- Andiamo! - disse Jaime e cominciammo a camminare per la strada
buia.
Al secondo angolo c'era un poliziotto che lasciava cadere continuamente il
manganello in terra. I passanti dovevano tenersi alla larga, mi disse Jaime, era
proibito formare gruppi. Dall'oscurità delle persiane vicine giungevano voci
di donne, che ci chiamavano.
Da qualche parte qualcuno discuteva. All'angolo si fermò un'auto della
polizia e Jaime affrettò il passo. Sentii i palmi delle mani umidi nelle tasche.
Al nostro passaggio qualche porta si apriva fugacemente e mostrava un corpo
seminudo, bianco contro l'oscurità dei saloni.
- Andiamo avanti! - disse Jaime e camminammo per altri tre o quattro isolati.
Adesso sul marciapiede c'era parecchia gente. Si accalcavano formando gruppi.
Il manganello del poliziotto colpiva con furia.
- E qui! - disse di nuovo Jaime e sentii un gran sollievo ma al tempo stesso
un formicolio lungo il corpo.
Bussò a una porta. Ci misero un bel po' ad aprire. Quelli che camminavano sul
marciapiede ci incrociarono prima che ci venisse aperto. Quando furono
passati la porta si apri ed entrammo. La sala era molto buia, ma alcune
lampadine velate permettevano a stento di percepire le sedie contro le
pareti. Erano tutte occupate e in generale regnava il silenzio.
All'inizio non avevamo dove sederci e rimanemmo appoggiati al muro. Di tanto
in tanto iniziavano alcune conversazioni a bassa voce, ma presto morivano. Le
ragazze andavano avanti e indietro. Entravano in alcune porte e uscivano da
altre. Si fermavano qualche secondo a salutare i loro conoscenti. Alcune si
sedevano un momento sulle gambe di qualcuno. Erano vestite generalmente di
nero o di rosso intenso. Il rosso era attraente nell'oscurità. Jaime salutò
alcune delle ragazze, orgoglioso di essere un conoscente della casa.
Predominavano i giovani, come noi, ma c'erano anche uomini maturi e perfino
due o tre vecchi dai capelli bianchi.
Arrivò una ragazza molto carina. La pelle bianca contrastava con i capelli
nerissimi, che le cadevano sulle spalle. Aveva gli occhi grandi, a mandorla,
che le davano un'espressione leggermente orientaleggiante. Una fascia di tela
rossa le copriva appena i capezzoli e i seni si presentavano solidi, eretti.
I pantaloncini, a vita bassa, lasciavano scoperto un ombelico profondo.
Calzava scarpe dal tacco molto alto che la costringevano a camminare quasi in
punta di piedi, rendendo snella una figura che altrimenti sarebbe apparsa un
po' grossa.
Si sedette sulle gambe di Jaime. Bisbigliarono. Poi mi guardò e sorrise. Le
mani di Jaime, che si muovevano sulle sue cosce, richiamarono la sua
attenzione.
Passò il tempo. Gli uomini vicino a noi venivano chiamati, mentre ne
arrivavano sempre di altri. Chiesi a Jaime una sigaretta. Io non avevo
fretta. Anzi, avrei voluto che la ragazza con gli occhi a mandorla si
trattenesse. Quando pensavo a lei, il formicolio tornava a ondate. Il fumo
appariva molto bianco quando saliva fino ai raggi di luce che entravano dalle
porte illuminate, ai lati del salone.
Da una di quelle porte si affacciò la ragazza e mi fece segno di seguirla.
Un'onda tiepida mi scese lungo le gambe quando mi alzai in piedi. Non guardai
Jaime ma sapevo che mi seguiva con lo sguardo.
Camminammo per un corridoio interno sul quale davano molte porte. Incrociammo
un'altra ragazza che portava un catino di smalto bianco, pieno d'acqua. Si
sentiva odore di profumo mischiato a urina proveniente da qualche bagno
vicino. Entrammo in una stanza molto piccola. Una lampadina debolissima
emanava una luce molto tenue. Un letto basso si rifletteva in due grandi
specchi, sull'anta di una vecchia cristalliera. A un lato una sedia. In un
angolo, per terra, un catino bianco, smaltato.
- Sono tre pesos - mi disse. - Scusa, ma è l'usanza della casa quella di
pagare in anticipo.
Frugai goffamente nelle tasche finché non trovai il denaro. Allora lei si
spogliò e si stese sul letto, supina. Il triangolo di pelo nero risaltò su
tutto.
Cominciai a togliermi i vestiti e a poggiarli ordinatamente sulla sedia. Lei
mi guardava. Rimasi nudo e mi sedetti sul bordo del letto per togliermi le
scarpe. Sentii la sua mano sul mio fianco:
- È la prima volta, vero? - disse la voce, dolce.
Io le davo le spalle. Dissi senza girarmi:
- No.
- Così mi ha detto il tuo amico -. La sua voce era di nuovo quella di prima.
Odiai Jaime.
- Lui che ne sa?
Mi stesi sul letto. Sentii le sue braccia fredde intorno al mio corpo. La
baciai e la sua bocca sapeva di sigaretta. Le sue mani esperte mi guidarono e
la possedetti.
Quando giacevo su di lei, da sotto il cuscino prese le sigarette e ne accese
una. Io la guardavo fumare. Lei guardava il soffitto e ogni tanto me, senza
dire niente. Fuori si udivano a volte i tacchi delle donne, o lo strisciare
di scarpe degli uomini. Quando finì di fumare la sigaretta mi disse:
- Devi andartene.
Mi alzai in piedi e cominciai a vestirmi. Lei andò verso l'angolo dov'era il
catino. Si chinò e cominciò a lavarsi il sesso. Io guardai dall'altra parte.
La sentivo trafficare dietro di me. Finii di vestirmi e mi girai. Lei era
pronta. Mi accompagnò fino al salone buio.
- Torna - mi disse, mentre faceva segno a qualcuno nel salone.
Avrei voluto dirle qualcosa di carino, ma non mi guardava già più.
Jaime non c'era e lo aspettai. A quell'ora c'erano ormai alcune sedie libere.
Mi sentivo svuotato e non riuscivo a trattenere nessun pensiero. Tornò Jaime
e uscimmo in strada.
- Che te ne è parso? - mi chiese.
- Bene -. Pensai di rimproverarlo per aver detto alla ragazza che era la
prima volta che andavo a letto con una donna, ma decisi di tacere.
- È la più carina della casa - insistette Jaime. - Le ho parlato perché ti
trattasse bene. La conosco da tempo. Continuai a tacere.
- Hai usato il preservativo?
- No.
- Ti consiglio di usarlo sempre, puoi prenderti qualche malattia. Anche se
questa è una ragazza molto pulita. Associai la frase con la scena del catino.
- Dopo uno si sente bene - continuava a dire Jaime. - Fa male masturbarsi.
Il rumore che faceva il manganello del poliziotto quando colpiva l'asfalto si
andò perdendo nella notte.
(Brano tratto dal libro Pescando
recuerdos, Besa editrice, Lecce, 2005. Traduzione di Francesca
Sammarco.)
Enrique Oltuski (L'Avana, 1930) è stato a capo
del Movimento 26 Luglio a Santa Clara, nell'antica provincia di Las Villas.
Durante la sua attività clandestina, svolta sotto la copertura di impiegato
della Shell, ha raccolto fondi per aiutare a sostenere la guerriglia sulle
colline contro il regime di Batista, ha realizzato sabotaggi alle
istallazioni nemiche, ha appoggiato l'attività politica tra gli operai e i giovani
combattenti, in quella che fu chiamata "guerra della pianura".
Dopo il trionfo della Rivoluzione ha occupato la carica di Ministro delle
Comunicazioni del primo Governo Rivoluzionario e, in seguito, è stato vice
ministro dell'Industria e vice presidente della Junta Central de
Planificación agli ordini del Che per cinque anni.
Ha poi lavorato nell'allevamento del bestiame e nell'industria zuccheriera.
Attualmente occupa l'incarico di vice ministro dell'Industria della Pesca.
Ha scritto su periodici e riviste internazionali. Nel 2000 è uscito il suo
primo libro, Gente del llano, tradotto e pubblicato anche negli
Stati Uniti.
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