CULTURE ESTREME

- Un'incontro dell'antropologo Massimo Canevacci con gli studenti del Liceo Classico "Umberto I" di Napoli -

STUDENTE: Benvenuti al liceo "Umberto I" di Napoli. Oggi parleremo di culture metropolitane. Con noi c'è l'antropologo Massimo Canevacci, che ringraziamo di essere qui. Prima di iniziare la discussione guardiamo la scheda filmata.

Il termine cultura evoca nella nostra tradizione una ben codificata produzione artistica e letteraria, da secoli studiata, analizzata e sistematizzata. Parlando di culture della metropoli, si allude invece ai comportamenti, alle pratiche, ai linguaggi sempre mutanti delle nuove generazioni, fenomeni che sfuggono alle classificazioni tradizionali, ma che pulsano, nella vita delle metropoli, attraverso i canali più disparati: gli scenari urbani, nuove tecnologie, abbigliamenti, codici linguistici, ritmi. Non si tratta di dottrine scritte, statiche e univoche, ma di forme di vita, che trovano di volta in volta un diverso campo di applicazione: Internet, il video, la musica, il corpo, che in particolare rappresenta un laboratorio di sperimentazione espressiva privilegiato. Pratiche che spesso scandalizzano e che possono essere giudicate come mode giovanili, derive mediatiche o forme di omologazione, solo da chi non comprende che spesso si tratta di rielaborazioni di quei medesimi codici che si vogliono rifiutare. Questo rende più difficile il tentativo di comprensione. Se dobbiamo rinunciare alle abituali categorie interpretative, come decifrare i linguaggi metropolitani del nuovo millennio?

STUDENTESSA: Secondo quali criteri oggi è possibile dare una definizione di giovane?

CANEVACCI: Ma in primo luogo penso sia molto difficile dare questa definizione, cioè penso che i sistemi tradizionali, delle scienze sociali in particolare, che producevano delle classificazioni - noi diciamo anche tassonomia, è una parolaccia un po' difficile, cioè creare delle categorie dentro le quali inserire comportamenti cosiddetti omogenei delle culture giovanili - credo che questo sistema classificatorio, che funzionava probabilmente fino a una decina di anni fa, anche con qualche problema, attualmente è entrato in crisi, in una crisi irreversibile e, secondo me, molto salutare, nel senso che è sempre più difficile inserire questi comportamenti, che abbiamo visto anche nella scheda, dentro delle categorie stabili, solide.

STUDENTE: Volendo parlare del rapporto tra giovani e città, si può dire che in passato i giovani abbiano rifiutato quella che era la città. Oggi invece sono perfettamente integrati. Quali possono essere le cause di questi cambiamenti?

CANEVACCI: Sono profondamente convinto di una cosa, anche per chiarire meglio la domanda precedente: prima, per definire un comportamento giovanile, era fondamentale analizzare la cosiddetta società, cioè a dire l'articolazione in classi sociali, con le classi di età anche, le generazioni molto chiaramente ben delimitate. Attualmente invece, secondo me, si sta formando un nuovo tipo di metropoli. Per me è una metropoli comunicazionale, cioè è cambiato il lavoro, il lavoro industriale, come era qui anche a Napoli - pensiamo a Bagnoli, all'Italsider, a Pomigliano. Attualmente sempre di più la comunicazione, anzi direi l'intreccio tra tecnologia e comunicazione diventa il momento fondamentale per le culture giovanili, ma molto più disseminate, frammentarie, a me piace chiamarle anche liquide, nel senso che sono sempre dentro un flusso. Allora, se questa nuova metropoli, questa metropoli comunicazionale, che è il contesto dentro al quale vive il giovane, le categorie, il modo di leggere, di interpretare, ma anche di produrre cultura, cambia radicalmente. Come dicevi giustamente, una volta la città era vista come il luogo, non so, della sofferenza, dell'alienazione. C'era, non so, il desiderio di tornare in campagna o di un contesto molto comunitario. Viceversa il mio punto di vista è che questo tipo di metropoli, per quante difficoltà abbia, libera un insieme incredibile di energie. A me farebbe molto piacere se giovani, anche come Voi, che siete, diciamo così, più giovani di con quelli con cui io ho avuto rapporti, percepiscono questa nuova metropoli, questa metropoli comunicazionale, come dicevo, come un contesto di grandi possibili liberazioni e sperimentazioni.

STUDENTESSA: Secondo Lei, la contestazione politica da parte delle nuove generazioni oggi non esiste più o continua ad esistere sotto forme diverse?

CANEVACCI: Sicuramente sotto forme diverse. Così come sta un po' crollando il concetto di società - il concetto di società è ottocentesco, nasce in una certa fase dello sviluppo dell'Occidente - che, secondo me, sta declinando, sta svaporando, per così dire. A questo concetto di società era collegato una certa forma della politica, del politico, anche del partito, della trasformazione, trasformazione diciamo generale. Credo che la contestazione fosse molto legata a questa politica, che auspicava trasformazioni generaliste e universali. Attualmente le forme di sperimentazione, linguistica, ma anche comportamentale, non hanno più questo aspetto , ecco la politica, la contestazione nel senso proprio di cambiare tutto, sta cambiando prospettiva - a me piace chiamarla interstiziale - produce cioè delle interzone, delle zone che stanno "tra", all'interno delle quali si possono produrre forme di sperimentazione individuale - poi magari mi piacerebbe chiarire meglio questo concetto - che non hanno più il collettivo, il politico o la classe, come il modello tradizionale.

STUDENTE: Il proliferare di queste culture metropolitane non rivela anche un'insufficienza delle cosiddette culture "tradizionali", che si dimostrano probabilmente inadeguate ad esprimere il mondo interiore di un giovane d'oggi?

CANEVACCI: Io ne sono profondamente convinto. Molto spesso, il mondo degli adulti e specialmente chi detiene certi organi di informazione - stampa, televisione, eccetera - si scaglia in modo molto superficiale e generalista contro le nuove generazioni. Io sono profondamente convinto che questa vecchia generazione ha pochissimo da insegnare e da trasmettere, e sono totalmente a favore del fatto che Voi attualmente possiate esprimere le Vostre istanze innovative e le Vostre sperimentazioni, con i Vostri modelli, in modo assolutamente libero. Credo proprio che questa Vostra sperimentazione di libertà espressive, ma anche intellettuali, anche sentimentali, espressive in generale, ecco, debbano favorire al massimo il Vostro rapporto con il mondo adulto. Solamente se Voi avete questa libertà espressiva è possibile stabilire un rapporto con il mondo adulto, altrimenti si creano delle gabbie, all'interno delle quali, non so, anche a volte la stessa scuola, l'università, o in generale gli altri aspetti della famiglia, tendono più a bloccare, a compattare, piuttosto che a liberare queste energie. E Voi ne avete tante, secondo me.

STUDENTESSA: Come abbiamo potuto vedere prima nel filmato, oggi esistono molte pratiche estreme, quali ad esempio il branding, il marchio a fuoco sul corpo, che possono comunque apparire come delle forme di autolesionismo. Le volevo appunto chiedere quale significato hanno per Lei.

CANEVACCI: I significati in gran parte intrecciano la ricerca antropologica. Io insegno Antropologia e questo tipo di pratiche di modifica corporale, di fare quelli che adesso si chiamano piercing, tatuaggio, branding, hanno un significato rituale molto chiaro e preciso, cioè attestano il fatto che un individuo diventa adulto. Credo che sia molto importante che molte culture giovanili metropolitane stiano studiando queste culture etniche, perché sono importantissime, sono straordinarie. Hanno tante forme, non solo culturali di questo grafismo corporale, che secondo me esprimono una bellezza incredibile. E allora spesso si dice: "Sì, ma questo è autolesionismo, - come dicevi prima - si fanno male". Prima abbiamo visto anche delle immagini abbastanza forti. Io la vedo in modo diverso. Io sono abbastanza convinto che, viceversa, queste forme producono un piacere, cioè a dire il corpo, il nostro, che non è mai naturale, il corpo è sempre culturale, è sempre conformato dalla nostra cultura. Ecco, se questo corpo viene stimolato verso una produzione di segni, di codici, di simboli, di oggetti anche, adesso questo corpo elabora e sviluppa un tipo di sensualità che prima era inespresso. Quindi anziché autolesionismo, a mio avviso, è una produzione di autopiacere.

STUDENTESSA: In genere l'applicazione della tecnologia all'uomo e al suo corpo, non ha mai avuto una valenza positiva. Ad esempio, il mito di Frankenstein è sempre stato considerato in maniera particolarmente negativa. Adesso, secondo Lei, la concezione del rapporto tra uomo e tecnologia è cambiato in qualche modo?

CANEVACCI: Questa è una bellissima domanda, e sono profondamente convinto anche di questo, nel senso che appunto la cultura occidentale ha questo mito pesantissimo di Frankenstein, del Golem, che arriva fino a un film, tra l'altro bello, come Blade Runner, tratto dal romanzo di Philip Dick, molto interessante. Ecco io credo che questo sistema, questo dualismo tra tecnologia e corpo, tra organico e inorganico, tra natura e cultura, sia finito, anche in modo molto liberatorio. Ci sono ricerche in cui l'aspetto del cyborg è una prospettiva che libera forme enormi di potenzialità. Allora sia nella letteratura, nella tecnologia, nell'antropologia anche, nella biologia, sempre di più i nostri corpi sono intrecciati con tecnologie. Allora mi auguro che questo grande mito, questo mito terrificante del Frankenstein, la finisca una volta per tutte e se ne vada dolcemente in pensione; e che si liberino nuove forme cyborg per produrre espressività.

STUDENTE: Il consumismo giovanile è sempre stato visto come un fenomeno negativo, di cui è vittima il giovane. Ma è possibile abbandonare questa tesi, in quanto oramai coesiste, secondo me, un nuovo rapporto tra il giovane e il consumo, meno problematico e più sano, più genuino?

CANEVACCI: Anche questa è un'ottima domanda ed è centrale, perché, come dicevo prima, le scienze sociali hanno avuto al centro la questione della produzione, del lavoro, della fabbrica, mentre, viceversa, il consumo era sempre stato visto negativamente da tutti. Sia le impostazioni cattoliche, marxiste, fasciste, eccetera, dicono che nel consumo la persona si perde, si omologa, perde la sua caratteristica, mentre viceversa il lavoro dovrebbe salvare l'anima, la coscienza. Secondo me, viceversa, attualmente il consumo è centrale. Noi, cioè, dovremmo cambiare il nostro modo di ragionare, di interpretare, ma anche di agire, sempre meno basato sulla produzione e sempre di più sul consumo. Se è il consumo l'aspetto sempre più centrale della nostra vita quotidiana, noi dobbiamo cercare di capire, di interpretarlo anche, perché non è vero che basta fare una carrellata qui dentro per vedere che i giovani o noi siamo tutti uguali, siamo tutti omologati. Noi dobbiamo imparare a capire le differenze. Apparentemente i jeans sono tutti identici, ma se noi li osserviamo, con attenzione, ogni jeans ha la sua particolarità, ha la sua soggettivazione. Quella maglietta significa delle cose, quel tipo di capelli hanno un significato. La scelta del consumo non è una scelta in cui ciascuno di noi o di Voi, non so, entra dentro un apparato, che gli mette dentro la testa: "Devi comprare quello e questo". Io non credo più a una cosa del genere e sono profondamente convinto che il consumo possa esprimere conflitto e innovazione, e una grande capacità da parte di tutti noi, di sapere interpretare, nei livelli più minuziosi, ogni piccola minuzia che è inscritta nei prodotti del consumo.

STUDENTE: Possiamo dunque concludere che le culture cosiddette alternative rappresentano una matura e consapevole espressione di sé da parte dei giovani, al pari delle culture invece canonizzate come tradizionali?

CANEVACCI: Certo, se per cultura alternativa intendiamo una cultura che sa praticare l'altro. L'alternativa è perché l'altro è qualche cosa che non è solamente esterno, ma è qualche cosa che in qualche modo sta dentro di noi. Cioè a dire: noi abbiamo una serie di altri interni nella nostra soggettività. Allora la cultura alternativa è quella che produce questo tipo, diciamo così, di alterazione, che mette in moto la diffusione, la produzione, l'immaginazione dell'altro sia interno che esterno. Questa per me è una cultura alternativa, nel senso che sviluppa una molteplicità di altri, appunto come dicevo, ossia all'interno della nostra individualità, ma anche al di fuori, che entra in profonda, come dire, contraddizione, anche conflitto, con un tipo di cultura tradizionale. E allora che l'alterazione o, come dicevi Tu appunto, una cultura alternativa, si affermi proprio in quanto sostenga e produca - perché io vedo molto un aspetto produttivo in tutto questo - nuove forme espressive. Questa è la dimensione alternativa, nel senso che ciascuno di noi, ciascun altro interno alla nostra soggettività, può produrre le sue tante storie e queste storie che può produrre, altre rispetto alle storie normalmente raccontate, possono essere vissute, sperimentate e, come dire, proprio corporalmente percepite, in un modo altro rispetto al modo tradizionale. Allora che ben vengano tantissime forme alternative. Anche qui non penso più che ci sia la forma alternativa che in qualche modo dovrebbe unificarVi tutti quanti. Assolutamente no, ce ne devono essere tante. Ci deve essere una proliferazione, sempre più mutante, di trame alternative.

STUDENTE: Si può dire che Internet è entrato prepotentemente nella vita di tutti i giorni, sconvolgendo anche i rapporti interpersonali. Volevo sapere se per Lei è un bene o un male, cioè se in definitiva Internet tende più a separare che ad unire le persone.

CANEVACCI: Anche questa è una questione esemplare. Naturalmente io sono totalmente a favore di Internet e penso che sia uno strumento, un mezzo di enorme capacità di liberazione. Però dobbiamo capire meglio di che si tratta, perché la nostra cultura, anche a scuola, in gran, parte noi è stata formata da testi scritti. Il testo scritto ha una sua consequenzialità. Io comincio a leggere dall'inizio e appunto dovrei arrivare almeno fino alla fine. C'è un tipo di logica, che è lineare. E la logica lineare in qualche modo ha preformato, anche dal nostro sistema filosofico, religioso, antropologico, psicologico, la nostra identità. Ecco, credo che viceversa, con le forme narrative basate su Internet questo entra in crisi. Cioè a dire io posso elaborare un linguaggio non più lineare, ma multisequenziale. Che vuol dire che io inizio a lavorare o a leggere o a a scrivere in un contesto e poi con il link, con un sistema di linkaggio, che credo che ormai conosciate tutti quanti, posso saltare da un'altra parte, posso intrecciare elementi musicali o visivi, di arte contemporanea, anche di pubblicità, perché io voglio interpretare cos'è la pubblicità attualmente. Non la voglio semplicemente o condannare o subire. Allora, se il mio sistema percettivo non è più lineare, ma è multisequenziale - a me piace dire anche polifonico -, cioè ha un insieme multiplo di linguaggi, allora la mia capacità - ripeto - sia percettiva, ma anche cognitiva, anche proprio esperienziale, è multipla. La mia identità che con il linguaggio scritto lineare, era un'identità fissa, stabile, unitaria, compatta, con Internet, viceversa, può diventare un'identità multipla, fluida. Io posso cambiare tutta la mia soggettività. Posso avere tutte le etnicità che voglio, tutte le sessualità che voglio, tutte le età che voglio. Avere un nomadismo, cioè posso cambiare, cambiare costantemente la mia identità. E badate bene che questo molto spesso produce paura, terrore. Ma io voglio avere la mia identità, io voglio essere io. Sì, certo, questo in parte è vero. Ma è ancora più giusto e corretto - e secondo me appassionante - avere e sperimentare una molteplicità di io, capire che il plurale di io non è più noi, come molto spesso ancora si dice, ma può essere "ii", cioè dire vivere, sperimentare una molteplicità di " ii" all'interno dello stesso soggetto. Internet e queste nuove tecnologie permettono di liberare fortissime energie. Certo io non voglio fare l'apologia in quanto tale di questo sistema, perché ci possono essere anche elementi regressivi, pericolosi, eccetera. Però, secondo me, stiamo vivendo veramente una straordinaria stagione di salto, in cui i sistemi tradizionali non funzionano. Voi attualmente entrate in questa nuova logica, una logica multipla, fluida, non più basata su questa tradizione molto compatta e tradizionale, molto unitaria, molto identitaria proprio. E allora che Internet possa sviluppare, che queste nuove tecnologie comunicazionali possano sviluppare e liberare nuove forme espressive, ma anche identitarie multiple. Questo lo credo e lo vedo come una forma enormemente piacevole e liberatoria.

STUDENTESSA: Vedo, nella nostra società, un prevalere dell'immagine sulla parola, cioè dell'apparire sull'essere. Penso che non sia una cosa positiva e che sia simbolo di superficialità; Lei che ne pensa?

CANEVACCI: Cito un filosofo che ha messo in crisi la modernità, Friedrich Nietzsche, il quale diceva: "Non c'è una cosa più profonda della superficie". Il corpo è la cosa profonda. Quello che noi siamo abituati a vedere come una cosa esterna, come pelle, come tessuto, come superficie, mentre viceversa al nostro interno, non so nella mente, nell'interiorità, vi sarebbe il grande valore, la grande profondità. Tutto questo io credo che possiamo ripensarlo. L'immagine, in quanto tale, è sempre stata condannata dalla filosofia occidentale, sempre, da Platone in poi, tutti hanno condannato l'immagine, come se ci fosse qualche altra cosa, appunto di più profondo, metafisico. Ma non è ora di mettere in discussione tutto questo, non è ora di pensare che, per esempio, che la Tua immagine è la Tua interiorità? E io non credo che ci sia questa distinzione, penso che in qualche modo la Tua pelle contenga la Tua mente.

STUDENTESSA: Io invece ho l'impressione che molte volte il corpo dovrebbe esprimere ciò che sono. Ma molte volte invece c'è dietro il vuoto, cioè non c'è niente.

CANEVACCI: Tu ora stai parlando in termini generali. Io invece cercavo una riflessione più, diciamo, soggettiva, perché la Tua affermazione può essere giusta o falsa. È difficile dire di sì o di no. Ma facciamo degli esempi più concreti. Ci sono artisti, molti artisti contemporanei e molti sono donne, che utilizzano proprio il corpo come strumento di modificazione e di espressività, ma anche molta moda contemporanea. La moda non è semplicemente una cosa, appunto di superficie, senza interiorità. Io tenderei più a fare una ricerca sul linguaggio del corpo, che è un classico dell'antropologia, e vedere come questa superficie, quest'immagine, possa contenere, magari certamente anche questo vuoto che dici Tu, ma possa contenere anche tantissime ricchezze.

STUDENTESSA: Sì, può contenere delle ricchezze, ma nella mia esperienza personale non le contiene. Cioè molte persone che mi circondano non esprimono con il corpo il proprio essere, perché non sono persone che ci riescono. Mentre ci stanno persone che ci riescono, anche con i tatuaggi, con i piercing, vogliono esprimere qualcosa. Mentre ci sono persone, che magari si marchiano col fuoco sulla pelle senza poi dare un significato a questo. Anche gli animali vengono marchiati a fuoco, anche i deportati e gli schiavi venivano marchiati a fuoco. Allora bisogna dare, secondo me, una spiegazione, una motivazione.

CANEVACCI: Do la mia spiegazione, vediamo se Ti può convincere. Giustamente hai detto che un animale, uno schiavo, anche i deportati, venivano marchiati a fuoco. In questo modo si imprimeva proprio in un codice terribile il senso di una presunta inferiorità o di proprietà. Credo che però chi faccia questa esperienza attualmente, almeno le persone che conosco io, poi, non so, magari le Tue esperienze sono differenti, vogliono affermare qualcosa di più sottile. Cioè a dire, io apparentemente mi identifico in un oggetto, in un animale, in un deportato, e mi faccio marchiare, ma nello stesso tempo proprio attraverso lo sperimentare questo passaggio del marchio io voglio liberare almeno me stessa da tutte le ingiustizie che sono state compiute contro gli esseri umani e contro gli esseri animali. E allora è proprio assumendo, diciamo così, il dolore e l'ingiustizia, io elimino il dolore e l'ingiustizia. E in questo senso il bacio di fuoco si trasforma da dolore in piacere, da marchio di ingiustizia, in una liberazione di tutte le ingiustizie che sono state compiute.

STUDENTESSA: Cioè come se la persona volesse possedere un'altra volta il proprio corpo, cioè affermare: "Il corpo è mio e me lo marchio a fuoco?".

CANEVACCI: Non solo il corpo è mio e lo posso modificare come voglio, ma con questo marchio o le scarificazioni, questi disegni a forma di cicatrice, che si possono fare nel corpo, in questo modo posso esprimermi. Aprire il mio corpo a un linguaggio, sto comunicando con il mio corpo, voglio dire qualche cosa. E questo dire qualche cosa può avere un significato, come dicevo prima, apparentemente doloroso, ma in realtà è qualche cosa che cerca di eliminare il dolore attraverso il dolore. Eliminare l'ingiustizia attraverso l'ingiustizia. Eliminare tutti i marchi attraverso il marchio. Quindi è un'operazione che nello stesso tempo produce un segno forte, duro, ma libera tutte le durezze e tutte le ingiustizie. E allora perché no? Perché una persona non può comunicare e parlare con questi tipi di scrittura? Perché è una scrittura. Non so se avete visto, è uscito recentemente un film che si chiama Memento. È un film che Vi consiglio di andare a vedere, perché questa persona che ha un problema di memoria, della memoria immediata, si tatua le sue storie nel corpo. E allora il corpo è anche questo. Può essere un testo dentro il quale noi raccontiamo la nostra biografia.

STUDENTESSA: Da quanto ho capito da questo dibattito, tutti questi fenomeni - piercing, tatuaggi, l'insistere sulla figura, sull'immagine del corpo - sono un tentativo dell'uomo di riappropriarsi di quella parte di sé, che è sempre stata denigrata, è sempre stata considerata negativa. È un desiderio dell'uomo di riappropriarsi e di essere tutto se stesso, anima e corpo , interamente?

CANEVACCI: Ma certo. Tu ancora usavi questi termini: anima corpo, che sono termini, diciamo così, dualisti di matrice. Pensiamo a Cartesio: lì c'è il corpo, lì c'è la mente. E in gran parte noi siamo ancora abituati a ragionare in questa forma dualista. Viceversa, le forme contemporanee di un pensiero che a me piace, prima di tutto attacca sempre e costantemente il dualismo. Ogni volta che c'è il dualismo - bene-male, mente-spirito, mente-corpo, pubblico-privato,organico-inorganico, cultura-natura -, tutte queste forme dualiste mica sono eterne o sono oggettive. Ma chi l'ha detto? Sono storicamente determinate, appartengono a una fase della nostra cultura. E allora che il pensiero più libero e critico, alternativo, le metta in discussione, le critichi. E allora anziché sviluppare un nuovo monismo, cioè una nuova visione unitaria, olistica, che si pensi molteplice. Impariamo a pensare molteplice. Allora, se la sfida è questa: una molteplicità di pensieri, di sensazioni, di narrazioni, il corpo ha perso, così, la sua immagine, quella condanna che ha sempre avuto nella cultura occidentale. Non sempre. Ci sono sempre state anche persone - filosofi, scrittori o scrittrici naturalmente -, che, viceversa, hanno cercato di affrontare la questione del corpo in un modo diverso, però stigmatizzate, marginalizzate. E allora pensare all'immagine non più come qualche cosa di superficiale nel senso appunto che nasconde le cose profonde, ma vedere in questo, come dicevo anche prima, una possibilità, io direi anche filosofica e antropologica che ha il corpo, il corpo come mente. Cioè la mente sta nel corpo. Io penso con tante parti del mio corpo. E le tante parti del mio corpo non sono ferme, si modificano per tanti motivi. Allora io posso sentire queste tante parti del mio corpo come tante parti della mia personalità. E allora io cambio la mia impostazione. Io sento il sentire del mio corpo. È una moltiplicazione di intellettualità, ma è una forma di intellettualità appunto diversa da quella tradizionale, perché è un pensiero di corpo, è un pensiero di pelle, è un pensiero di carne. In questo senso può liberare delle forme espressive che fino adesso sono state bloccate o sono state potenzialmente dette. Allora tutte queste storie incredibili che noi possiamo raccontare, che possiamo inventare, a mio avviso, possono avere in questo nuovo tessuto, dando al tessuto o alle pieghe del corpo un significato dilatato, tante narrazioni possibili. E allora ecco che la profondità ci faccia anche un po', come dire, inorridire e ci faccia sempre più piacere entrare dentro questo aspetto dell'immagine. Un'ultima cosa. Tu hai detto: "Noi siamo costretti". Non vedere semplicemente la condizione contemporanea come una costrizione all'immagine. Vedila anche come una possibilità di produrre immagini. Ecco, credo che questo sia una possibilità liberatoria, cioè passare da essere semplicemente, non so, uno spettatore passivo dell'immagine, in un soggetto che produce immagini. Ecco io credo che questo sia il compito della scuola e dell'università, cioè metterti in condizione di produrre immagini, cioè produrre le tue storie.

STUDENTE: Perché nella società occidentale queste culture alternative si sono sviluppate soltanto ultimamente, mentre nelle culture "primitive", il disegnarsi il corpo, sono riti di sempre?

CANEVACCI: Mi farebbe piacere che Tu utilizzassi il termine culture etniche o, ancora meglio, culture native, perché il termine primitivo ha un giudizio di valore molto offensivo, per cui mi sembra più corretto dire culture native. Ma perché il corpo nella cultura occidentale non poteva mai essere appunto disegnato, costruito, inciso. Questo lo potevano fare semplicemente i criminali o le prostitute, cioè persone marginali. Vi era come uno stigma sociale nel deformare o disegnare il tuo corpo. Il rossetto, anche lo stesso anello all'orecchio, era permesso solamente ai pirati o alle persone cosiddette criminali. Il tatuaggio era una forma classica che veniva utilizzata moltissimo nelle carceri, perché in questo modo il carcerato doveva imprimere qualche cosa che lo classificava in quanto tale, cioè un carcerato, un povero disgraziato. Però, nello stesso tempo è nato un movimento, che è metropolitano, che ha scoperto queste culture etniche, queste culture native. Allora le culture native, che molto spesso dice: 'Ma sì, stanno nudi, non hanno niente addosso", ma non è vero. Se noi impariamo a osservare il corpo di queste culture, di questi individui, noi vediamo che hanno una capacità espressiva straordinaria, non solo come maschera, non solo come grafismo. Il grafismo, attenzione, è interessante, perché cambia ogni venti giorni. Grosso modo sono delle pitture fatte con prodotti vegetali, che durano circa venti giorni, e in questo modo io - uomo, donna, bambino - posso dipingere il mio corpo con un insieme incredibilmente vario di disegni. In questo modo il mio corpo non è nudo, ma è disegnato, è vissuto, è, noi diremmo, opera d'arte, è qualche cosa di bello che può essere vissuto e anche visto, percepito, in termine appunto di piacere. Tutto questo è stato confuso dall'Occidente. Guardate che tutti quei codici attualmente stiamo scoprendo avere un significato. E allora elaborare questi significati, non copiarli, perché io non Vi sto dicendo di copiare questi codici, di non copiare questo grafismo, ma sto dicendo che in Occidente, questo tipo di codice era permesso solo a Carnevale, cioè in un momento particolare: tre giorni, facciamo festa, poi rientriamo tutti nell'ordine, perfetti, puliti, igienici, senza alcun segno, perché il corpo deve essere, come dire, addestrato, allineato, uniformato. Ecco, e allora, viceversa, che questo corpo parli, si disegni, comunichi. Poter - io stavo per dire studiare, però è qualcosa di più che studiare -, poter appassionarsi alle culture native, alle culture etniche, sta a significare che noi non abbiamo più semplicemente questa storia disgraziata di un nostro corpo disgraziato. Noi abbiamo la possibilità di inventarci costantemente i nostri corpi. E allora non dobbiamo più avere vergogna o timore o pudore di questo benedetto corpo, ma lo possiamo rappresentare in modo glorioso, gioioso e, chissà, anche come opera d'arte.