Quelli stanno sbarcando.
Maria guarda lo sbarco dalla terrazza di casa, poi d'improvviso si mette a
correre, a piedi nudi, giù per le scale. Scavalca il tratto di strada che la
separa dagli altri abitanti del villaggio e va sulla spiaggia. Il barcone ha
spento i motori, si sente un tonfo dietro l'altro, il rumore cupo dei remi,
l'ultima fatica di chi, nella notte, cerca di nascondersi.
Ci sono guerre e guerre. Ogni tipo di guerra genera un sentimento diverso. Ci
sono guerre più note con centinaia, migliaia e milioni di morti. Guerre che
passano alla storia per i loro spaventosi effetti devastanti. Guerre piccine
piccine. Guerre civili importanti e meno importanti. Poi ci sono guerre le
cui battaglie rimangono in controluce. Ombre oscure nella storia di un
popolo, ma nient'altro che ombre; eppure, per chi le vive, altrettanto
dolorose e sconvolgenti.
Nel villaggio molti hanno ascoltato il rumore dei remi e sono usciti dalle
case; nessuno fiata, tutti vedono quello che sta succedendo, ma nessuno dice
una sola parola. Stanotte il mare è liscio come l'olio, il vento di scirocco
arriva da dietro la montagna, perciò il mare si è calmato d'un colpo. Quelli
di stasera non rischiano, sono stati fortunati.
Maria sta sulla spiaggia e, insieme agli altri, guarda in silenzio, con il
fiato sospeso, verso il mare. Questi come saranno? Innanzitutto la curiosità,
ma anche la paura. I racconti dei pirati non sono poi così lontani.
Le campane suonavano a stormo quando la Torre di avvistamento sulla spiaggia
incominciava a mandare i segnali di fumo; e tutti correvano a cercare riparo
nelle grotte nascoste della montagna. E poi: eccola la prima nave pirata! Con
che dolcezza beccheggiava sul mare turchese e con che incredibile candore
quegli uomini poggiavano i loro piedi nudi sul bianco immacolato della
spiaggia! Un pirata è sbucato fuori da un mucchio di alghe marce, ha la
sciabola in mano, comincia a fendere colpi a destra e a manca. Indossa un
panciotto e un paio di pantaloni di ricco damasco, al collo ha una catena
d'oro con una gran croce di diamanti. Un Rais sicuramente. Un rinnegato
forse.
Adesso il barcone dei clandestini è arrivato sulla spiaggia; uno di loro,
silenziosamente si è calato in mare e tira la barca con amore, lentamente.
Chi sta lì dentro comincia a stiracchiarsi, si sente il pianto di un bimbo,
la risata di una madre e molti invocano il loro Dio che gli ha permesso di
non affogare in mare.
Gli abitanti delle due sponde stanno in silenzio. Maria e gli altri isolani
sono avvezzi a quegli sbarchi da un Altrove mai visto e molto immaginato. Ora
se ne stanno zitti e osservano uomini, donne, bambini appena un po' più scuri
di pelle, con addosso fame e paura, arrivati da quell'Altrove lì vicino,
molto vicino, appena un braccio di mare da attraversare. Un canale che separa
e unisce l'isola al grande continente africano.
Gli abitanti dell'isola sono poveri pescatori, la loro moneta vale poco o
niente. Nella lunga estate si guadagnano il pane lavorando per i turisti del
Nord e, d'inverno, passano il tempo guardando in televisione un mondo in cui
non si riconoscono.
A quelli del continente africano quest'isola pare ricca, o almeno così hanno
detto loro e così hanno immaginato; comunque sanno che se riescono ad
arrivarci poi la strada verso il grande Nord è spianata. Le porte dell'Europa
sono aperte. I pericoli sono due: il mare e la Guardia costiera, superati
questi due pericoli, si va come il vento.
Poveracci di una sponda e poveracci di un'altra sponda adesso si guardano con
commiserazione e paura.
Maria osserva incantata la grazia di quello che trascina il barcone. Un
ragazzo forte con la pelle ambrata, capelli ricci, come quelli di Maria e,
come i suoi, di un nero lucente. Il ragazzo spinge la barca come se non
avesse un briciolo di fatica addosso, sembra quasi invitare il barcone
vecchio e consunto a farcela a sopportare l'ultima fatica prima di farsi in
mille pezzi. Lo sanno tutti, i clandestini attraversano il mare su quelle
carrette, nessun pescatore dell'isola andrebbe nemmeno a prendere polpi costa
costa con un rottame del genere. Di pescatori, adesso, lì attorno ai
clandestini però non ce n'è, con quella bonaccia sono usciti tutti e
sicuramente da lì fuori, dal mare, già si erano accorti del barcone che
scivolava silenzioso nella notte.
Sulla spiaggia ci sono i loro bambini e le loro mogli. Anche questi sono
esperti conoscitori di barche, di mare e di venti e, adesso, sussurrano e
valutano le buone condizioni di quell'arrivo. Non possono fare a meno di
ricordare la settimana passata, quando il vento alzò il mare e s'infilò tra
le terre. Onde e onde, nessuno usciva per mare; eppure presto si seppe che lì
fuori c'era qualcuno. Gli abitanti dell'isola si erano messi sugli scogli e
guardavano inermi. Il barcone, uno eguale a questo, saliva e scendeva, saliva
e scendeva. Poi niente più.
I corpi arrivarono in serata, spinti dai flutti, cullati quasi, arrotolati
dalle onde. Per giorni i pescatori ne avevano trovati altri impigliati nelle
reti, ma li avevano subito ributtati in mare. Ai pesci. Sopraffatti dalla
paura che la Guardia costiera potesse impedire loro di uscire per andare a
pesca, con la scusa di dover recuperare i cadaveri.
Per cui, adesso, tutti gli abitanti del villaggio sono contenti che questi
qui ce l'abbiano fatta. Almeno sono vivi perché, per il resto, ora
arriveranno le guardie, li prenderanno e li spediranno indietro. Qualcuno
però, forse, ce la farà a nascondersi e vivere per anni da clandestino.
Insomma stanno tutti lì donne, vecchi e bambini a guardare, osservare
silenziosi quella storia che un po' li riguarda e un po' no. Già, perché qui
chi non conosce la partenza? I saluti all'alba per imbarcarsi su una nave:
Livorno, Genova, Marsiglia e andare al Nord? Tutte le famiglie sono spezzate
tra chi è rimasto e chi è là fuori, in Germania, Svizzera, Francia, Americhe.
Per quest'antica storia dell'isola, Maria è sola, non ha più nessuno, il
padre morto in mare in una tempesta, la madre dopo poco, i fratelli in
Germania. Lei, per vivere, si arrangia a servizio qui e là. In estate, di
anno in anno, lavora presso una famiglia di milanesi che si sono costruiti
una casa qui, un po' lontano dal paese, proprio sugli scogli. D'inverno lei
apre loro la casa, gliela rinfresca, evita che la muffa e la salsedine si
mangino pezzo pezzo i bei mobili portati dal Nord. Mobili, divani, tende,
elettrodomestici tutto portato dal Nord. Un mondo Altrove che la ragazza non
conosce e di cui sente sempre parlare. Gente di un Altrove viene nell'isola,
sta un po' e poi ritorna nell'Altrove. Le sembra come se questa gente
portasse nel cuore un segreto, il segreto di un piccolo paradiso a lei
proibito. Anche i clandestini dei barconi sono così; sebbene quelli del Nord
siano ricchi e questi poveri, entrambi passano in fretta; non si fermano,
hanno in mente un altro posto e, quelli che ce la fanno a nascondersi, a non
farsi acchiappare dalla Guardia costiera, scappano subito verso Nord. Il
Nord! Chissà che meraviglia! Per Maria è un sogno continuo e, così, tante
volte, sul finire dell'estate, quando i milanesi preparano nervosi i loro
bagagli per tornare lì su, quando cercano di accumulare barattoli di capperi
sottosale, pomodori secchi, origano - tutte cose, dicono, che qui hanno un
altro sapore - la ragazza ha sperato di sentirsi dire: Maria, cosa stai a
fare qui? Perché non vieni con noi a Milano? Oh sì, lei ci andrebbe subito.
Magari, poi, come a tanti suoi compaesani, le verrebbe una nostalgia
terribile, lì dicono c'è il freddo e il bianco latte della nebbia che
impedisce di vedere le cose, gli oggetti, il mondo con la chiarezza con cui
lo vede qui. Ma, almeno, vedrebbe e vivrebbe. Non solo vedrebbe, ma vivrebbe
dentro il mondo straordinario di cui tutti parlano, dove si lavora, dove si
fanno tutte quelle cose della televisione, dove tutti parlano in quel modo da
gattino come i suoi milanesi e come molti alla televisione, dove le parole
sono parole, dove i soldi sono soldi, dove le macchine sono macchine e tutto
è diverso e meglio di qui giù.
Niente, però, quelli non gliel'hanno detto mai; e così a lei qui, giorno dopo
giorno, nella sua solitudine, non rimane che guardare gli sbarchi dei
clandestini.
Se avesse una sciabola sarebbe un pirata: la forza, la delicatezza del
ragazzo che trascina il barcone colpiscono Maria, non riesce proprio a
staccare lo sguardo da lui. Se fossimo un po' indietro nel tempo, come nei
racconti degli anziani, quello sarebbe un pirata, e quelli, pirati venuti a
fare un assalto alla piccola isola. Pirati, corsari, rinnegati venuti a
riposare, a prendere acqua, a trovare i loro parenti, a salutare. Ma questi,
invece, sono venuti solo per poggiare le loro fatiche sulla piccola isola,
zattera in mezzo al mare, terra di nessuno, luogo che divide e unisce i due
continenti.
Lo sguardo di Maria è così incantato e insistente che quello, con tutta la
fatica che si porta addosso, si ferma un attimo e la guarda, i suoi occhi
nocciola sorridono, uno strano tremore gl'increspa le grosse labbra. Maria
sente il sangue ghiacciare nelle vene, l'assale una paura folle, un'antica
paura dello straniero, del diverso, del non conosciuto. Per questa paura
improvvisa rimane immobile, incapace di fare un gesto verso il ragazzo. Non
lontano, un gruppo di persone cerca di correre e di arrampicarsi sulla
montagna, verso le grotte: alcuni clandestini sono scesi veloci dal barcone e
hanno cominciato la loro fuga per nascondersi alla Guardia costiera. Ma,
intanto, questa ancora non arriva.
La ragazza guarda di nuovo il ragazzo dagli occhi nocciola. P. sempre lì, le
indica con un segno d'intesa le grotte. Di nuovo lei si gira a guardare verso
la montagna: alcuni salgono, donne si trascinano bambini, uomini camminano
quasi carponi per farsi piccoli, invisibili, trasparenti. Il loro Dio oggi li
aiuta. Riguarda il ragazzo del barcone. Il quale, intanto, è uscito
dall'acqua e sta lì davanti a lei, sembra volerle dire qualcosa ma non parla
come se tra di loro ci fosse un abisso incolmabile. Stanno lì i due ragazzi e
tremano, non sanno avvicinarsi, non conoscono né gesti né parole che li
possano aiutare. Stanno lì, mentre i loro corpi continuano a tremare e le
loro teste sono mute, silenziose, interamente prese dal riflesso dell'altro.
Poi i clandestini diventato tanti e il ragazzo sparisce in mezzo ai
clandestini. Maria lo cerca con lo sguardo. Lo rivede mentre, con fare
sicuro, organizza gli altri. Il barcone abbandonato è rimasto in mezzo al
mare e va avanti e indietro spinto dalle piccole onde.
Poi, ecco, si sente la sirena della Guardia costiera, qualcuno l'ha avvisata
e i clandestini cominciano la fuga. Molti, però, sono talmente stanchi e
affranti che si buttano per terra disperatamente, ora li prenderanno: almeno
daranno loro da mangiare, un letto e una doccia. Il ragazzo le è di nuovo
molto vicino e lei ha paura. Le sta sussurrando qualcosa. Le sta chiedendo
qualcosa. Ma lei è paralizzata dalla paura o forse più semplicemente non ha
idea di come si dovrebbe comportare.
Tra gli altri clandestini, alcuni si difendono, urlano, combattono, piangono.
È in corso una piccola ma ferocissima guerra.
Maria sta immobile e guarda. Il ragazzo non si vede più, lei lo vorrebbe
cercare, andargli incontro, prenderlo per mano: con lui se ne andrebbe. Se
potesse scegliere, lo sceglierebbe. E invece? Finirà con lo sposare uno
schifoso e vecchio di qui? Si chiede. Meglio sola. Se poi sola non ce la facesse
a vivere? Le viene da ridere: tutti questi pensieri le girano per la testa
proprio ora e, invece, magari, quel ragazzo è uno più schifoso ancora e vuole
rapirla, violentarla, cosa ne sa lei di com'è fatta la gente dell'Africa?
Eppure si è fissata. Dentro di lei sente di potersi fidare di quello
sconosciuto.
Ride. Qualcuno passa e pensa: "Talé Maria è uscita pazza. Mischina
infuddiu, prima o poi, sola com'è, doveva capitare".
Molti lì stanno a guardare, poi poco a poco la spiaggia bianca si svuota. Tra
i clandestini, chi ha potuto è fuggito verso le grotte della montagna. Molti,
invece, sono stati presi; li porteranno in quella specie di carcere, di
caserma senza un albero, senza un riparo dal sole, dove li tengono
prigionieri prima di rispedirli a casa. Ora i clandestini passano davanti
agli abitanti del villaggio, tutti in fila, le mani dietro la schiena come
dei criminali, le teste chine di chi ha fallito la propria personale speranza
di vivere un vita Altrove, in un posto immaginato migliore; i corpi stanchi,
distrutti da giorni e giorni di navigazione, dalla mancanza d'intimità, da
sporcizia e fame.
Nella spiaggia bianca è rimasto un po' di tutto: brandelli di vestiti, sangue
sui sassi, cappelli, mantelli, vecchie coperte, asciugamani stracciati. Ci
sono anche alcuni dimenticati: un bambino, un vecchio, una vecchia. Nelle
guerre ci si dimentica sempre di questi inutili fardelli. Pesi per i sani,
per gli svelti di piede e di mente. E questi sono rimasti lì come ingombri
inutili, perfino la Guardia costiera non presta loro attenzione. Poi, però,
una guardia ferma il corteo degli ammanettati, torna indietro, prende in
braccio il bambino, fa alzare i due vecchi e il corteo mestamente riparte.
Gli abitanti del villaggio se ne tornano a casa, è finita come sempre, e anzi
si sente qualcuno commentare, "debbono ringraziare Iddio di non essere
stati mangiati dai pesci come i loro compari della settimana scorsa!".
Maria invece è rimasta sulla spiaggia, cerca ancora quel ragazzo, il ragazzo
del barcone. È sicura, non è stato preso, e non si è nascosto in montagna;
stava dietro di lei e poi, d'improvviso, è sparito.
Anche la povera scema del villaggio è rimasta sulla spiaggia. Tutti la
conoscono. Di solito passa le sue giornate rinchiusa in una piccola stanza
senza luce. Di lei ci si dimentica facilmente. Ma la scema è felice quando
viene dimenticata perché, allora, in compagnia della sua ombra, gira lungo
quel tratto di costa, dove gli scogli puntuti le danno l'impressione di
essere la regina solitaria di un regno immenso. Regina dei granchi, dei
pesciolini, delle alghe sottili. A piedi nudi salta sugli scogli, strappa le
alghette e le divora, le succhia una per una. Il sapore del salato, l'amaro
del mare le riempiono la bocca e il cuore di gioia. La sua ombra la segue,
insieme parlano, discutono, farfugliano delle condizioni del mondo, prendono
visione di tutti i mali, di tutte le storture.
Maria si è seduta per terra, volentieri avrebbe seguito il pirata con gli
occhi nocciola. Se fosse stato lui, proprio lui a prenderla, lei l'avrebbe
seguito. Con lui se ne sarebbe andata in un posto qualsiasi al di là del mare
che la imprigiona. Se ne sarebbero andati insieme al Nord, lei avrebbe
parlato la lingua italiana e gliel'avrebbe insegnata, e dopo un poco tutti e
due avrebbero imparato a parlare come gattini. Si sarebbero presa una casetta
in mezzo alla nebbia e avrebbero vissuto liberi, fuori dal mare prigioniero,
fuori dalla miseria, fuori dagli occhi bavosi di chi guarda con ostilità una
ragazza sola. E invece se ne è andato da solo. Non ha capito che lei era
pronta per lui.
"Con quello - pensa Maria - andrei in capo al mondo perché si vede dagli
occhi quando un uomo è buono e gentile".
Lui l'avrebbe trascinata via da quest'inferno. La ragazza non riesce a capire
perché non se l'è presa. Non riesce a capire perché se ne è andato da solo,
così scappando, anche perché si vedeva benissimo che a lui piaceva: e allora?
Cosa è successo? Di cosa si è spaventato? In mezzo a tutta quella confusione
della Guardia costiera, aveva visto benissimo come lui la guardava. E allora?
Aveva forse fatto un gesto che lei non aveva capito? Lei era ferma, ferma
sulla spiaggia. Dritta, immobile con il sorriso ghiacciato sulla faccia. Ogni
tanto qualcuno, uno di qui o uno di li, si fermava e la guardava. Ma mai
nessuno se la vuole prendere. "Io li odio tutti 'sti sbarchi di
turchiceddi". Pensa e li chiama con il nome antico, così come la gente
dell'isola ha sempre chiamato i popoli, pirati o no, venuti dall'Africa:
turchi e turchiceddi.
Adesso la ragazza ricorda gli sguardi scambiati con il turchiceddu, sguardi
muti e lontani. C'era stato solo un attimo colmo di desiderio e poi qualcosa
li aveva separati. Ma cosa? La differenza? Cosa sarebbe 'sta differenza per
cui tutti hanno paura di tutti gli altri? E, poi, davvero là, in Africa, così
vicina che d'inverno con l'aria pulita si vede precisa precisa la costa, è
così diverso? E quanto è diverso? Lui non se l'è portata per questa
differenza misteriosa? Per questo a lei tocca ancora rimanere nell'isola e
aspettare il prossimo sbarco? Le tocca rimanere qui, nelle lunghe estati
infuocate, nei lunghi inverni tra l'acqua e il fango, nelle mattinate dure di
fatica, in giro, a piedi scalzi, a cercare un lavoro, ad allungare la mano
per un tozzo di pane?
La ragazza, presa dallo scoramento, sta accovacciata sulla spiaggia. Per un
attimo si era illusa, la sua vita stava per cambiare, poi di nuovo si è
trovata di fronte alla ripetizione uguale, inutile, senza sbocco. Tra i
rottami della spiaggia trova un secchio arrugginito, con forza e con rabbia
si strappa un lembo della veste già a brandelli e comincia ad asciugare
tutt'attorno. Lo fa tanto per fare qualcosa, così almeno passa il tempo.
La scema, dimenticata dalla famiglia, non si accorge di lei, se n'è andata più
in là a mangiucchiare alghe e granchietti.
Così le due donne camminano per la spiaggia ingombra.
Sono due ma sono sole, in un'eterna solitudine di uomini, di guerre, di
devastazione.
Poi un grido.
Maria si alza di botto e già s'immagina che qualcuno abbia fatto del male
alla scema e corre. Corre come una pazza, per terra sta per inciampare in un
grosso bastone levigato dal mare; lo afferra e avanza per colpire, per
ferire, per uccidere. Corre e inciampa; si rialza e corre con quel grosso
bastone in mano; corre verso quel grido che non si è più ripetuto e questo le
fa ancora più paura. Il silenzio attorno a lei è totale, prova a chiamare la
scema, "Cettina! Cettina!". Niente, non risponde nessuno.
Così se li trova davanti all'improvviso. Ed è lei adesso a lanciare un grido
non di spavento ma di meraviglia, o di stupore o, forse, una gioia senza
ritegno esce da dentro di lei come una cascata, come una valanga
incontenibile e l'inutile bastone le cade di mano. Sono lì, il pirata dagli
occhi nocciola e Cettina. La scema ondeggia prima su un piede e poi
sull'altro, si stringe le mani davanti e poi dice, "Lo vedi Maria cosa
trovai?". E si mette la mano sulla bocca per nascondere il sorriso sui
denti marci. Infatti tiene il pirata per un braccio, e questo si fa tenere
senza fare alcun gesto di difesa. Sta lì il ragazzo, buono buono perché poi
lo sa bene, è nelle mani di quelle due donne, se lo denunciano è fregato.
Invece vuole farcela e in Africa non ci torna manco ammazzato, per questo sta
lì così buono buono a convincere le due ragazze quanto è buono e quanto è
bello farselo amico, soprattutto, lui ha bisogno di essere nascosto per
qualche giorno. Questo le ragazze lo capiscono, non ci vuole molto: sbarchi
di clandestini ne vedono in continuazione, gente come loro, mischinelli senza
pane.
Cettina e Maria si seggono per terra a riflettere. Anche il pirata si siede
accanto a loro, di fuggire non ha intenzione per questo subito diventano
tutti e tre amici. Tre ragazzi seduti sugli scogli di un'isola abbandonata in
mezzo al mare. Tre ragazzi che non ne possono più della loro vita.
Notte. Maria dorme a casa sua. Karim nel cortile della villa dei milanesi,
avvolto nella copertaccia che Maria ha tirato di nascosto fuori dalla casa.
Cettina nel suo lettuccio da bambina.
In paese di già tutti sanno. Qualcuno ha avvistato le due ragazze e Karim
sulla spiaggia. Quel terzetto ha colpito alcuni di passaggio e, subito, ha
cominciato a circolare la voce di uno rimasto da Maria. Poi, però, tutti nel
villaggio hanno visto la ragazza ritornare da sola verso casa sua. E le voci
pettegole si sono zittite. Rimaneva però il dubbio che qualcuno fosse rimasto
sulla spiaggia. Poi la scema se ne è tornata a casa con un sorriso di
felicità tale da fare impazzire e così subito tutti hanno cominciato a
chiederle, "Cettina che ti pigliò?". E quella giù a ridere. E tutti
passavano, "Cettina che ti pigliò?", e quella con la mano davanti
la bocca. Così per un pezzo. Poi qualcuno le domanda, "Hai visto
qualcosa di speciale? Ti è capitato un fatto speciale?". Cettina non si
può tenere più e ride a crepapelle e sbotta a dire, "Uno s'ammucciò 'dda
Butta", uno si è nascosto là sotto, e mentre lo dice tutti vedono Maria
andare verso la casa dei milanesi.
Tutti capiscono ma, per ora, stanno zitti.
Karim, Maria e Cettina hanno l'innocenza dei ragazzi davanti alla vita. Karim
ha già attraversato il mare, ha già lasciato i suoi affetti, sa già cosa
significa essere in terra straniera, ha visto su quel barcone la gente
soffrire, i vecchi disperati, le donne costrette a un'intimità indesiderata,
ma la sua speranza è intatta: ha avuto fortuna, ha incontrato Maria.
Maria non ha mai lasciato la piccola isola, non ha mai attraversato il mare,
ma oggi pensa che ha avuto fortuna a incontrare Karim. Lo ha sempre saputo
lei che sarebbe successo così, di botto, e poi è sicura, per lui è lo stesso
e con lui se ne andrà dall'isola.
L'alba la trova già in piedi. Organizza un piccolo sacco di cose, poca
biancheria, un maglioncino, un vestituccio, un paio di sandali. Mette in una borsettina
gli orecchini con i coralli ereditati dalla madre e la lega alla cintura, ben
nascosta come ha visto tante volte fare agli emigranti. Si guarda indietro
per l'ultima volta. Esce silenziosa, a piedi nudi e corre, corre verso la
villa dei milanesi.
Cettina si sveglia di botto tutta sudata. Ha paura di avere fatto tardi. A
piedi nudi esce da casa e corre verso la villa dei milanesi.
Karim e Maria sono lì, non fanno niente, tra di loro c'è solamente il grande
imbarazzo per tutto quel desiderio di cui non sanno bene cosa fare. Sono
seduti per terra, sulla copertaccia e si dicono qualcosa in un sussurro di
parole incomprensibili. Poi Karim si alza e tende la mano a Maria. Maria si
alza e camminano insieme, escono dalla villa, vanno verso il mare.
La scema prova a chiamarli, ma quelli sembrano non sentire, ridono tra di
loro, lontani sempre più lontani, poi si girano un attimo e la salutano con
la manina, lontani, lontani. Per questo Cettina si mette a piangere e a
urlare. Non vuole essere lasciata. Maria aveva promesso. Sugli scogli, quando
erano loro tre seduti - e poi Karim lo ha trovato lei -, le aveva promesso,
in cambio del silenzio, di portarla con loro. E invece ora li ha visti:
quelli se ne stanno andando senza di lei.
Le sue urla svegliano tutto il villaggio. Tutti sono attorno alla scema che
piange. Poi una vecchia dice, "Che ci fu Cettina, ti mise le mani
addosso il turchiceddu?". E così, d'improvviso, senza essere annunciata,
ritorna là paura antica, il ricordo di racconti orribili, di ansie mai
finite: pirati, stupri, turchi, donne e bambini rapiti.
Ritorna la guerra, ritorna il nemico, il diverso, l'altro. "Ti fece male
il turchiceddu?".
Silenzio.
Cettina piange e non capisce cosa le chiedono. Piange, piange, lei vuole
Maria e Karim, vuole andare via con loro. Piange. E la vecchia,
"Signuruzzu perché non hai protetto questa tua creatura
innocente?". È come una parola d'ordine; un segnale mai dimenticato
ritorna a galla, un fremito di difesa, la necessità di difendere i più deboli
della comunità.
Gli uomini si girano verso il mare come belve. Dove sono andati? Chiedono
alla scema che pensa così di raggiungere i suoi amici traditori. Cettina
indica il mare, gli scogli e, nel mare, il barcone rimasto lì abbandonato dal
giorno prima.
Sono passati pochi anni eppure Maria ha tutti i capelli bianchi, dei suoi
riccioli lucenti non rimane traccia. I capelli bianchi sono appuntati alla
moda antica dell'isola. Ma nell'isola non ci sta più e non ci vuole mai più
mettere piede. Ora abita al Nord, fa la cameriera, la colf si dice da questa
parti, in un'allegra famigliola, in un paesone anonimo da cui lei non esce
mai, non ha dove andare e soprattutto non le interessa. Ogni tanto pensa al
mare e agli scogli sì, di questi ha nostalgia, delle alghette da succhiare,
dei granchietti che ti mordono i piedi nudi, per il resto, dell'isola non ne
vuole sapere proprio niente. E quando, per caso, un odore, un sapore, un
colore le ricorda quei luoghi allora, presto presto, si passa la mano sulla
testa, si accarezza i capelli bianchi e ricorda.
Ricorda il braccio teso di Cettina a indicare verso lei e Karim. Ricorda
soprattutto la folla, come una muta di cani dietro a quel braccio teso.
Ricorda di avere urlato e di avere coperto Karim con il proprio corpo,
ricorda il braccio di un pescatore averla strappata da lì e poi il buio.
Vagamente ha l'impressione di ricordare una barca trascinare il barcone dei
clandestini al largo e poi tornare indietro. Ricorda le donne circondarla con
un affetto indesiderato. Ricorda, di averle maledette, di essersi rinchiusa
in casa per giorni, per mesi e, poi, di avercela fatta.
Via dall'isola senza Karim. Lui è in mezzo al mare, con i pesci, i
granchiolini... le murene... i polipetti... le seppioline.
Ci sono guerre e guerre. Ci sono guerre più note con centinaia, migliaia e
milioni di morti. Poi ci sono guerre le cui battaglie rimangono in
controluce. Ombre oscure nella storia di un popolo, ma nient'altro che ombre;
eppure, per chi le vive, altrettanto dolorose e sconvolgenti.
(Tratto da Storie
d'amore, L'ancora del Mediterraneo editrice, Napoli, 2003)
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