1946 sempre protagonista assoluta – in
positivo o in negativo, non interessa in questa sede - della politica italiana.
È
chiaro che non solo fattori tecnici, bensì soprattutto fattori sociali
determinarono la rovinosa caduta del partito dei nostri nonni (per quanto ho
saputo dalla mia famiglia si votava D.C. anche solo per abitudine); la caduta
sociale dell’istituto del matrimonio, culminata con la legge sul divorzio; la
stagione del 68 portatrice del “vento laico” unitamente ad una politica sempre
più marcatamente economica.
Con
il sistema uninominale si è di fatto creato un bipolarismo tra due unici
schieramenti, uno di destra ed uno di sinistra con la forte espansione di due
partiti – l’ex M.S.I. nella nuova denominazione di A.N. – ed il P.D.S. – nato
dalla drammatica frattura operata da Achille Occhetto – tutti e due tesi e
finalizzati al raggiungimento del voto moderato, unitamente ad una nuova
verginità politica non più legata a schemi antistorici ed ideologicamente
assolutistici.
Risulta
altrettanto chiaro come tale tipologia politica abbia determinato
essenzialmente un modus operandi
finalizzato al raggiungimento della tanto ambita poltrona, all’interno di un
piano d’azione dove l’alleanza viene finalizzata “solo” alla vittoria
elettorale, ma dopo la vittoria si vedrà…
Esempi
di tale condotta li possiamo rinvenire nella fuoriuscita della Lega dalla prima
maggioranza “berlusconiana” (ma diciamolo a bassa voce visto che ora la Lega è
“amica intima” dell’ imprenditore di Arcore) ma anche nell’imbarazzante
posizione di Rifondazione Comunista in alcune questioni che non starò certo a
ricordare al già annoiato lettore.
E
osservando questi mutamenti, non si può fare a meno di pensare alle parole di
un grande uomo politico come Aldo Moro che, già nel 1959, si augurava una
unione di forze – lui democristiano! – nell’interesse dell’Italia, una “unità
d’azione che non può mutare come non può mutare il modo di ritrovarla,
attraverso il dibattito, l’eguaglianza, la disciplina ed il sacrificio dei
singoli per fare l’unità, perché l’unità del Partito si sacrifichi a sua volta
per il bene ed il progresso del Paese” (4).
Il
sacrificio del partito per l’unità politica del Paese, concetti incredibili
che, nel contempo, avevano già individuato con fermezza e coerenza
intellettuale il nocciolo del problema politico attuale: quell’amore smisurato
per il proprio ego politico che, troppo spesso, determina lo smarrimento dei
valori comuni a vantaggio dell’interesse e del prestigio personale.
Il
partito politico, quindi, come mero centro di potere e non come necessario
momento di incontro propositivo con le altre coalizioni del Paese.
L’ascesa
di Forza Italia avvenne proprio in uno di questi momenti di transizione; il
collasso dell’ancient regime politico
che si consumava sotto i possenti – ma quanto indirizzati? – colpi del
magistrato Di Pietro, la frantumazione del P.C.I. – nel momento del collasso
dei regimi comunisti dell’Europa Orientale -; il drastico ridimensionamento
politico della D.C. che ormai non aveva più un centro dove collocarsi
unitamente all’emersione politica della Lega che rivendicava – sia pure con
toni rozzi e assolutamente non politici - la “libertà” da un presunto sud
ingrato ed approfittatore.
Tutti
questi elementi concorsero alla decisione dell’attuale leader Silvio Berlusconi
di entrare in politica, una politica “attiva” per un manager che, data la
natura istituzionale dei suoi interessi economici, aveva già molti rapporti con
gli esponenti del mondo politico.
Ma
quello di cui Silvio Berlusconi veramente “approfittò” fu il comportamento
politico degli elettori degli ex partiti di governo che, privati dei
destinatari “istituzionali” dei voti, erano disponibilissimi a convergere su
figure nuove ed innovative, ma sempre con uno sguardo al passato e ai “vecchi
insegnamenti”.
La
forza della Croce unita all’insegnamento del mercato libero!
La
sinistra, nel quadro di rinnovamento generale sopra citato, non ha saputo o
forse non ha voluto reagire arroccandosi su posizioni vecchie, non
necessariamente errate, ma sicuramente poco consone al sentire sociale del
momento: in poche parole, antistoriche.
Ha
portato avanti – con presunzione quasi infantile - una “politica di
contenimento”, prontissima a criticare la singola frase dell’avversario, ma
sempre imbarazzata ed impreparata di fronte ad un programma politico, stante
anche l’assenza importante di un piano programmatico di rinnovamento interno,
che si realizzava, al contrario, in un continuo battibecco attuato nei salotti
televisivi o sulle pagine dei quotidiani, in merito alle poltrone ed ai posti
di vertice.
Non
è strano, quindi, che le nuove compagini politiche siano nate con ideali molto
meno politici e molto più pratici, intendendo per pratico un necessario
ricongiungimento con il sentire sociale.
Il
movimento dei Verdi - nato a metà degli anni ottanta con la finalità esclusiva
di salvaguardare l’ambiente dai disastri ecologici provocati da un mondo
industriale sempre più indisciplinato e sempre più vicino ai grandi interessi
economici - si “spinse” anche ad affrontare lo scottante tema del nucleare in
Italia, ritornato prepotentemente alla ribalta dopo l’episodio di Chernobyl del
1985 (5).
Ma
anche nel caso in esame, la natura anomala – e poco organizzata in senso
politico - del movimento costituì il motivo più valido per cercare una alleanza
che permettesse una concreta rappresentanza all’interno della vita politica
italiana, rendendo i Verdi da fenomeno inconsueto – e quanto mai utile – a
semplice pedina smarrita e svuotata, nel tempo, del suo significato
istituzionale.
Discorso
a parte merita il Partito Radicale di Marco Pannella formatosi negli anni
sessanta (6), il cui vero e proprio banco di prova fu la lunga “guerra” per il
divorzio, poi vinta, che mise in crisi la Democrazia Cristiana e rese evidente
il declino dei tradizionali quanto ormai antistorici valori cattolici.
Proprio
tale battaglia delineò il programma politico del Partito Radicale che intendeva
trattare temi di grande visibilità sociale e, attraverso una politica
agguerrita, costringere i partiti politici tradizionali a non tralasciare ed
anzi ad interessarsi di quegli stessi problemi che, solitamente, venivano
“riposti in un cassetto” in attesa di “tempi sociali” propizi.
Ma
anche in questo caso la condotta politica – non sorretta da vertici preparati e
consapevoli – ha portato sulla strada dell’eccesso a tutti i costi, secondo un
disegno paradossalmente sfruttato e propagandato dall’imponente “macchina da
guerra berlusconiana”.
E
soprattutto l’utilizzo speculativo e assolutamente non costruttivo dei
referendum abrogativi ha reso lampante come Pannella abbia sempre più in mente
non un disegno unitario del Paese, bensì un regime di barriera assoluto.
L’ostruzionismo
come base di crescita sociale dell’Italia!
Ma
queste che espongo sono considerazioni tecniche che non possono e non devono
rappresentare l’unico spunto di riflessione all’interno di un piano d’azione
ben più complesso e strutturato.
È
importante anche sottolineare – alla luce soprattutto degli ultimi inquietanti
risultati elettorali – come l’evoluzione sociale, già vista a parere di colui
che scrive nella Germania degli anni venti e nell’Italia del prefascismo, dia
un ruolo da protagonista assoluto al cittadino medio che ha scelto gli ideali
proposti dal Cavaliere all’interno del suo inesistente programma come unica via
d’uscita da una crisi economica che ha, inevitabilmente, riversato i propri
effetti negativi nel mercato del lavoro e nel settore dell’assistenza.
Abilmente
Silvio Berlusconi ha sfruttato le fobie ed i timori di una intera generazione,
calcolando cinicamente i target degli elettori ed approntando per ciascuna
categoria uno show di sicuro effetto, ma non – allo stato delle cose - di
sicura realizzazione.
Per
i giovani ha allestito uno scenario da mille e una notte, creando una visione
dove i posti di lavoro si sprecano, mentre per le generazioni più vecchie sono
già pronte pensioni più alte; gli imprenditori godranno di sgravi fiscali
inimmaginabili, ed è così che tutti saranno grati al “buon papà” che li ha
liberati dal giogo della morsa comunista, rea di aver tentato di creare un
regime di non libertà economica e sociale, tarpando le ali a tanti giovani di
buona volontà che non aspettano altro che contare il primo miliardo in una
banca rigorosamente estera.
D’altro
canto, proprio nelle ultime elezioni, la sinistra – pur sempre dilaniata da
sterili contrasti interni (7) – ha però mostrato una doverosa quanto necessaria
prudenza, esprimendo la volontà di mettersi alacremente al lavoro: 1) per fare
scomparire elementi antistorici dalla preistorica macchina amministrativa (8)
2) per dare maggiore assistenza alle classi socialmente ed economicamente più
deboli.
Mi
è parso di intravedere – ma è solo una impressione – un piano d’azione permeato
da una grande umiltà e senso di realtà; principi che trovano la propria essenza
ed attuazione nelle verità economiche ed europee, poco facili da “corrompere”,
proprio perché rispondenti a criteri “superiori” che coinvolgono molteplici
parti, tutte con interessi ben diversi e altrettanto ben definiti .
Ma
come abbiamo visto tutti, tale realtà è rimasta nel limbo delle buone azioni
pre elettorali, il cittadino italiano ha smesso di credere (sognare) in un
futuro “normale”, dove tutti i cittadini vengono tutelati nei loro diritti
essenziali e primari; ha preferito sognare un futuro perfetto che non esiste e
non esisterà mai, se non nelle ben costruite trame letterarie di abili ed
eminenti scrittori di fiction.
Ha
preferito immaginare il paese dei balocchi trasposto dalle pagine letterarie di
“Pinocchio” alla realtà di tutti i giorni, ha preferito la falsa praticità e
l’accettazione passiva al posto della lotta rigorosamente intellettuale, forse
per esasperazione aprendo il passo ad altri “tipi” di lotta, assolutamente
folli, assolutamente stupidi, assolutamente da condannare.
Un
pensiero – quello sopra esposto – che trova un certo riscontro anche in settori
quali quello sociale e giuridico; basti pensare alla caduta vertiginosa –
all’interno di un target giovane - degli ideali che furono dei nostri genitori
o del rafforzamento giuridico (si intenda tutela dei soggetti e ampliamento
costante del piano d’azione) di istituti – il leasing per esempio - nati
con un movente di puro sostegno economico alle aziende e divenuti, nel corso
degli anni, meri strumenti capitalistici per creare un apparente quanto
fittizio clima di “pace economica” (9).
Ecco
che il sogno, inteso come possibilità di un futuro migliore o almeno più
coerente, si trasforma nella condanna assoluta, nell’impossibilità di decidere
realmente circa il nostro futuro, nell’impossibilità di identificarci non solo
come singole unità, ma anche – o forse soprattutto – come corpo unico: come
cittadinanza italiana ed europea.
Non
che il primo obiettivo non sia importante, anzi; Lorenzo “Jovanotti” Cherubini
in una sua canzone canta con rabbia che bisogna cercare di essere uomo prima di
essere gente, ponendoci indirettamente tutti di fronte ad un bivio, mai così
drammatico come nel momento storico che stiamo attraversando: vivere in maniera
consapevole, o adagiarci sui nostri lussi passeggeri aspettando l’onda che
tutto spazzerà? Adoperarci per un futuro che sia realmente sereno o solo per
una crosta mal dipinta?
Alla
fine, quale potrebbe essere mai il prezzo da pagare?
In
fondo sognare non costa nulla, e forse il prezzo da pagare sono solo cinque
anni in compagnia di un “uomo buono” che continua a sbandierare il luogo comune
dell’imprenditore buono che invita gli operai nella sua villa alle Bermuda, per
sentire se tutto va bene, o se hanno qualche lamentela da esporre.
Il
tutto come da contratto firmato con gli italiani!
(1)
La tesi è stata portata avanti soprattutto da illustri esponenti della stessa
sinistra.
(2)
Il lettore può leggere l’intero testo dell’intervento pronunciato il 22
febbraio 1997 dall’allora Presidente della Camera dei Deputati, On. Luciano
Violante nel libro “La politica e il labirinto”, pasSaggi Bompiani, Milano,
1997.
(3)
Luigi Lotti, I partiti della Repubblica – la politica in Italia dal 1946 al
1997, Le Monnier, Firenze, 1997.
(4)
Senza contare altri illustri tenaci sostenitori del valore della Patria come
fondamento ideale del nuovo Stato repubblicano, tra i quali l’Autore si
permette di citare Alcide De Gasperi che affermava “come la Patria è un bene di
tutti gli italiani che i giovani in modo preminente, sentono debba essere
riaffermato al di sopra di ogni angusta considerazione di interessi di parte”
(Alcide De Gasperi, Discorsi politici). È pur vero che lo stesso politico
utilizzò – sia pure per molti inconsapevolmente – “materiali derivanti da varie
mitologie nazionali” (la definizione è del Prof. Emilio Gentile), ricalcando il
modus operandi fascista di
assimilazione delle tradizioni e dei miti, per affermare – e quindi legittimare
– l’operato politico della Democrazia Cristiana come unica interprete del
destino dell’Italia repubblicana e, altresì, come unica forza politica “degna
erede e continuatrice della sua civiltà millenaria e universale” (Alcide
DeGasperi, Discorsi politici).
(5)
Per la cronaca, in Italia le poche centrali avviate sono state tutte bloccate
dopo il disastro di Chernobyl, peraltro senza ripercussioni energetiche di
sorta, in quanto il proliferare indiscriminato delle centrali atomiche nella
maggior parte dei paesi industrializzati ha comunque abbattuto i prezzi del
petrolio rapidamente ascesi dopo la guerra del Kippur del 1973.
(6)
Ma forse è più giusto dire che il Partito Radicale sorto negli anni sessanta
altro non era che il risultato di una diaspora interna che aveva devastato il
“vecchio” partito formatosi nel 1955 dalla scissione con il P.L.I., ormai
arroccatosi su posizioni politiche apertamente conservatrici.
(7)
Basti pensare alla lotta per la leadership tra Francesco Rutelli e Piero
Fassino.
(8)
Un processo che, per la cronaca, è già iniziato con la cd. Legge Bassanini.
(9)
Per un approfondimento in merito si rimanda il lettore a S. Martello, I
fenomeni del sovraindebitamento e dell’usura – brevi cenni giuridici e riflessioni
sociali, in www.diritto.it/articoli/penale/martello1.html,
2001.
Stefano Martello (1974), giornalista, per
la Rivista Sagarana ha già pubblicato i saggi “Per una cultura popolare ed
istituzionale”, “Per un nuovo servizio civile” e “Per uno stato laico, per una
identità religiosa intima e sincera”.