Appena sveglia, la
città muove i suoi primi passi. Carriolanti insonnoliti spingono i loro rudimentali
veicoli; facchini ancora sporchi abbandonano i loro giacigli nei portoni;
qualche frettolosa beghina si imbatte in nottambuli attardati.
Difendendosi dal freddo che penetra fin nelle ossa, il piccolo Felipe Barcia
cammina diretto verso la sua mercanzia: i giornali ancora caldi usciti dalle
rotative palpitanti.
Adesso è più breve il percorso di ogni mattina. Da una settimana vive nella
cantina di suo zio in Plaza Victoria. Ma non è stata la distanza il motivo
che lo ha spinto ad abbandonare la casa di sua madre nel quartiere Garay. È
stata la presenza del signor Orrala, che gli rimescolava il sangue al punto
che sua madre acconsentì al trasloco.
Resterà separato da lei fino al ritorno di Medardo Barcia. Forse tarderà, ma
ritornerà com'era ritornato l'altra volta. Allora non rimase via a lungo. Se
n'era andato e basta, dopo aver accarezzato suo figlio e abbracciato sua
moglie. Lei, Dominga, lo aveva atteso in silenzio e quando il rude manabita
fece ritorno tutto riprese come prima.
Ma poco tempo dopo se ne andò di nuovo. E questa volta lasciò un
avvertimento: "Lo sai, Dominga: dalla cucina alla casa. E se il ragazzo
si comporta male, dagliele sode".
Dalla cucina alla casa… Dominga prese quell'ordine alla lettera, passando
altera tra le occhiate avide e le parole sfrontate degli uomini. Nel giro di
un anno tolse Felipe dalla scuola e lo mandò a fare lo strillone perché la
paga di cuoca non bastava a coprire le spese. E sei mesi più tardi forse la
vinse la solitudine: fu così che il signor Orrala si installò nella casa di
Medardo Barcia.
Felipe lo odiò fin dal primo momento. Perché gli rubava l'affetto di sua
madre, perché lo picchiava spesso, ma soprattutto perché usurpava il sacro
posto di Medardo Barcia.
L'ultima volta che gliele diede, Felipe lo minacciò: "Vedrà quando
tornerà mio padre".
Orrala rise sarcasticamente. E siccome Dominga intervenne a consolare il
ragazzo, l'usurpatore protestò: "Non lo coccolare, donna, che lo farai
diventare finocchio".
Dire questo al figlio di Medardo Barcia!
Crebbe il suo odio verso l'usurpatore. E crebbe anche la nostalgia per
Medardo Barcia, l'uomo che gli aveva dato il cuore virile, l'immaginazione
irrequieta e il sangue indomito.
Una notte, nella penombra di un cinema, mentre sullo schermo appariva un
intrepido eroe messicano che si imponeva con la sua prestanza e la cui
fisionomia gli ricordava quella di Medardo Barcia, Felipe esclamò, tra le
risate del pubblico: "Il mio papà!".
Più tardi, nel sonno, tornò Medardo Barcia, fiero e imponente come sempre.
Tornò mentre Orrala picchiava il ragazzo e rimproverava Dominga per il suo
intervento protettore: "Non lo coccolare, donna... ". Con un solo
spintone Medardo Barcia fece sparire l'usurpatore e rimase a casa sua per
sempre.
Ma il giorno seguente la realtà fu spietata. Orrala montò su tutte le furie
perché il ragazzo era andato al cinema senza il suo permesso e lo picchiò
duramente. Fu allora che decise di andare a vivere nella cantina di suo zio
fino a quando il ritorno di Medardo Barcia non fosse più solo un sogno.
Sarebbe tornato. Non poteva tardare, perché un albero non può vivere senza le
radici.
All'angolo della tipografia, un piccolo collega coi giornali già sotto il
braccio lo avverte: "Spìcciati, che c'è la foto della vittima".
Comprato il suo pacco, Felipe esce di gran carriera gridando: "El
Universo con la foto della vittima!".
Alle sette di mattina ha finito i giornali e torna a prenderne altri. Ora si
addentra per i miseri vicoli dove il vizio allarga le sue grandi ali scure.
Da queste parti la foto della vittima è un richiamo efficace e perfino le
donne di vita, che hanno passato la notte senza dormire, si avvicinano in
fretta a informarsi sull'ultimo sangue versato.
Alle nove gli rimane una sola copia. Prima che arrivi un cliente, leggerà
l'unica cosa che davvero lo interessi: i fumetti. Si siede su una panchina di
Plaza San Francisco e apre il giornale alla ricerca della sua lettura. Ma
prima di trovarla, i suoi occhi si imbattono in Medardo Barcia. È tornato,
come lui se l'aspettava. Eccolo lì come sempre è stato: indomito,
strafottente. È lì a fianco di Dominga. E con un certo sforzo Felipe sillaba
la notizia:
MOGLIE SVENTURATA UCCISA A PUGNALATE DAL MARITO
L'assassino Medardo Barcia è stato catturato.
È tornato, finalmente. Ma davanti a lui non c'è il vincitore del signor
Orrala, c'è semmai il suo prigioniero. E adagio il suo cuore sussurra un
rimprovero: "Ecco, vedi papà. Ma era Orrala e non la mamma che dovevi
uccidere... ".
Mentre, con un gesto meccanico, le sue labbra offrono all'uomo che in quel
momento gli passa davanti: "El Universo, con la foto della
vittima!".
(Traduzione di Roberto Buigliani.)
Pedro
Jorge Vera (Guayaquil,
1914), "La foto della vittima" è stato pubblicato nel volume
Lutto eterno del 1953. Vera non è solo un maestro della narrazione breve,
come testimoniano raccolte quali Una bara abbandonata (1968), I
dieci comandamenti (1972), Gesù è tornato! (1978) e Racconti
duri (1990), ma anche autore di molti romanzi di impegno e denuncia che
sono aspri ritratti della società ecuadoriana.
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