La terribile
tribolazione della Medusa, fregata francese arenata sul bassofondo di Arguin
a quaranta leghe della costa africana il 2 luglio del 1816, ci perviene solo
attraverso alcuni filtri che la trasformano, e l'arricchiscano pure.
C'è prima, ovviamente, il tempo che ci separa come il contesto storico-
questo restauro della monarchia appena celebrato col salto indietro sopra un
quarto di secolo di Rivoluzione ed Impero. Bisogna avere vissuto la
Liberazione del 1944 e il rivolgimento politico e morale che apportava per
farsene una vaga idea. Il fatto che il comandante della nave- Duroy de Chaumareyx-
fu un' ex- immigrato sprovvisto d'esperienza marittima, ha giocato un ruolo
determinante tanto nella causa della catastrofe quanto nell'animo in cui fu
giudicata dopo.
Quello strano ed ammirevole a pensarci bene, è che un quadro di cui l'autore,
Théodore Géricault, doveva essere privato di riconoscenza e di consacrazione
per ragioni politiche e per colpa di una morte precoce, diventa famoso al
punto di frapporsi tra l'evento reale e noi. Cosa sarebbe rimasto nelle
nostre menti del naufragio della Medusa senza Géricault? Entriamo qui nel
campo della mitologia dove l'immagine prevale sul reale.
L'incanto cupo di questo quadro tiene al misto indistinguibile che impone di
morti e sopravissuti, di speranza luminosa e disperazione assoluta.
Il tema della zattera tuffa delle radici profondi nel nostro immaginario.
Si risente un malessere profondo vedendo nel quadro di Géricault una vela
gonfia dal vento supposta trascinare in avanti la zattera. E che la nostra
logica onirica rifiuta la confusione zattera - nave. No, la zattera non è una
nave e non sopporta né vela né motore. D'altronde è quello che hanno provato
fin dall'inizio i componenti dell' equipaggio della Medusa che pretendevano
rimorchiare la zattera con delle scialuppe a rame. A loro è sempre sembrato
che la zattera costituiva una massa immobile di un peso smisurato e che
nessun sforzo di vogatore l'avrebbe fatto muoversi. Che lo volessero o meno,
hanno dovuto tagliare la corda che le legassero alla zattera ed abbandonarla
al suo destino.
Questa "vocazione" all'immobilità di una zattera è stata
recentemente illustrata magnificamente nella foresta di Amazzonia con la
"zattera delle cime". Degli elicotteri hanno deposto in alto degli
alberi del bosco tropicale una larga rete dove vissi un gruppo di naturalisti.
In pieno cielo, a trenta metri del pavimento, hanno potuto studiare gli
uccelli, gli insetti e la vegetazione della "canopea" , piano
sommitale della foresta umida che abrita l'essenziale della vita tropicale.
Niente di questa "zattera" ispira meglio l'idea d'immobilità in un'
ambiente fragile e cedevole.
Sara sicuramente l'occasione di sottolineare l'uno dei componenti i più
bizzarramente evocatori di questa storia stupefacente, questo nome di
"Medusa" indossato dalla fregata. Quale mistero, quale aberrazione
ha fatto nominare questa nave "Medusa"? Perché una medusa non è un
pesce, è un' ombrella gelatinosa che galleggia tra due acque. Paul Valéry ha
celebrato con lirismo questi "esseri di una sostanza imparagonabile,
traslucidi e sensibili, carni di vetro follemente instabili, duomi di seta
galleggianti, corone ialine, lunghe strisce vive, tutte percorse d'onde
veloci, frange ed increspature che si piegano e si spiegano." (Degas,
danse, dessin). E
si è anche costretto di evocare la testa irta di serpenti di l'una delle tre
Gorgone - Medusa- che cambiava in pietra quelli che la guardavano.
Veramente chiamare MEDUSA una nave, non era destinarlo deliberatamente ad un
destino misterioso e tragico?
Eppure la deriva mortale dei 117 naufragi della lugubre zattera conosce
almeno un episodio grazioso, miracoloso, di una poesia tutta aerea. La sera
del quarto giorno, verso le quattro, ci dice Savigny, un banco di pesci
volanti piombava sulla zattera. Più di 300 furono catturati dai naufragi e li
fornissero un cibo inatteso e provvidenziale. Ci pensa naturalmente alla
manna che Giova feci piovere sugli Ebrai attraversando il deserto dopo Moïse,
, ma forse ancora di più alla pesca miracolosa offerta da Gesù agli uomini
del lago di Tiberiade.
Non è l'unico eco religioso di questa storia. Paradossalmente i naufragi
mancavano di tutto proprio, tranne di vino, grazie alla riuscita del carico
di una barica sulla zattera. L'ubriachezza si aggiungi spesso per loro alla
stanchezza e la fame. Anche qui, i ricordi biblici affluiscono in mente,
perché il vino abbonda nella nostra iconografia religiosa, dall' ebbrezza di
Noe, fino alle nozze di Cana.
Eccoci arrivati col vino al cuore del dramma della Medusa che non possiamo
eludere, intendo le scene di cannibalismo che succedino e assicurino
nell'orrore assoluto la sopravita dei 15 scampati raccolti dal brick Argus.
L'antropofagia è stata studiata in numerosi etnie dove si pratica. Il
disgusto che ci ispira deve essere fortemente temperato dalla dimensione
religiosa che prende in tutti i casi osservati. Poiché non si tratta mai di
consumare la carne umana come si farebbe per una verdura o un' animale. Il
morto di chi il corpo è diviso tra i componenti di una stessa tribù è sempre
uno straniero, e il consumo della sua carne ha lo scopo di
"incorporarsi" le virtù che possiede e che sono preziose. Il
cannibalismo è quindi un' atto molto più spirituale di materiale, e nella
maggioranza dei casi il consumo della carne umana prende la forma di una
cerimonia simbolica.
Anche qui, siamo messi di fronte alla nostra propria spiritualità. Per i
giudeo-cristiani che siamo, l'eucaristia non è un mistero semplice ad
assimilare. La sua proclamazione da Gesù provocava scandalo e diserzione tra
i suoi discepoli. E senza dubbio nella sinagoga di Capharnaüm che Gesù si
esprimi col più forza sul soggetto:
"Io sono il pane vivo sceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo
pane, vivera per sempre , e il pane che daro è carne mia per la vita del
mondo." I giudei si missero a parlare tra di loro. Dicevano: "Come
puo darsi la sua carne da mangiare?" Allora Gesù loro dici: " In
verità vi lo dico, se non mangiate la carne del Figlio dell' uomo e non
bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi.. Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue ha la vita eterna e lo risusciterò all'ultimo
giorno." Dopo l'aver sentito molto dai suoi discepoli dissero " E
dura questa parola! Chi la puo ascoltare? ". Pertanto molto dei suoi
discepoli si ritirassero e non anderano più con lui (Evangelo secondo Santo
Giovane 6, 51-60).
Di certo c'è una distanza infinita tra cannibalismo ed eucaristia. Pero la
voce ascendente che li unisce è continua. Qualche anno fa, un' aereo
essendosi schiacciato su una cima della Ande, gli scampati non aviro altra
risorsa che i corpi dei viaggiatori uccisi. Il rimbombo di questa affare nei
media fu considerabile. Interrogherò a questo soggetto il teologo ortodosso
Olivier Clément. Quale è la differenza tra cannibalismo ed eucaristia? Non mi
dimenticherò mai la sua risposta: " E, mi dici, che il cannibale mangia
della carne morta mentre il Cristiano che fa la comunione partecipa ad una
verità viva."
LEGGENDE
1. Una nave ridotta in frantumi, in schegge, in fascine, una barca
scorticata, fatta a pezzi, tagliata, sommersa tra i fiotti agitati,frammentati,
tormentati.
2. Scheletro di zattera che trascina con se scheletri d'uomo.
3. La colonna dei dannati del mare procede verso il suo destino.
4. Il remo, il muscolo, la mascella stretta, sono la forza e la debolezza
umane contro l'immenso elemento.
5. Un barile, è l'unico legame con l'umano che gli resta. Vi ci si avvinghia
come alla pancia della Mamma.
6. Queste ultime assi, questo elegante giro di fune, funesta firma di un'
equipaggio sparito.
7. Sull' infinito nuvoloso e marino, tre insetti galleggianti schivano la
morte.
8. La vela, polmone malato di una finta nave, batte, galleggia e batte
nuovamente invano.
9. "Mazzo" d'uomini nella notte scura, ultimo calore, ultimo
respiro.
10. Frantumati dalla tempesta, una folla si cerca nella notte e i fiotti
neri. Delle mani si tendono, delle braccia si annodano, dei visi spariscono.
11. Sanguinosa battaglia con sciabola e ascia su qualche metro quadrato di
assi di legno.
12. Un giorno livido sileva su un campo liquido cosparso di relitti e
cadaveri.
13. Corpi osceni si offrono alla fame divoratrice dei sopravissuti.
14. Pioggia d'oro e manna del cielo. Un nugolo di pesci - volanti piomba sul
relitto.
15. Un braccio, una gamba, una carcassa, dei resti di pesce. Gli avanzi del
festino di morti viventi.
16. Che scoperta tremenda per i marinai dell' Argus, queste assi putrefatte
ricoperte di belve umane stravolte.
17. Ma questi resti della Medusa non potevano sfuggire ai cento occhi di
Argus, figlio di Arestor.
POSTFACE
Possiamo considerare le litografie di Lionel Guibout opponendole al
capolavoro di Géricault.
Notiamo prima l'urto provocato dal passaggio della pittura alla litografia.
La differenza è considerabile. Il colore vivifica la materia stessa
dell'opera. Ogni colore possiede il suo significo dal rosa "bonbon"
al viola più funesto. L'insieme forma una sinfonia luminosa che esprima lo
soggetto discusso.
Niente di simile per la litografia. Il tratto nero sulla pagina bianca, e
nient' altro, se no qua e là una striscia rossa tale una ferita. E la prova
di verità nell' austerità la più severa.
C'è il movimento pero. E qui che si accumula la forza. Niente di più dinamico
del disegno di Guibout. I suoi personaggi sbocciano d'impulso e di potenza.
Un dinamismo da far paura.
Di uno stesso colpo non è più un quadro d'insieme della famosa zattera che ci
offre ma una seria di viste parziale, quali tanti grandi piani su tale
dettaglio, tale viso, tale episodio. Si esce ebbro di colpi di questa
iconografia forsennata che si apparenta per ritmo a un fumetto.
E un' opera "ricusatore" dell'eternità, che si iscrive
risolutamente nel tempo, nel nostro tempo. Ne adotta il ritmo, il rischio e
il battimento. E questo ancora: si vede bene che allontanandosi della
pittura, la litografia si avvicina alla scultura. Il disegno è, come la
scultura, movimento e presa di possessione dello spazio. Per cio i più grandi
scultori -Falconet, Rodin, Maillol - disegnavano meravigliosamente. In somma
cos' è il disegno? Una scultura a due dimensioni.
(Traduzione di Laura
Ginapri)
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