FORESTA D'ASFALTO

 

– Nella regione amazzonica del Brasile le strade abusive sono più del doppio di quelle ufficiali. Vengono aperte sui terreni dello stato e accelerano la deforestazione. –

 

Luciana Vicaria

 

 

 

Un gruppo di ricercatori brasiliani ha tracciato la prima mappa di una rete stradale fantasma che non compare in nessun documento ufficiale del paese. La cartina indica tutte le stra­de abusive che attraversano l'Amazzo­nia. Lo studio è stato realizzato dall'Isti­tuto Per l'Uomo e l'Ambiente in Amazzo­nia (Imazon), uno dei principali centri di ricerca della regione. I risultati otte­nuti rivelano l'esistenza di una rete di strade illegali due volte e mezzo più estesa di quella riconosciuta dalle autorità e, fatto ancora più grave, ricavata in gran parte sui terreni dello stato. Le piste clandestine favoriscono la distruzione della foresta e l'appropriazione indebita delle sue risorse naturali, prima tra tutte il legname.

Attraverso le immagini satellitari, i ricercatori hanno individuato la presen­za di un reticolato di 173.023 chilometri di strade abusive lungo i margini della foresta amazzonica. A queste bisogna aggiungere le tante diramazioni illegali lungo la strada Transamazzonica e la Br-163 che collega Cuiabá a Santarém. Lo studio mostra inoltre che il 90 per cento della rete stradale fantasma in Amazzonia si concentra negli stati del Mato Grosso, del Pará e di Rondônia. Il suo ritmo di crescita è impressionante: secondo alcune stime, aumenta ogni anno di 1.890 chilometri.

Le vie clandestine in terra battuta ar­rivano dentro riserve ecologiche e aree indigene che fino a poco tempo fa sem­bravano impossibili da raggiungere. Una di queste è la Terra indigena di Baú, nel municipio di Altamira, che si trova nello stato del Pará. Negli ultimi dieci anni le imprese di legname si sono spinte sempre più all'interno della riserva per procurarsi gli alberi di mogano. La rete stradale clandestina ha avuto un impatto così forte sul territorio che nel 2003 le autorità hanno deciso di ridurre del 17 per cento l'area della riserva.

Invece la Riserva ecologica delle Terre di mezzo, sempre nel municipio di Altamira, deve fare i conti con i grileiros, i proprietari terrieri che occupano ille­galmente la foresta. Si aprono un cammino verso l'interno, dove appendono cartelli con nomi di fazendas fittizie che più tardi metteranno in vendita. Le stra­de abusive non hanno risparmiato nean­che le aree militari, come quella di Ca­ximbo nel sud del Pará.

In genere le strade portano l'energia elettrica nei centri abitati e il progresso, soprattutto in Brasile, dove il 56 per cen­to del trasporto commerciale avviene via terra. Permettono inoltre di raggiungere più facilmente le scuole e gli ospedali. In Amazzonia, invece, provocano solo dan­ni irreparabili all'ambiente. "Nessuno apre una strada in mezzo alla foresta perché vuole andare a contemplare la natura", spiega il geografo Carlos Souza jr, coordinatore del progetto dell'Ima­zon.

All'inizio un'impresa di legname apre una nuova strada che parte da un'altra esistente. Grazie ai trattori, nel giro di un mese è possibile penetrare dieci chi­lometri all'interno della foresta. In uno o due anni vengono abbattuti tutti gli alberi più pregiati che ci sono nei parag­gi. Una volta che il cammino è stato aperto, entra in scena il grileiro: prende possesso delle aree raggiunte dalla strada, le divide in lotti e prepara dei certifi­cati di proprietà falsi. Poi vende le terre a un agricoltore, che sfrutta il terreno più che può danneggiando irrimediabil­mente l'ecosistema con le queimadas (incendi per la rifertilizzazione del suolo). Dopo due o tre raccolti, l'agricoltore vende la proprietà a un allevatore e si sposta in un'altra terra vergine da coltivare. Il destino finale del lotto è il pascolo.

 

Correre il rischio

 

In Amazzonia distruggere la foresta (di proprietà dello stato) per occupare il territorio è un ottimo affare e il rischio di essere puniti è minimo. Quando l'Istitu­to Brasiliano dell'Ambiente e delle Risor­se Naturali Rinnovabili (Ibama) o altre organizzazioni ecologiste sono informati di un crimine ambientale, denunciano subito i responsabili. Ma prima che rie­scano a ottenere il pagamento della pe­nale a volte passano anche quattro anni.

Durante questo periodo di tempo i criminali continuano a devastare la foresta, perché i guadagni compensano il rischio di essere condannati.

Anche chi è stato costretto a pagare una penale (questo succede solo per il 12 per cento delle denunce) difficilmente sarà costretto ad abbandonare le terre occupate e a portare il suo bestiame da un'altra parte. "Lavoro qui da otto anni e non ho mai visto nessuno restituire un terreno occupato illegalmente", afferma Daniel Cohenca, ispettore dell'Ibama a Santarém.

La lotta per le terre occupate alimen­ta la violenza nella regione. Una mappa della criminalità nei municipi brasiliani diffusa di recente mostra che cinque delle dieci città con il più alto numero di omicidi si trovano nella regione amazzo­nica. Al primo posto c'è Colniza, nel Mato Grosso, con un indice di 165,3 morti all'anno per centomila abitanti. Secondo la commissione pastorale della terra, negli ultimi trent'anni in Amazzonia duemila persone sono morte a causa dei conflitti fondiari.

Le strade abusive inoltre distruggono la natura. L'80 per cento del processo di deforestazione avviene entro un raggio di cinque chilometri dalle vie aperte ille­galmente. I danni all'ambiente non con­tribuiscono certo a migliorare la vita delle persone. L'Istituto brasiliano di geografia e statistica rivela che su sedici milioni di persone che abitano nella fo­resta, il 70 per cento vive al di sotto della soglia minima di povertà. Come Socorro e Ruimar da Cunha, che vivono in una capanna a 130 chilometri dalla città di Santarém, lungo una strada abusiva che si allaccia all'autostrada Br-163.

Socorro e Ruimar si sono conosciuti quindici anni fa. Ruimar è arrivato da Santarém insieme ai genitori, attirato dall'apertura della nuova strada. Anche Socorro è arrivata seguendo la famiglia alla ricerca di una terra da coltivare. Do­po il matrimonio hanno avuto quattro figli. Nel 2005, dopo che il bambino di sette anni è morto di polmonite, hanno deciso di andarsene. "Pioveva molto. Ci è voluto un giorno intero di viaggio per comprare le medicine e portare il piccolo dal medico", racconta Socorro. Fer­nando è morto durante il tragitto. Oggi la famiglia vive barattando una parte del raccolto in cambio di combustibile, sapone e vestiti. Tra qualche giorno Socor­ro e Ruimar dovranno lasciare la capan­na di legno in cui abitano.

Nonostante una denuncia da parte dell'Istituto Nazionale per la Colonizza­zione e la Riforma Agraria, il padre di Socorro si ritiene ancora il legittimo pro­prietario del terreno, tanto che ha ven­duto il lotto a un altro agricoltore. "Il nuovo proprietario può mandarci via da un momento all'altro", spiega Ruimar che sta già pensando di trasferirsi in una nuova strada.

Anche Natalino Lima abita in una delle tante piste clandestine che si allacciano alla Br-163. Per sopravvivere coltiva riso, fagioli e verdura. "Sono venu­to qui per dissodare la terra del mio padrone. Per me l'unica cosa importante è che mi paghi bene", spiega. Gua­dagna 450 reais (165 euro) al mese lavorando come custode della proprietà e ha già abbattuto tutti gli alberi che c'erano all'interno del lotto, grande come dieci campi da calcio. Il terreno sarà destinato alla coltivazione del riso e della soia.

Natalino vive all'interno della proprietà con la moglie e il figlio in una casa di legno senza luce,

e non ha idea di cosa gli ri­serverà il futuro. "Qui le persone vivono alla giorna­ta" spiega. Natalino si è già preso cura di tre lotti che si trovavano lungo due diverse piste clandestine. "Pren­dersi cura" della terra per lui significa distruggere la foresta.

Del resto è difficile che queste persone si rendano conto di alimentare, con il loro comportamento, un sistema illegale. I motivi sono due: innanzitutto perché in Amaz­zonia la clandestinità rappresenta la regola, in secondo luogo perché esiste un'enorme zona grigia tra ciò che è legale e ciò che non lo è.

 

Economia legale

 

Nei primi dieci chilometri della strada che si allaccia al chilometro 101 della Br-163 arriva l'energia elettrica. Eppure si tratta di una pista abusiva che non compare in nessuna cartina ufficiale. Le persone che abitano nella zona hanno costruito una scuola e le istituzioni locali hanno mandato gli insegnanti. Il comune di Santarém, invece, è incaricato della manutenzione della strada. C'è poi un pulmino privato che ogni giorno percorre i cinquanta chilometri della pista per offrire alla popolazione un collegamento con i centri abitati più vicini. Effettua solo una corsa di andata e una di ritorno, ma è di grande aiuto a tutti quelli che altrimenti dovrebbero spostarsi a piedi.

Alcune strade abusive sono state perfino privatizzate. In quelle aperte più di recente, che hanno ancora pochi residenti, i fazendeiros (proprietari terrieri) pretendono un pedaggio. Chi vuole passare e avventurarsi all'interno della foresta deve identificarsi e pagare una tassa.

La mappa di questa rete stradale pa­rallela è un documento prezioso. Per la prima volta le autorità hanno le coordi­nate precise di tutte le piste clandestine. "Questo significa avere anche l'indirizzo del grileiro, dell'azienda di legname che opera illegalmente e dell'agricoltore che coltiva una terra che non è sua", spiega Carlos Souza.

Resta solo da capire se le autorità sa­pranno usare in modo intelligente le informazioni. Ma nel frattempo cosa si può fare per interrompere la distruzione della foresta? L'aumento costante delle strade abu­sive dimostra che è inutile continuare a proteggere l'Amazzonia come se fosse un territorio incontamina­to. Fino a oggi il governo ha cercato di risolvere il problema creando delle aree protette. Una strate­gia del genere, però, non riesce a tamponare i disa­stri provocati dalle defore­stazioni in corso. Chi sta aprendo una pista clandestina può proseguire indisturbato. Una soluzione alternativa potrebbe offrirla la legge per le concessioni forestali appro­vata dal governo nel 2006. L'obiettivo del provvedimento è permettere alle im­prese del legname di ottenere delle concessioni per sfruttare in modo duraturo le foreste pubbliche.

"Finalmente il governo ha capito che l'unico modo per mantenere in vita la foresta è creando un'economia legale", spiega Paulo Adário, coordinatore di Greenpeace in Amazzonia.

Non resta che dare le prime conces­sioni. Speriamo che sia la strada giusta da percorrere.

 

 

 

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(Tratto dalla rivista Internazionale n° 606, del 5 aprile 2007, tradotto dalla rivista Época, di Rio de Janeiro.)