Meglio di un duello da film western. Sette o
otto minuti apoplettici, per risolvere partite durate troppo. Già alla fine
dei supplementari, alcuni giocatori accusano crampi alle gambe, ma ormai non
si possono sostituire: l'eroismo comincia qui. L'arbitro fischia la fine dei
centoventi minuti, senza troppa enfasi, tanto sappiamo già dove si andrà a
parare. Le veementi esortazioni degli allenatori d'un tratto lasciano il
posto a una calma quasi compassionevole nei confronti dei giocatori. Non si
tratta più di incoraggiarli, ma di affidarli al destino, con le precauzioni
d'uso, qualche pacca sulle spalle che ricorda le condoglianze. Quelli che
hanno accettato di tirare i rigori si spostano nel cerchio del centrocampo,
con i due portieri. Di colpo sono così lontani da tutto, prigionieri in quel
cerchio del coraggio.
Si tira a sorte tra i due capitani per designare chi sceglierà la porta dove
verrà eseguita la sentenza. Chi vince sceglie sempre la rete davanti ai
tifosi della propria squadra, e tutto il pubblico ricomincia a farsi sentire,
con urla, raganelle, trombe e tamburi. In questo frastuono i tiratori e i
portieri si affrontano come sonnambuli. Una guerra di nervi dove ogni gesto
ha la sua importanza. Talvolta portiere e rigorista si scambiano una
sorprendente stretta di mano. Più spesso, si scambiano minime provocazioni,
tentativi di disturbo mascherati dall'indifferenza. Il portiere inizia la
schermaglia. Lascia il pallone in fondo alla porta, così il tiratore dovrà
andare a prenderlo, e armeggiare qualche secondo con la rete, perdendo la
poca serenità che ancora gli resta. Dal canto suo, il tiratore tenta di
restituire il favore perdendo tutto il tempo possibile quando posa il pallone
sul dischetto dei rigori. La precisione dev'essere infinitesimale: se obbliga
l'arbitro a intervenire per riposizionare la palla, sarà lui a fare le spese
nervose dell'operazione.
A ogni tiro riuscito, i rigoristi più che giubilare, esprimono sollievo; i
più audaci, o i più sconsiderati, alzano il pugno verso la tifoseria
avversaria. Ma l'allenatore resta impassibile, al punto che il suo ritmo
masticatorio inciampa nel chewing-gum.
Tutto un rituale di teste abbassate, rassegnate, di sagome oppresse, di
tensioni contenute, e poi la fine, così irrisoria: dopo la crudele bellezza
del dramma, l'epilogo suona falso.
(Tratto dal libro Una passeggiata al parco, Frassinelli editrice,
Milano, 2004. Traduzione di Alessandra Emma Giagheddu.)
Philippe
Delerm è nato
nel 1950 nel Sud-Est della Francia e vive in Normandia. Sposato, padre di un
figlio, è professore di lettere al Collège de Bernay; è autore di numerose
opere, alcune per l'infanzia. Ha esordito in Italia con La prima sorsata
di birra, cui sono seguiti numerosi altri libri di grande successo.
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