Appunti sulla lingua

- la testimonianza di uno studente serbo in Italia sulla questione della lingua -

Bojan Mitrovic

 

Nei sogni

Da quando sono venuto in Italia, con una certa frequenza mi è stata rivolta la domanda: "Ma tu, in che lingua sogni?" La mia risposta era sempre uguale, cioè che la lingua nei miei sogni dipende dal destinatario. Questa è una risposta assolutamente logica, poiché tentare di spiegare qualcosa in serbo ad un italiano medio, sarebbe un incubo a sé stante, più che un elemento normale dei sogni. Non era, però una risposta che piacque.
Nel rivolgermi quella domanda i miei interlocutori speravano, forse, di trovare una lingua del subconscio che sarebbe la mia lingua "vera", prima dell'avvento della babele di lingue "apprese", le quali, in verità, sono poche. A loro dispetto, il mio essere dormiente usa le lingue esclusivamente come veicolo della comunicazione e definisce linguisticamente più il destinatario sognato che non me.


Senza grammatica

Ho imparato l'inglese quando avevo cinque anni, e l'italiano quando ne avevo venti, ma in entrambi i casi la mia conoscenza proveniva dall'esperienza diretta e non dallo studio. Non ho mai dunque "perso tempo" a studiare una lingua, ma solamente imparavo a nuotare ogniqualvolta cascavo in un liquido diverso. Forse per questo motivo non ho mai sentito alcuna lingua come "straniera", ma meramente, come una madrelingua imparata più tardi.


La lingua e il pensiero

L'argomento per questo appunto potrebbe essere inesauribile, se non fosse per il fatto che, alla lingua, non ho mai pensato. Per questo, mi limiterò al pensiero nella lingua.
Ho fatto l'università in Italia, mi sto laureando in storia della Serbia e in serbo sono le mie fonti, ma la maggior parte della letteratura teorica che uso è stata scritta in inglese. Su questa semplice osservazione potrei costruire un piccolo schema delle lingue che conosco: l'oggetto, e forse anche la radice culturale (qualsiasi cosa questa sia!) della maggioranza dei miei pensieri è collegata al mio paese d'origine, elaborata secondo modelli anglosassoni ed espressa in italiano. Il resto è metalinguistica, il che non è il mio piatto forte.


La lingua ausiliare

Ciò che chiamiamo la lingua ausiliare è la lingua che entrambi gli interlocutori conoscono, ma scelgono per convenzione di esprimersi in un'altra lingua (la lingua del discorso). Il tipico esempio di lingua ausiliare oggi è l'inglese. L'uso di una qualche parola di questa lingua, inserita nella lingua del discorso, permette al mittente di procedere senza fermarsi, anche quando non conosce il termine esatto nella lingua del discorso. Nel caso nel quale il destinatario non conosce il termine preso "in prestito" dalla lingua ausiliare, i due interlocutori, attraverso un'indagine dialettica di entrambe le lingue, arrivano al giusto termine. L'uso della lingua ausiliare è largamente consigliato nella comunicazione orale informale, poiché rende più fluido il discorso e facilita l'apprendimento di parole nuove.
Per farla breve, ancora oggi, quando una parola in italiano non mi viene, uso l'inglese.


La lingua del destinatario

Riprendendo il primo punto, vorrei precisare che, anche se per me la lingua non rappresenta un vincolo di alcun genere, la trovo piuttosto vincolante nel rapporto con gli altri. Esiste, da parte mia, una precisa identificazione di ogni persona che conosco con la lingua che parla.
È chiaro che in tutti i discorsi si possono usare innumerevoli parole prese dalle altre lingue, e che in linea di principio la "lingua del discorso" non deve coincidere con la nazionalità della persona con cui parlo, ma una volta che ho identificato una persona con la lingua "principale" di questa, mi è estremamente difficile parlare in un'altra lingua. Ogni violazione di questo principio mi fa sentire la lingua che parlo come "straniera".


Conclusioni

Ora, per rispettare le consegne, dichiaro solennemente che non ho mai vissuto alcuna lingua come qualcosa di imposto, e dunque percepisco le lingue che conosco come integranti e non conflittuali. Imparare le lingue serve per acquisire nuove conoscenze, ma non credo che nessuna lingua rappresenti una conoscenza di per sé. È un veicolo, e deve essere usato per trasportare, altrimenti perde ogni significato, se non come status symbol.
Credo fermamente che la conoscenza delle lingue non influisca sull'identità personale e considero palesi tutte le affermazioni sopra citate. Ogni ulteriore indagine su di esse significherebbe, per me, cercare di dimostrare l'ovvio, e dovrei essere o un matematico e un filosofo per farlo.

 



(Tratto dalla rivista Sguardi e parole migranti, a cura di Melita Richter e Lorenzo Dugulin, Coordinamento delle Associazioni e delle Comunità degli Immigrati della provincia di Trieste, 2005)



Bojan Mitrovic è nato a Belgrado nel 1975, si è laureato in Storia all'Università di Trieste, ha conseguito il titolo "Master of Arts" presso la Central European University a Budapest, attualmente è dottorando in Storia a Trieste.

Torna alla guida