IL CERCHIO NON È ROTONDO
Federica Casini
– Anankè della violenza, eterno ritorno della storia e conversione romanzesca in “Before the rain” di Milcho Manchevski –
«It
is the time just before rain, the time when the flies bite like kamikaze, when
the birds fly low and the sky hangs overhead black, heavy and expectant, when
all the colors are washed in gray, subdued and intense, yet punched through by
radiant hues.
It's about to burst.
A heavy sense of expectation, of lowering, of time just before something
large overwhelms the picture, the frame, the rhythm, the colors, the light, the
music and the characters.
Still, the story moves fast, faster than words.» (Milcho Manchevski)
Milcho Manchevski
«C'è odore di pioggia» 1, l'odore acuto e inconfondibile che il temporale imminente sprigiona e diffonde sulle cose. Un senso di attesa opprimente, di ancestrale incombenza pervade l'aria, soffocante, carica di pesanti incertezze, che «sa di sangue». Nubi minacciose dominano l'orizzonte, gonfie d'acqua e di cupi presagi. «La gente tace» 2, volge gli occhi verso l'alto ad interrogare un cielo spettrale, plumbeo. Ormai «Sta per piovere». Già i tuoni risuonano in lontananza, avvisaglie inequivocabili della tempesta che si sta abbattendo sui Balcani. Ma «Il tempo non muore», ammonisce enigmaticamente il vecchio monaco ortodosso. Esso non segue i ritmi di una temporalità “storica” impazzita, dove una tartaruga è martirizzata dentro il circolo di fuoco tracciato da bambini sadici. «Il cerchio non è rotondo» continua il padre. Come dire: l'Anankè ineluttabile della violenza, «la caparbietà “retributiva" dell'odio» 3, che pare decretare l'inesorabile ripetersi degli eventi, non è eterna; forse il cerchio fatale non è destinato inevitabilmente a chiudersi….
Un cerchio che non si chiude, un eterno ritorno che non sarà mai uguale a se stesso: Before the rain di Milcho Manchevski è l'illustrazione più compiuta di questo teorema paradossale, il cui senso è racchiuso in una frase magica come un arcano. Nel tempo che precede la pioggia, tempo sospeso e gravido di conseguenze, tre personaggi incrociano drammaticamente i loro destini: una ragazza albanese, accusata di aver ucciso un pastore macedone, inseguita dai parenti del defunto ma assassinata per mano fraterna; il marito di una photoeditor inglese trucidato in un ristorante in seguito ad un'esplosione terroristica di matrice etnico-religiosa; un fotografo di guerra macedone, amante della donna, che torna al paese natale dopo sedici anni, pronto a rischiare la vita per salvare dalla persecuzione dei cugini proprio quella ragazza albanese…
La trama del film di Manchevski, un «racconto in tre parti» ( «parole», «volti», «immagini» ) in cui ogni episodio si incastra col successivo fino a produrre una struttura non cronologica ma circolare, si sviluppa nell'intervallo di tempo che separa gli avvenimenti narrati dall'arrivo della pioggia. Zamira, Nick, Alexander si rincorrono attraverso la loro morte e si ritrovano in un finale tragico in cui si dipana la ragnatela che teneva uniti i fili di quelle vite all'apparenza disparate. Il sangue, accanto all'acqua, bagna in modo indelebile l'opera prima di Manchevski. Il sangue come epifania della violenza, della vendetta («Il sangue chiama sangue»), della morte; ma anche simbolo di riconciliazione e vita.
Film costruito, come racconta il suo autore, attorno ad una «sensazione di angoscia, di nuvole che si addensano nel cielo» 4 provata al suo ritorno in Macedonia («C'era questa sensazione di qualcosa di grave che stava per accadere, qualcosa che incombeva nell'aria» 5) Befor e the rain non è un documentario sul conflitto nei territori della ex Jugoslavia ma una «riflessione sulla guerra». La Macedonia raffigurata nel lungometraggio è infatti un luogo localizzato ma a-geografico, solo accidentalmente situato ai giorni nostri, estraneo ad ogni determinata collocazione spazio-temporale. «In sintonia con l'opzione mitologico-antropologica e il bizzarro meccanismo temporale del film, Manchevski fa una scelta di stile non realistica» 6. La sua terra d'origine diviene teatro di una vicenda fittizia (la guerra di cui il regista narra le efferatezze in realtà non c'è mai stata), 7 dai contorni mitici . E del mito, intriso del sangue delle origini, il film mette in scena la “sapienza” riguardo alle “soluzioni” che gli uomini da sempre forniscono al problema del controllo della violenza: il sapere dell'omicidio fondatore (e della sua interminabile ripetizione nella storia mediante il sacrificio), quando un assassinio riportò per la prima volta la pace sulla comunità in preda al caos autodistruttivo. La tartaruga, animale che non riesce ad abbracciarsi perché fa tutt'uno con una corazza dalla quale ormai non si distingue più 8, incarna il destino dell'uomo e del fragile edificio della cultura umana 9, che va in frantumi non appena la violenza abbatte i precari confini stabiliti dall'ordine sociale e politico. Manchevski non consegna allo spettatore un reportage sulla guerra nei Balcani, non attualizza ma torna indietro nel tempo, sposta o meglio riporta il tema del conflitto alle sue origini per far rivivere «l'evento storicamente fondante il paradigma sacrificale» 10e riflettere sulla logica che soggiace da sempre ad «ogni fronteggiarsi in odio e vendetta di uomo a uomo, di gruppo a gruppo» 11. La storia narrata nel film è al tempo stesso lontana e vicina, senza età, allegoria della tragedia umana di ogni epoca: «Anche se, inevitabilmente tutti lo interpretano come un film di denuncia sulla situazione attuale, io lo considero soprattutto un film simbolico, metaforico. Quello che racconto potrebbe succedere in qualunque parte del mondo» 12 afferma il cineasta.
È il terzo e risolutivo episodio, che si svolge presso una comunità di pastori, a richiamare immediatamente il mito di Caino e Abele 13: «La guerra non è guerra se il fratello non alza il braccio contro il proprio fratello» esclama uno dei personaggi. Paradossalmente, il carattere etnico della violenza (la lotta tra Albanesi e Macedoni) è posto in secondo piano nel film rispetto all'aspetto fratricida del conflitto, che appare il risultato dell'indifferenziazione, dell'assoluta simmetria mimetica tra individui. N on è infatti la “differenza” (nazionale, culturale, linguistica, religiosa) a scatenare l'esplosione dell'aggressività, bensì, come sostiene René Girard ne La Violence et le sacré 14, la perdita delle differenze, dei ruoli (familiari, sociali etc) su cui tradizionalmente si regge la società; in un tessuto di relazioni umane disgregato, non c'è da meravigliarsi se Zamira e Alex saranno uccisi da propri consanguinei (rispettivamente fratelli e cugini) e non dai rivali appartenenti ad altra etnia e religione (Albanesi musulmani)! Al parossismo della crisi che investe il sistema sociale, culturale e politico, tutti appaiono uguali gli uni agli occhi degli altri, privi di connotazioni riconoscibili, “doppi”. Il diffondersi del tema dei fratelli nemici è la manifestazione più eclatante del divenire simili prodotto dalla reciprocità violenta.
Il dilagare dell'indifferenziazione, che si propaga nella piccola realtà come nella grande, a livello nazionale come a livello internazionale, non è che la riproposizione amplificata di questa “legge” apparentemente assurda; l'episodio del ristorante londinese dimostra il carattere globale della violenza mimetica .
Di fronte al contagio (la «guerra è un virus» afferma il veterinario), l'uomo è tenuto, suggerisce il regista, a «prendere posizione» in due modi: rispondere all'odio con altro l'odio («occhio per occhio», la legge del taglione assunta dai cugini di Alex) oppure invertire la logica delle vendette a catena attraverso una dinamica imitativa non violenta (propriamente cristica), quella dell'amore, del perdono (il «porgi l'altra guancia» sostenuta all'inizio del film dal monaco) che spezza l'Anankè del sangue. È la via imboccata da Alexander (che porta il nome di Alessandro il Grande), la cui presa di coscienza è simboleggiata, poco prima della morte, dalla nascita dell'agnello (accostamento diretto a Cristo). Anche il fotografo è coinvolto a pieno titolo nella spirale d'odio che travolge il suo villaggio. In modo del tutto analogo agli eroi romanzeschi descritti da Girard in Mensonge romantique et vérité romanesque 15, è un individuo che ha recitato a lungo la commedia degli errori, è un “vanitoso” di stampo stendhaliano che ha percorso la via dell'inferno mimetico arrivando addirittura a rendersi responsabile in Bosnia dell'uccisione di una vita umana per accaparrarsi uno scoop (la sua macchina fotografica ha «ucciso un uomo») . Come Julien Sorel, Alex è un uomo di bassi natali che ha risalito irresistibilmente la scala sociale. La voglia di primeggiare in un universo dominato dal «desiderio secondo altri» lo ha portato a dividersi, nella vita sentimentale, tra rouge e noir , tra «passione» e «vanità», tra un «amour de tête», “mediato” (la “sposa occidentale” Anne) e un amore giovanile, “spontaneo” (l'umile albanese Ana, madre di Zamira).
Il rientro in patria, l'addio alla vita londinese e ad Anne, la rinuncia alla brillante carriera (che gli è valsa il premio Pulitzer) sono già un primo atto di pentimento nei confronti della precedente esistenza, votata ai falsi idoli dell'ambizione e dell'orgoglio. L'omicidio del prigioniero, la disperata richiesta di aiuto di Ana innescano nell'animo di Alex un doloroso moto di ripensamento interiore («I miei occhi sono cambiati» afferma) che lo obbliga finalmente a smettere di «guardare e basta» dall'obiettivo della sua fotocamera e a schierarsi nei confronti della guerra e della vita. La notte della “passione” di Alex è quella in cui il protagonista straccia le foto, in cui si riconosce assassino come gli altri e accetta di difendere Zamira. Questa, afferma Girard, è l'esperienza della «conversione» 16, quel processo di “revisione esistenziale” tipico delle conclusioni dei romanzi di Flaubert, Proust, Cervantes, Dostoevski 17, Stendhal in cui, attraverso la morte, fisica e spirituale, l'eroe rinuncia alle « sue idee di un tempo » 18, «sconfessa la propria volontà di potenza, si stacca dal mondo che lo affascinava» 19 e si riconcilia con l'Altro e la divinità.
Afferma il regista: « Arriva un momento nella vita in cui non possiamo fuggire: dobbiamo prendere posizione» 20. Giunto ad un bivio, Alex capisce che non può rimandare all'infinito la decisione («Il tempo non aspetta» recita il monaco nel terzo episodio), che è arrivato il momento di scegliere. Così, quando i cugini gli porgono le armi per «riscattare cinque secoli» di sangue macedone sparso a causa del dominio turco, Alex le rifiuta . I paradossi e le incongruenze temporali, la manipolazione del tempo servono a mettere in risalto il ruolo che la libertà e le scelte di ognuno rivestono nell'assumere decisioni che possono mutare il corso prestabilito degli eventi: la presa di posizione che è assunta in prima persona da Kiril, il quale rinuncia al voto di silenzio per proteggere Zamira e soprattutto da Alex, che sacrifica la propria vita per salvare la ragazza. La sua morte non è dunque la semplice eliminazione fisica di una vittima che risolve la crisi - soppressa con modalità spontanee che ricordano più il linciaggio fondatore che non i sacrifici rituali, “istituzionalizzati” tipici del mondo antico- ma la scelta consapevole, volontaria di chi, a prezzo della vita, rifiuta di rispondere alla violenza con altra violenza. Alex non è un capro espiatorio, non viene sacrificato ma “benedice e dice di sì” al suo martirio facendo riesplodere dall'interno il meccanismo vittimario.
La morte di Alex coincide con l'arrivo della pioggia e nella pioggia si sciolgono le attese e le domande sul senso della violenza (fratricida ed inter-etnica) poste dal regista. L'insieme di segni e simboli con cui è intessuta la trama svela una dimensione profetica ed escatologica che rende l'opera, oltre che una grandiosa allegoria del linciaggio fondatore, una straordinaria rivisitazione della demistificazione operata dalla morte di Cristo ai danni del meccanismo del capro espiatorio e una esemplare riflessione sul ruolo che la responsabilità individuale gioca nel ridefinire destini che paiono irrimediabilmente segnati. 21 La pioggia purificatrice che trasfigura il volto radioso e bellissimo di Alex negli ultimi istanti di vita appare allora non l'acqua del diluvio ma l'acqua del battesimo aspersa per il rinnovamento dell'umanità (Alex aveva affermato scherzosamente di essere tornato in patria per recarsi ad un battesimo).
Mentre il Kronos, il tempo della causalità storica - che si ripete nella spirale d'odio che investe da sempre la storia dell'uomo e che determina l'apparente ciclicità inesorabile degli eventi, il circolo dell'Ananké cruento - sembra trionfare (Zamira e Alex saranno comunque uccisi) l'amore prorompe, inaspettatamente, irragionevolmente (l'amore tra Kiril e Zamira, l'amore di Alex per l'umanità), spezzando il ciclo delle rappresaglie, interrompendo l'eterno ricorrere degli avvenimenti: è il Kairòs, il tempo della Grazia, della riconciliazione, il tempo di Dio ad emergere e ad imporsi nella sua sconvolgente insensatezza, nella sua scandalosa gratuità. L'amore impedisce al cerchio di chiudersi, imprime una nuova traiettoria al cammino già battuto.
Se il terzo episodio si chiude riproponendo la scena iniziale (la fuga di Zamira), dopo la morte di Alex e l'arrivo della pioggia risulta davvero difficile pensare che la ragazza sarà davvero ammazzata… « Forse, tutto è già accaduto, ma non ancora…». 22 I piani temporali del film (prima/dopo, passato/futuro) si confondono e si annullano per ricreare l'infinito flusso delle possibilità dischiuse dal Kairòs.
Nulla, tuttavia, pare cambiato da due millenni a questa parte:
Sei
ancora quello della pietra e della fionda
uomo del mio tempo. Eri nella
carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
-t'ho visto-dentro il carro di fuoco,
alle forche,
alle ruote di tortura.
T'ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta
persuasa allo sterminio,
senza amore, senza
Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti
videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel
giorno
quando il fratello
disse all'altro fratello:
«Andiamo ai campi».E
quell'eco fredda, tenace,
è giunta fino a te,
dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli,
le nuvole di sangue
salite dalla terra,
dimenticate i padri:
le loro tombe
affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il
vento, coprono il loro cuore.
(Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo )
Abbandonare le rotte segnate dei padri, rinunciare al percorso senza uscita del Kronos e dell'Anankè violento (la logica luttuosa della «morte a saldo di morte» 23) per abbracciare il sentiero illimitato del Kairòs (la logica della «Vita a saldo di vita» 24) appare allora, alla luce di Before the Rain , l'unico spiraglio lasciato aperto sul destino dell'uomo per uscire dalla spirale infinita della vendetta e pacificarsi col passato conservandone la memoria.
Tutte le cose eternamente tornano ma non necessariamente e allo stesso modo. La storia può non ripetersi.
Ogni istante è propizio per riaprire la via della vita e la navigazione nell'orizzonte del possibile. Perché i l tempo non muore mai. Il cerchio non è rotondo.
Note
1
2 Il film si apre con una frase di Meša Selimovic: «Con stridio gli uccelli fuggono nel cielo. La gente tace, il sangue mi duole nell'attesa».
3 R. Escobar, nella recensione de Il prigioniero del Caucaso , «Il Sole 24 ore», 1996.
4 P. Jacobbi, Milcho il Macedone , in «Panorama», 23 settembre 1994, p. 125.
5 A. Crespi, Sangue in Macedonia , in «L'Unità», 26 settembre 1994.
6Alessandra Levantesi, nella recensione di Prima della pioggia , in «La Stampa», 29 Ottobre 1994.
7 La lotta tra Albanesi e Macedoni non ha assunto qui i caratteri di sanguinosa guerra civile come in Bosnia e Kosovo, limitandosi a episodi di guerriglia armata da parte di ribelli albanesi.
8 La suggestiva interpretazione della metafora della tartaruga è di C.M. Bellei, al quale sono molto grata per avermi fatto conoscere il film.
9 Sullo sviluppo del nesso tra violenza e società a partire dalle teorie girardiane vedi i saggi: C. M. Bellei, Violenza e ordine nella genesi del politico. Una critica a René Girard , Trieste, Ed. Goliardiche, 1999; L. Alfieri, C.M. Bellei, D.S. Scalzo, Figure e simboli dell'ordine violento. Percorsi tra antropologia e filosofia politica , Torino, Giappichelli, 2003; R. Escobar, Le metamorfosi della paura , Bologna, Il Mulino, 1997.
10 G. De Michele, Dal disordine all'ordine. René Girard, un pensatore “forte”, « Il Mulino », 35/307, settembre-ottobre 1986, p. 719.
11 R. Escobar, nella recensione de Il prigioniero del Caucaso , cit.
12 P. Jacobbi, Milcho il Macedone , in «Panorama», 23 settembre 1994, p. 125.
13 Sul paradigma
politico della lotta tra fratelli vedi: D. Mazzù (a cura di), Politiques de Caïn. En dialogue
avec René Girard , Paris, Desclée de Brouwer, 2003.
14 R. Girard, La Violence et le sacré , Paris,
Grasset, 1972.
15 R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque ,
Paris, Grasset, 1961. Per la bibliografia primaria e secondaria di René Girard
si rimanda al volume: F. Casini, Bibliographie
des études girardiennes en France et en Italie , Paris, L'Harmattan,
2004.
16 R. Girard, Mensonge romantique et vérité romanesque , trad. it: Menzogna romantica e verità romanzesca. Le mediazioni del desiderio nella letteratura e nella vita , Milano, Bompiani, 1981, p. 251.
17Ibidem .
18Ibidem .
19Ibidem .
20 L. C. Merten, 'Before the Rain' passa na Mostra de São Paulo , in «Caderno 2», 19 settembre 1994. La traduzione è nostra.
21 Vedi in merito: C. Boracchi, Tempo lineare e circolarità: a proposito di Prima della pioggia di M. Manchewski , in «Comunicazione Filosofica. Rivista telematica di Ricerca e Didattica filosofica», n. 13, aprile 2004 (www.sfi.it).
22Ibidem.
23 R. Escobar, nella recensione de Il prigioniero del Caucaso , cit.
24Ibidem .
Federica Casini (www.studimimetici.com) è attualmente contrattista di Letteratura francese presso l'Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (sede di Tarquinia). Nel 2004 ha pubblicato, presso Harmattan, il volume Bibliographie des études girardiennes en France et en Italie, primo lavoro interamente dedicato alla bibliografia primaria e secondaria di René Girard in Francia e in Italia. Ha tradotto in italiano il saggio di Girard Mostri e semidei nell'opera di Hugo. Ha collaborato a riviste di francesistica e comparatistica (tra cui Studi francesi, Intersezioni, Nuova corrente, RLMC) rivisitando in chiave mimetica l'opera di Victor Hugo.