SM: Cosa ne pensa Prof. Allam del Decreto recentemente emanato dal
Ministero dell'Interno sulla istituzione della consulta Islamica?
Tutti i paesi europei, da oltre quindici anni, tentano di istituzionalizzare
l'islam: il compito non è dei più facili, per due motivi. Il primo è che
nell'islam non c'è una chiesa, dunque si potrebbe dire che "il musulmano
è sacerdote di se stesso". Il secondo motivo è che lo sviluppo di un
islam in Italia e in Europa è il risultato degli odierni processi di
immigrazione su scala mondiale. Ma nei paesi d'origine la costruzione del
volto istituzionale dell'islam risultava dallo stato che se ne assumeva la
responsabilità, attraverso il Ministero degli Affari Religiosi, presente in
tutti i paesi islamici, e attraverso tutta la simbolica religiosa che
traspare nelle forme ed espressioni dello stato: ad esempio l'uso del colore
verde, le diciture coraniche che annunciano i discorsi ufficiali, etc.
Nell'immigrazione tutto ciò scompare, e il musulmano si trova da solo ad
affrontare la sua islamità. E questo pone un problema difficile per i paesi
europei, tra essi l'Italia: inventare una "chiesa" per l'islam è o
non è compito di uno stato estraneo allo sviluppo dell'islam? Da uno stato
europeo all'altro le risposte divergono, ma ancora nessuno ha trovato una
soluzione adeguata. La consulta è un passo necessario, perché dovrebbe
servire ad aggregare fra loro i musulmani, al di là delle differenti
provenienze nazionali e linguistiche. Ma credo che inizialmente questa
consulta dovrebbe avere la funzione di una missione esploratrice: vale a dire
capire l'attuale situazione complessiva dell'islam nel nostro territorio, per
fornire in seguito un insieme di risposte adatte al carattere dell'Italia.
Perciò le persone che ne faranno parte debbono essere scelte in base a due
elementi essenziali: la loro autorevolezza ed esperienza. La questione è
infatti troppo delicata e complessa per poter essere affidata a chiunque.
SM: Noi abbiamo la sensazione che nella società italiana, ovviamente con
le dovute eccezioni, il livello di integrazione tra etnie diverse sia molto
alto e che i conflitti siano invece spesso frutto di conseguenze di prese di
posizioni politiche e culturali amplificate dai mass media. Cosa ne pensa?
La questione dell'integrazione non dipende oggi soltanto dalle situazioni
locali, nazionali, ma anche dalla situazione internazionale. Ad esempio il
terrorismo kamikaze di matrice islamica, che come sappiamo può innescarsi da
un punto all'altro del pianeta, ha un effetto devastante su tutte le popolazioni
musulmane e, che lo vogliamo o no, rende più difficile il processo di
integrazione. Quel terrorismo tende a far formulare agli occidentali due
terribili equazioni: islam = handicap, immigrazione = handicap.
SM: Ci stiamo preparando ad una lunga fase di campagna elettorale (anzi
ci siamo già dentro), cosa dobbiamo dire alle forze politiche che si misurano
con i programmi di governo dove si ritrovano spesso richiami alla
integrazione di soggetti immigrati?
Sappiamo benissimo che ci sono forze politiche che utilizzano e utilizzeranno
lo spauracchio dell'islam e dell'immigrazione come fabbrica del consenso: un
consenso che si ottiene facilmente, senza alcuna riflessione, senza il minimo
sforzo progettuale, quasi come il riflesso condizionato di un'opinione
pubblica che si trova di fronte a una realtà che non riesce a dominare.
Mentre un autentico discorso politico dovrebbe proporsi di governare tale
situazione, mostrare che la nostra società globale implica dei cambiamenti,
delle scelte, e che il mondo oggi sta divenendo luogo di aggregazione di
nuovi soggetti storici; e che l'Italia, come gli altri paesi, deve prendere
parte a questo nuovo capitolo della storia, che lo voglia o no. Ma ora
viviamo in un'Europa che, se integra gli immigrati, li integra male; le
responsabilità sono di tutti, ma i primi che dovrebbero dare l'esempio, nel
promuovere una possibilità di integrazione, sono i partiti politici, che
ancora faticano a proporre e a far eleggere dei cittadini di origine
extracomunitaria, quelli che oggi sono i nuovi cittadini italiani ed europei.
Finora nel nostro paese l'immigrazione è qualcosa di subìto, mentre al
contrario essa dovrebbe essere qualcosa di progettuale per il futuro.
SM: Se Lei dovesse indicare ai nostri lettori quattro punti che facciano
da capisaldo ad una nuova Legge che superi l'attuale "Bossi-Fini",
quali sarebbero? Quale sarebbe cioè la filosofia che dovrebbe ispirare una
nuova Legge che faccia del nostro Paese un Paese solidale e multiculturale?
La legge Bossi-Fini non la considero affatto una legge sull'immigrazione:
perché essa considera il fenomeno soltanto attraverso il prisma
dell'utilitarismo, della forza-lavoro; il perno della sua filosofia è il
contratto di lavoro, che ha come ogni contratto un inizio e una fine nel
tempo. Mentre tutti gli esperti sanno che l'immigrazione attuale scardina
completamente tutto ciò che fino a vent'anni fa si pensava di essa,
semplicemente perché si inscrive in una prospettiva di definitività:
l'immigrato è e resterà per sempre in Europa. Ciò ha enormi conseguenze. Il
nuovo governo che verrà eletto dovrà incaricarsi di una politica
dell'immigrazione: penso che si dovrebbe innanzitutto istituire un
segretariato interministeriale all'integrazione, e riprogettare la legge
sull'immigrazione focalizzandosi su cinque capitoli fondamentali:
l'immigrazione come risorsa, avviando un nuovo rapporto con il tessuto
economico del paese; gli aspetti urbanistici e abitativi, dal momento che
l'habitat è la prima questione che si pone nei processi di integrazione; gli
aspetti socioculturali, accostando ad esempio al giudice di pace un mediatore
istituzionale con il compito di fare da tramite fra il governo e le
istituzioni locali preposte alla gestione del fenomeno migratorio;
l'istituzione di un tavolo di concertazione fra il governo e i paesi da cui
l'immigrazione proviene; infine, a livello europeo, il nostro paese dovrebbe
spingere per la creazione di una nuova figura, quella di un Commissario
europeo all'immigrazione e all'integrazione. Gli attentati di Londra
dimostrano infatti come le politiche di integrazione siano a tutt'oggi deboli
in quasi tutta Europa.
(Tratto dalla rivista Senzamargine, ottobre 2005)
Khaled
Fouad Allam è
editorialista de " La Repubblica", Docente di sociologia del mondo
musulmano e di Storia e istituzioni dei Paesi Islamici all'Università di
Trieste e di islamistica all'Università di Urbino. Ha scritto per Rizzoli -
per ricordare gli ultimi - L'islam Globale, 2002, Lettera ad un
Kamikaze, 2004; Arabia, 2005.
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