La sua casa rimaneva al di là della Serra do Mim, quasi nel mezzo di
un pantano di acqua pulita, luogo chiamato il Timor-di-Dio. Il Padre, piccolo
poderante, si affannava con vacche e riso; la Madre, urucuiana, non si
toglieva mai il rosario di mano, neppure quando ammazzava galline o lanciava
improperii a qualcuno. E lei, bimbetta, di nome Maria, detta Nhinhinha, era
nata già molto minuta, capocciuta e con occhi enormi.
Non che sembrasse guardare o osservare di proposito. Se ne stava quieta, non
voleva bambole di pezza, nessun giocattolo, sempre seduta là dove si trovava,
si muoveva poco. "Nessuno capisce molto di quello che dice ..."
affermava il Padre, con un certo sgomento. Meno per la stranezza delle
parole, poiché solo di rado lei chiedeva, ad esempio: "Lui ha
sciurugato?" e, va a vedere, chi e che , mai si saprà. Ma per la
bizzarria del pensiero o l'ornato del senso. Con riso imprevisto:
"L'armadillo non vede la luna ..." diceva. O raccontava storie,
assurde, vaghe, tutto molto breve: dell'ape che se ne volò sopra una nuvola;
di una quantità di bambine e bambini seduti a una tavola di dolci, lunga,
lunga, per un tempo che non finiva; o della necessità di fare un elenco di
tutte le cose che giorno per giorno si vanno perdendo. Solo la pura vita.
In genere, però, Nhinhinha, con i suoi neppure quattro anni, non dava
fastidio a nessuno, e non si faceva notare, se non per la perfetta calma,
immobilità e silenzi. Né sembrava gradire o non gradire particolarmente
niente o nessuno. Le davano da mangiare, lei se ne stava seduta, il piatto di
foglia in grembo, mangiava subito la carne o l'uovo, i ciccioli, quel che
fosse più gustoso e attraente, e andava consumando il resto, fagioli, polenta
di tapioca, o riso, zucca, con artistica lentezza. A vederla così perpetua e
imperturbata, ci si spaventava d'improvviso.
"Nhinhinha, cosa stai facendo?" le domandavano. E lei rispondeva,
distante, sorrisa, modulatamente: "Io ... to-o ... fa-a-cendo".
Faceva dei vuoti. Che fosse magari un po' sciocchina?
Nulla la intimidiva. Sentiva il Padre chiedere alla Madre di fare un caffè
forte, e commentava, sorridendo tra sé: "Bambino chiedone ... Bambino
chiedone ...". Era solita rivolgersi così alla Madre: "Bambina
grande ... Bambina grande ...". Per questo Padre e Madre fingevano di
arrabbiarsi. Invano. Nhinhinha mormorava appena: "Lascia ... La-scia"
suadentissima, inabile come un fiore. Lo stesso diceva quando venivano a
chiamarla per qualche novità, di quelle da entusiasmare grandi e piccoli. Non
si curava degli avvenimenti. Tranquilla, ma florida in salute. Nessuno aveva
reale potere su di lei, non si sapevano le sue preferenze. Come punirla? E,
batterla, non osavano; né c'era motivo. Ma il rispetto che aveva per Padre e
Madre, sembrava più una graziosa specie di tolleranza. E a Nhinhinha io
piacevo.
Chiacchieravamo, ora. Lei apprezzava il manto della notte.
"Pieniine!" guardava le stelle, delebili, sovrumane. Le chiamava
"stelline pigola-pigola". Ripeteva: "Tutto nasce!" la sua
esclamazione prediletta, in molte occasioni, con il deferire di un sorriso. E
l'aria. Diceva che I'aria aveva profumo di ricordo. "Non si vede quando
il vento finisce ...". Stava nell'orto, vestita di giallo. Quel che
diceva, a volte era normale, gli altri lo sentivano esagerato: "Altezze
d'uruburvola ...". No, aveva solo detto: " ... Altezza dove l'urubù
non vola". Il ditino arrivava quasi al cielo. Si ricordò di:
"Jabuticaba di viene-a-vedermi ...". Sospirava, poi: "Voglio
andare là". Dove? "Non so". Allora, osservò: "L'uccellino
è scomparso dal cantare ...". In effetti, l'uccellino aveva continuato a
cantare, e, nel trascorrere del tempo, pensavo che non stesse ascoltando;
adesso, si era interrotto. Dissi: "L'usignolino". Da allora,
Nhinhinha prese a chiamare il sabià "Signor Lino ...". E aveva
risposte più lunghe: "Io? To facendo nostalgia". Un'altra volta, si
parlava di parenti ormai morti, lei rise: "Vado a visitarli ...".
Sgridai, detti consigli, dissi che viveva nella luna. Mi guardò burlona, con
gli occhi molto prospettivi: "Lui ti ha sciurugato?". Mai più vidi
Nhinhinha.
So, però, che fu da allora che cominciò a far miracoli.
Né Madre né Padre notarono subito la meraviglia, repentina. Ma Ziantonia.
Sembra che fu di mattina. Nhinhinha, sola, seduta, guardando il nulla davanti
alle persone: "Vorrei che il rospo venisse qui". Se pure la
sentirono, pensarono che fosse un frottolare, quello dei suoi vaniloqui, di
sempre. Ziantonia, per vezzo, le accennò col dito. Ma, ecco, dritto, a
saltelli, l'essere entrava nella stanza, verso i piedi di Nhinhinha - non il
rospo gozzuto, ma una bella rana d'acquitrino, venuta dal verdore, la rana
verdissima. Visite come questa non erano mai accadute. E lei disse: "Sta
preparando un incantesimo ...". Gli altri si spaventarono troppo.
Giorni dopo, con la stessa calma: "Vorrei una focaccina di goiabada
..." sussurrò; e, neppure mezz'ora, arrivò una donna, da lontano, che
portava i panetti della goiabada avvolta nella paglia. Quello, chi lo capiva?
Né gli altri prodigi, che si vennero succedendo. Quel che voleva, che diceva,
subito accadeva. Solo che voleva molto poco e sempre le cose futili e
trascurabili, quel che non dà né toglie. Così, quando la Madre si ammalò di
dolori, per i quali non c'era rimedio, non ci fu niente da fare perché
Nhinhinha le dicesse la cura. Sorrideva appena, mormorando il suo
"Lascia ... Lascia ..." - non potevano dissuaderla. Ma venne,
lentamente, abbracciò la Madre e la baciò, calda. La Madre, che la guardava
con atterrita fede, guarì allora, in un minuto. Seppero che lei aveva altri
modi.
Decisero di tenere il segreto. Che non venissero lì dei curiosi, gente
maligna e interessata, con scandali. O i preti, il vescovo, volessero
occuparsi della bambina, portarla in austero convento. Nessuno, neppure i
parenti più stretti, doveva sapere. Anche il Padre, Ziantonia e la Madre, non
volevano farne oggetto di chiacchiere, provarono una paura straordinaria
della cosa. La credevano un'illusione.
Quel che al Padre, poco a poco, cominciava a dar fastidio, era che da tutto
ciò non si traesse il sensato profitto. Venne la secca, la più grande,
persino l'acquitrino minacciava di ardere. Tentarono di chiedere a Nhinhinha:
che volesse la pioggia. "Ma non può, no ..." lei scosse la
testolina. L'incalzarono: che, se no, finiva tutto, il latte, il riso, la
carne, i dolci, la frutta, la melata. "Lascia ... Lascia ..."
sorrideva, placida, arrivò a chiudere gli occhi, all'insistere, nel subito
addormentarsi delle rondini.
Di lì a due mattine, volle: voleva l'arcobaleno. Piovve. E subito appariva
l'iride, in un risalto di verde, e il rosso - che era più un vivo color rosa.
Nhinhinha si rallegrò, oltremodo, la sera di quel giorno, con il rinfrescare.
Fece ciò che mai le si era visto, saltare e correre per casa e orto.
"Avrà visto l'uccellino verde"' Padre e Madre si chiedevano. Loro,
gli uccellini, cantavano, inviati di un regno. Ma accadde che, a un certo momento,
Ziantonia riprendesse la bambina, molto burbera, molto severamente, contro il
solito, perfino la Madre e il Padre non lo capirono, non gli piacque. E
Nhinhinha, mite, tornò a starsene seduta, inalterata che neppure se sognasse,
più immobile ancora, con il suo uccellino-verde-pensiero. Padre e Madre
mormoravano, contenti: che, quando crescesse e mettesse giudizio, avrebbe
potuto aiutarli molto, come alla Provvidenza certamente piaceva che fosse.
E, ecco, Nhinhinha si ammalò e morì. Si dice che dell'acqua cattiva di quei
climi. Tutte le cose vive accadono troppo lontano.
Abbattutasi quella disgrazia, ci furono molti diversi dolori, di tutti, di
quelli di casa: un di colpo enorme. La Madre, il Padre e Ziantonia si
rendevano conto che era come se ciascuno di loro fosse morto per metà. E da
trapassare ancor più il cuore, era il vedere quando la Madre sgranava il
rosario, ma invece delle avemarie potendo solo gemere: "Bambina grande
... Bambina grande..." con tutta ferocia. E il Padre lisciava con le
mani lo sgabellino in cui Nhinhinha si sedeva tanto, e in cui lui stesso
sedersi non poteva, che con il peso del suo corpo d'uomo lo sgabellino si
sarebbe rotto.
Ora, dovevano mandare la notizia, al villaggio, perché facessero la cassa e
approntassero il funerale, con accompagnamento di vergini e angeli. E lì,
Ziantonia prese coraggio, aveva bisogno di raccontare: che, quel giorno,
dell'arcobaleno della pioggia, dell'uccellino, Nhinhinha aveva detto una
spropositata sciocchezza, per questo l'aveva sgridata. Che era stato: che
voleva una piccola bara rosa, con guarnizioni verdi brillanti ... Il
presagio! Ora, si doveva ordinare una piccola bara così, per volontà sua?
Il Padre, in brusche lacrime, s'infuriò: che no! Ah, che se acconsentisse,
era come farsene colpa, aiutare ancora Nhinhinha a morire.
La Madre voleva, cominciò a discutere con il Padre. Ma, nel più pianto, si
rasserenò - il sorriso così buono, così grande - sospensione in un pensiero:
che non era necessario ordinare, né spiegare, doveva venir fuori proprio
così, in quel modo, color rosa con verdi funebrillii, perché era, doveva
essere! - per miracolo, quello della sua figlioletta in gloria, Santa
Nhinhinha.
(Racconto tratto dal libro La terza sponda del fiume,
Oscar Mondadori, 1988, traduzione di Giulia Lanciani.)
João
Guimarães Rosa
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