Le
leggi razziali contro gli ebrei furono un servile omaggio di Mussolini
all'ossessione del potente alleato nazista. Si aggiunsero come paragrafo di
provincia alla legislatura antiebraica del Terzo Reich.
Infami come ogni pretesa di isolare razze dentro il corpo dell'umanità, da
noi, terre di sangue misto, furono particolarmente assurde. Quale razza era
l'italica se non la sede di ogni ovulazione del mare di mezzo? Un riassunto
di semi che non può escluderne alcuno, questo è il ceppo genetico del nostro
luogo impiantato nel mare come un albero di corallo. Da noi ogni famiglia e
stirpe del Mediterraneo ha diritto di cercare un parente. Le leggi razziali
presumevano una razza, la nostra, inesistente. Erano un articolo di fede,
anzi di malafede. Ma, volendo colpire gli ebrei, li perseguitavano tutti,
ricchi e poveri. Le nuove leggi sull'immigrazione, la Bossi-Fini oggi e la
Turco-Napolitano ieri, perseguitano solo i poveri. Li rinchiudono in campi di
quarantena, li detengono senza causa di reato. Perché entrare senza permesso
nel nostro paese non è reato, altrimenti sarebbe reato la storia. Dai banchi
di scuola sappiamo che da noi sono arrivati senza invito i popoli, gli
eserciti, le epidemie, i pirati, i santi, i mercanti, i marinai, le
religioni. La storia non è un pranzo di gala, se ne sbatte di inviti e di
controlli all'ingresso. E noi siamo in un punto di passo della storia e della
geografia. Siamo da sempre sponda di sosta per migratori.
Oggi profittiamo del bisogno e del sudore di stranieri offrendo in cambio
un'ospitalità strozzina e clandestina, venduta pure cara. Ho poco più di
cinquant'anni e ho fatto in tempo a vedere i miei coetanei del sud andare ad
affollare le brande di sottoscale e di abbaino di Torino. Quando la Fiat
rastrellava manodopera muta e docile dai campi del meridione e gli
affittacamere di Torino davano a noleggio le brande ad ore. Ho fatto in tempo
a vedere il razzismo, il meschino senso di superiorità e di arbitrio, degli
italiani verso se stessi. Non mi sorprende vederlo applicato ad altri
subalterni che hanno rilevato il posto di noialtri ultimi.
Siamo diventati un paese di nuovi arricchiti che ha conseguentemente votato
per il più ricco, credendo nella proprietà transitiva della ricchezza. Ma la
ricchezza ha bisogno di divario, di maggiore e non di minore povertà intorno.
Questo dicono le cifre del mondo. Da arricchiti recenti vogliamo dimenticare
le povere origini. Inutile perciò ricordare che veniamo dalle stesse
umiliazioni che imponiamo agli stranieri ospiti. Costruiamo leggi per rendere
il loro passaggio più penoso. Intanto le braccia di mare più battuto
riempiono i fondali di annegati. Un articolo di legge pretende di impedire il
soccorso ai naufraghi. E' solo seguito normativo di quella nostra nave da
guerra che speronò a morte un barcone albanese nel Canale di Otranto una
notte di Pasqua. Si, era di notte, illuminata dalle fotocellule la prua
d'acciaio due volte fu spinta a urtare una fiancata di legno, grande vittoria
navale della marina italiana. Per pura ingratitudine il comandante non è
stato decorato al valore. Era il tempo del centrosinistra e del governo
Prodi, con la P maiuscola. I prodi con la p minuscola infangavano la tradizione
marinara di un popolo di mare, quale siamo.
Ma tutte queste miserabili e losche misure di ostacolo, di contenimento: sono
servite, servono, serviranno ad arrestare l'alta marea dei migratori? È così
ovvio che no, che nessuna legge, per quanto infame sia, può mettere i
cancelli alla storia e alla geografia. Noi saremo comunque attraversati da
una disarmata folla di popoli. I nostri connotati, i figli, le città, le
canzoni, i libri, saranno rigirati da questo cucchiaio. Allora tutti gli
sbarramenti saranno ricordati come canaglierie inutili, come gratuiti sfregi
alla figura della nostra terra aperta e messa apposta in mezzo al mare a
coste spalancate.
Fuori dalle nostre stanze addobbate per un perpetuo Natale, la piccola
fiammiferaia della fiaba di Andersen sta consumando tutti i suoi fiammiferi,
esaurendo la riserva di fuoco, di lume, di pazienza. Mi affido ai versi di un
poeta di Sarajevo, Izet Sarajlic che così chiude una sua poesia sui traslochi
forzati degli uomini: "O il mondo sarà presto popolato esclusivamente da
emigrati, o dovrà diventare l'unica patria universale degli uomini."
Grazie Alessandra e Alessandro di ospitare questa nota approssimativa dentro
le vostre pagine sagge di argomenti e documenti.
Erri De Luca
|