LA BAMBINA DEL "LÀ"

João Guimarães Rosa


La sua casa rimaneva al di là della Serra do Mim, quasi nel mezzo di un pantano di acqua pulita, luogo chiamato il Timor-di-Dio. Il Padre, piccolo poderante, si affannava con vacche e riso; la Madre, urucuiana, non si toglieva mai il rosario di mano, neppure quando ammazzava galline o lanciava improperii a qualcuno. E lei, bimbetta, di nome Maria, detta Nhinhinha, era nata già molto minuta, capocciuta e con occhi enormi.
Non che sembrasse guardare o osservare di proposito. Se ne stava quieta, non voleva bambole di pezza, nessun giocattolo, sempre seduta là dove si trovava, si muoveva poco. "Nessuno capisce molto di quello che dice ..." affermava il Padre, con un certo sgomento. Meno per la stranezza delle parole, poiché solo di rado lei chiedeva, ad esempio: "Lui ha sciurugato?" e, va a vedere, chi e che , mai si saprà. Ma per la bizzarria del pensiero o l'ornato del senso. Con riso imprevisto: "L'armadillo non vede la luna ..." diceva. O raccontava storie, assurde, vaghe, tutto molto breve: dell'ape che se ne volò sopra una nuvola; di una quantità di bambine e bambini seduti a una tavola di dolci, lunga, lunga, per un tempo che non finiva; o della necessità di fare un elenco di tutte le cose che giorno per giorno si vanno perdendo. Solo la pura vita.
In genere, però, Nhinhinha, con i suoi neppure quattro anni, non dava fastidio a nessuno, e non si faceva notare, se non per la perfetta calma, immobilità e silenzi. Né sembrava gradire o non gradire particolarmente niente o nessuno. Le davano da mangiare, lei se ne stava seduta, il piatto di foglia in grembo, mangiava subito la carne o l'uovo, i ciccioli, quel che fosse più gustoso e attraente, e andava consumando il resto, fagioli, polenta di tapioca, o riso, zucca, con artistica lentezza. A vederla così perpetua e imperturbata, ci si spaventava d'improvviso.
"Nhinhinha, cosa stai facendo?" le domandavano. E lei rispondeva, distante, sorrisa, modulatamente: "Io ... to-o ... fa-a-cendo". Faceva dei vuoti. Che fosse magari un po' sciocchina?
Nulla la intimidiva. Sentiva il Padre chiedere alla Madre di fare un caffè forte, e commentava, sorridendo tra sé: "Bambino chiedone ... Bambino chiedone ...". Era solita rivolgersi così alla Madre: "Bambina grande ... Bambina grande ...". Per questo Padre e Madre fingevano di arrabbiarsi. Invano. Nhinhinha mormorava appena: "Lascia ... La-scia" suadentissima, inabile come un fiore. Lo stesso diceva quando venivano a chiamarla per qualche novità, di quelle da entusiasmare grandi e piccoli. Non si curava degli avvenimenti. Tranquilla, ma florida in salute. Nessuno aveva reale potere su di lei, non si sapevano le sue preferenze. Come punirla? E, batterla, non osavano; né c'era motivo. Ma il rispetto che aveva per Padre e Madre, sembrava più una graziosa specie di tolleranza. E a Nhinhinha io piacevo.
Chiacchieravamo, ora. Lei apprezzava il manto della notte. "Pieniine!" guardava le stelle, delebili, sovrumane. Le chiamava "stelline pigola-pigola". Ripeteva: "Tutto nasce!" la sua esclamazione prediletta, in molte occasioni, con il deferire di un sorriso. E l'aria. Diceva che I'aria aveva profumo di ricordo. "Non si vede quando il vento finisce ...". Stava nell'orto, vestita di giallo. Quel che diceva, a volte era normale, gli altri lo sentivano esagerato: "Altezze d'uruburvola ...". No, aveva solo detto: " ... Altezza dove l'urubù non vola". Il ditino arrivava quasi al cielo. Si ricordò di: "Jabuticaba di viene-a-vedermi ...". Sospirava, poi: "Voglio andare là". Dove? "Non so". Allora, osservò: "L'uccellino è scomparso dal cantare ...". In effetti, l'uccellino aveva continuato a cantare, e, nel trascorrere del tempo, pensavo che non stesse ascoltando; adesso, si era interrotto. Dissi: "L'usignolino". Da allora, Nhinhinha prese a chiamare il sabià "Signor Lino ...". E aveva risposte più lunghe: "Io? To facendo nostalgia". Un'altra volta, si parlava di parenti ormai morti, lei rise: "Vado a visitarli ...". Sgridai, detti consigli, dissi che viveva nella luna. Mi guardò burlona, con gli occhi molto prospettivi: "Lui ti ha sciurugato?". Mai più vidi Nhinhinha.
So, però, che fu da allora che cominciò a far miracoli.
Né Madre né Padre notarono subito la meraviglia, repentina. Ma Ziantonia. Sembra che fu di mattina. Nhinhinha, sola, seduta, guardando il nulla davanti alle persone: "Vorrei che il rospo venisse qui". Se pure la sentirono, pensarono che fosse un frottolare, quello dei suoi vaniloqui, di sempre. Ziantonia, per vezzo, le accennò col dito. Ma, ecco, dritto, a saltelli, l'essere entrava nella stanza, verso i piedi di Nhinhinha - non il rospo gozzuto, ma una bella rana d'acquitrino, venuta dal verdore, la rana verdissima. Visite come questa non erano mai accadute. E lei disse: "Sta preparando un incantesimo ...". Gli altri si spaventarono troppo.
Giorni dopo, con la stessa calma: "Vorrei una focaccina di goiabada ..." sussurrò; e, neppure mezz'ora, arrivò una donna, da lontano, che portava i panetti della goiabada avvolta nella paglia. Quello, chi lo capiva? Né gli altri prodigi, che si vennero succedendo. Quel che voleva, che diceva, subito accadeva. Solo che voleva molto poco e sempre le cose futili e trascurabili, quel che non dà né toglie. Così, quando la Madre si ammalò di dolori, per i quali non c'era rimedio, non ci fu niente da fare perché Nhinhinha le dicesse la cura. Sorrideva appena, mormorando il suo "Lascia ... Lascia ..." - non potevano dissuaderla. Ma venne, lentamente, abbracciò la Madre e la baciò, calda. La Madre, che la guardava con atterrita fede, guarì allora, in un minuto. Seppero che lei aveva altri modi.
Decisero di tenere il segreto. Che non venissero lì dei curiosi, gente maligna e interessata, con scandali. O i preti, il vescovo, volessero occuparsi della bambina, portarla in austero convento. Nessuno, neppure i parenti più stretti, doveva sapere. Anche il Padre, Ziantonia e la Madre, non volevano farne oggetto di chiacchiere, provarono una paura straordinaria della cosa. La credevano un'illusione.
Quel che al Padre, poco a poco, cominciava a dar fastidio, era che da tutto ciò non si traesse il sensato profitto. Venne la secca, la più grande, persino l'acquitrino minacciava di ardere. Tentarono di chiedere a Nhinhinha: che volesse la pioggia. "Ma non può, no ..." lei scosse la testolina. L'incalzarono: che, se no, finiva tutto, il latte, il riso, la carne, i dolci, la frutta, la melata. "Lascia ... Lascia ..." sorrideva, placida, arrivò a chiudere gli occhi, all'insistere, nel subito addormentarsi delle rondini.
Di lì a due mattine, volle: voleva l'arcobaleno. Piovve. E subito appariva l'iride, in un risalto di verde, e il rosso - che era più un vivo color rosa. Nhinhinha si rallegrò, oltremodo, la sera di quel giorno, con il rinfrescare. Fece ciò che mai le si era visto, saltare e correre per casa e orto. "Avrà visto l'uccellino verde"' Padre e Madre si chiedevano. Loro, gli uccellini, cantavano, inviati di un regno. Ma accadde che, a un certo momento, Ziantonia riprendesse la bambina, molto burbera, molto severamente, contro il solito, perfino la Madre e il Padre non lo capirono, non gli piacque. E Nhinhinha, mite, tornò a starsene seduta, inalterata che neppure se sognasse, più immobile ancora, con il suo uccellino-verde-pensiero. Padre e Madre mormoravano, contenti: che, quando crescesse e mettesse giudizio, avrebbe potuto aiutarli molto, come alla Provvidenza certamente piaceva che fosse.
E, ecco, Nhinhinha si ammalò e morì. Si dice che dell'acqua cattiva di quei climi. Tutte le cose vive accadono troppo lontano.
Abbattutasi quella disgrazia, ci furono molti diversi dolori, di tutti, di quelli di casa: un di colpo enorme. La Madre, il Padre e Ziantonia si rendevano conto che era come se ciascuno di loro fosse morto per metà. E da trapassare ancor più il cuore, era il vedere quando la Madre sgranava il rosario, ma invece delle avemarie potendo solo gemere: "Bambina grande ... Bambina grande..." con tutta ferocia. E il Padre lisciava con le mani lo sgabellino in cui Nhinhinha si sedeva tanto, e in cui lui stesso sedersi non poteva, che con il peso del suo corpo d'uomo lo sgabellino si sarebbe rotto.
Ora, dovevano mandare la notizia, al villaggio, perché facessero la cassa e approntassero il funerale, con accompagnamento di vergini e angeli. E lì, Ziantonia prese coraggio, aveva bisogno di raccontare: che, quel giorno, dell'arcobaleno della pioggia, dell'uccellino, Nhinhinha aveva detto una spropositata sciocchezza, per questo l'aveva sgridata. Che era stato: che voleva una piccola bara rosa, con guarnizioni verdi brillanti ... Il presagio! Ora, si doveva ordinare una piccola bara così, per volontà sua?
Il Padre, in brusche lacrime, s'infuriò: che no! Ah, che se acconsentisse, era come farsene colpa, aiutare ancora Nhinhinha a morire.
La Madre voleva, cominciò a discutere con il Padre. Ma, nel più pianto, si rasserenò - il sorriso così buono, così grande - sospensione in un pensiero: che non era necessario ordinare, né spiegare, doveva venir fuori proprio così, in quel modo, color rosa con verdi funebrillii, perché era, doveva essere! - per miracolo, quello della sua figlioletta in gloria, Santa Nhinhinha.

 

(Racconto tratto dal libro La terza sponda del fiume, Oscar Mondadori, 1988, traduzione di Giulia Lanciani.)

João Guimarães Rosa

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