In una capitale innominata il settanta per cento
degli elettori vota scheda bianca: l' elezione si ripete, ma il risultato
peggiora. L' uscita dello scrittore ha già fatto discutere: votare è un atto
puramente formale? Un ministro saprà aver ragione di tutti gli ostacoli per
ritornare alla normalità
"Ululiamo, disse il cane". In tutti i libri di Saramago, i cani,
accanto alle donne, sono fra i personaggi più chiaroveggenti, più intuitivi e
responsabili. Protagonisti privilegiati, motori del racconto: le donne, dalla
Blimunda del Memoriale del convento alla moglie del medico di Cecità, i cani,
dal cane Costante di Rialzato dal suolo, al "cane delle lacrime"
ancora di Cecità, al cane Trovato della Caverna. Ed è dall' epigrafe del
nuovo romanzo del portoghese (José Saramago, Saggio sulla lucidità,
traduzione di Rita Desti, Einaudi, pagg. 300, euro 17,50) che questa volta
parte l' invito all' azione. "I cani siamo noi. Ed è ora che cominciamo
ad ululare": chiarimento comparso in un' intervista dello scrittore alla
Folha de Sao Paulo, subito dopo l' uscita dell' originale (Ensaio sobre a
lucidez, marzo 2004). Cominciamo ad ululare nel senso di opporci a ogni
tentativo di strumentalizzarci, solo perché facciamo parte di un certo
insieme, di una certa comunità: "Nasciamo ed è come se in quel momento
avessimo firmato un patto per tutta la vita. Ma può arrivare un giorno in cui
ci chiediamo: chi ha firmato per me?". O ancora, se vogliamo proseguire
nel florilegio di affermazioni che insaporiscono di particolare sentenziosità
la storia di questo undicesimo romanzo: "Il Saggio sulla Lucidità è il
mio testamento. Adesso posso morire". Proposizione imprudente questa, di
chi sapeva di essere finalmente riuscito a dire tutto ciò che voleva, anche
se poi sarebbe stato il primo a ridimensionarsi: "Come si vede, non sono
morto. Non ancora". Subito dopo il Nobel, Saramago, che già a Stoccolma,
nel centenario della Dichiarazione dei Diritti dell"Uomo, aveva
denunciato l' impotenza dei governi di fronte a un potere economico,
"assolutamente non democratico, che ha ridotto a involucro senza
contenuto quanto ancora restava dell' idea di democrazia", ha cominciato
a battersi su questo fronte con l' azione quotidiana, con i suoi viaggi e le
sue prese di posizione internazionale, ma anche e soprattutto con la sua
opera di scrittore. Il successo letterario riservato al Saggio in Portogallo,
in Brasile e in Spagna, dove il libro è uscito contemporaneamente, ne ha
ormai reso nota la storia. Che, come sempre, è una di quelle trovate per cui
Saramago continua, ben oltre il Nobel, ad onorare la motivazione che gli
attribuiva il merito di rendere ogni volta comprensibile, con parabole portatrici
di fantasia, compassione ed ironia, una realtà sempre sfuggente. E questo a
partire dal Memoriale del convento, che nel 1982 gli aveva dato la prima
fama, fino a quel Saggio sulla cecità del 1995 di cui questo Saggio sulla
lucidità, finalmente tradotto col suo titolo completo, senza adattamenti e
semplificazioni editoriali, si pone non dico come logica continuazione, ma
quale tessera antagonistica e speculare. Nella capitale di un paese senza
nome (sempre più frequentemente, nei romanzi di Saramago, ad indicarne l'
universalità, ciò che distingue personaggi e luoghi non è più il nome
individuale, ma solo la loro funzione perché "l' impressione
scomparirebbe se personaggi e strade avessero un nome, se tutto potesse esser
visto in categorie. Il lettore capirà che ciò che vede lo riguarda
direttamente, proprio perché non si riferisce a niente di niente"), in
questa capitale è in corso un normalissimo processo elettorale. Elezioni
amministrative. Ed ecco che, al conteggio dei voti, risulterà inopinatamente
come, nella capitale appunto, il 70 per cento degli elettori abbia votato
scheda bianca. Ripetuta la votazione, la domenica seguente, secondo legge, ma
con un numero impressionante di spie infiltrate nella folla dei votanti,
munite di registratori e pronte a documentare ogni parola sospetta, il numero
delle schede bianche sale all' 83 per cento. Ed è subito scandalo. Nessuno
nega che il voto bianco sia un sacrosanto diritto di ogni elettore. Ma, per
un regime che si dice democratico, questo rifiuto totale di qualsiasi
proposta elettorale appare come una delle peggiori risposte che possano
venire da un elettorato. E questo, tanto da parte degli elettori del partito
di destra (pdd), che peraltro qui raggiunge l' otto per cento dei votanti,
del partito di centro (pdc), anch' esso con l' otto per cento, quanto del
partito della sinistra (pds), con uno scarso uno per cento, denunciatore,
forse, delle tendenze bianche dei suoi militanti. Bisogna correre ai ripari.
Ed è così che, dopo il primo stupore, il governo al completo si fa
protagonista di un articolato e spesso contraddittorio piano poliziesco
inteso a scoprire come e da chi sia venuto il suggerimento del voto in
bianco. Che sarebbe molto più pericoloso dell' astensione, dell' andare al
mare, come si dice fra noi, in quanto la scelta banca implicherebbe comunque
la volontarietà di una partecipazione significativa. Ma di quale significato?
Come ravvisarlo e interpretarlo? Chi conosce i libri di Saramago, sa che non
ci sarà, nel libro almeno, anche solo ad illustrazione della parabola
illuminante, nessuna risposta esplicita. Basterà per l' autore aver posto il
problema. Un problema che implica a sua volta la domanda se le cosiddette
democrazie di questo nostro mondo siano realmente democratiche. E, in fin dei
conti, che cosa sia e che cosa ancora valga la democrazia nei nostri sistemi
politici quando tutte le società sono rette unicamente dal potere economico.
Il ritrovato del voto in bianco starebbe forse a indicare la coscienza da
parte dei cittadini dell' inutilità di un rito ormai puramente formale che
dovrebbe forse venir sostituito da ben altre operazioni di intervento. Ma
intervento da parte di chi? La mai smentita appartenenza dell' autore a una
sinistra ortodossamente comunista è all' origine, forse, di una certa
violenta reazione da parte di critici di diversa collocazione. "Se il
Saggio sulla Lucidità non causerà polemiche", aveva già preannunciato lo
stesso Saramago, "è perché la società dorme". Dorme perché non sa
vedere le cose come esse sono. La diagnosi è ricorrente nei suoi ultimi
libri. Se, in Cecità, un' intera comunità si era ritrovata improvvisamente
preda di una cecità che le inondava gli occhi di un chiarore bianco
lattiginoso, se, nella Caverna, gli uomini, le spalle alla luce, guardavano
la realtà solo riflessa su una sorta di schermo platonico, ora il voto bianco
può assumersi come presa di coscienza da parte di quella stessa società che
ha imparato finalmente a vedere. E colore bianco, subito dichiarato sospetto
e sovversivo da parte dell' autorità inquirente, quanto sospetti e sovversivi
sembreranno tutti coloro che hanno votato in bianco e che saranno
collettivamente bollati come "biancosi", ora questo bianco apparirà
come il candido lenzuolo del Gandhi della resistenza pacifica, come il bianco
luttuoso di certe società orientali e i crisantemi bianchi che i biancosi
porteranno ai funerali delle vittime di un attentato sospetto in una
stazione, che lo stesso potere organizza per poterne forse attribuire la
responsabilità ai rei dell' assurda votazione. Tranne che per i pochi eccessi
di cui si è detto, in Portogallo, Brasile e Spagna, il libro ha causato
finora soprattutto reazioni letterarie. Un libro di Saramago è pur sempre un
libro di Saramago. Un oggetto d' invenzione poetica. E, anche qui, fin dalla
prima pagina, ci si scontra e ci si incanta con quella sua capacità di
osservare, ascoltare, rigirare ogni parola, ogni frase, ogni situazione da
ogni punto di vista. Di creare personaggi che da quel momento entrano a far
parte del nostro immaginario, della vita di tutti o che forse già c' erano e
non lo sapevamo. Con divertimento, senza dubbio. "Alle dieci di sera,
finalmente, comparve in televisione il primo ministro. Aveva il viso
alterato, le occhiaie accentuate, effetto di una settimana intera di notti
mal dormite, pallido nonostante il trucco tipo buona salute". E sarà
questo primo ministro che, d' ora in poi, con ineccepibile dialettica
politica, con patriottismo e bonomia (il sarcasmo di Saramago tocca qui il
suo vertice), saprà aver ragione di tutti gli ostacoli per tornare alla
"normalità". Saprà gestire la dichiarazione dello stato di
eccezione, la ritirata del governo fuori della capitale colpevole, le
schermaglie verbali con i membri del governo, a cominciare dal ministro della
difesa, "un civile che non aveva fatto il militare", fino al
ministro dell' interno e al ministro della giustizia il quale non esclude che
"quanto successo abbia le sue radici all' estero, che quanto stiamo
vedendo sia solo la punta dell' iceberg di una gigantesca congiuntura
internazionale di destabilizzazione, probabilmente di ispirazione
anarchica". Ci sarà poi il tentativo frustrato degli elettori di destra
di fuggire anch' essi fuori della capitale, fino all' individuazione dei
colpevoli, del frutto bacato da eliminare: in primo luogo del commissario, l'
unico vero personaggio positivo della storia, che a poco a poco prende
coscienza della realtà e rinuncia a collaborare col potere. E poi, senza
dubbio, della moglie del medico la quale in Cecità aveva avuto la colpa,
unica in tutta la città, di non divenire cieca e che, infine, viene uccisa
insieme al suo cane delle lacrime, lui sì ricco di un nome, Costante, come
sempre. Ma la normalità di ritorno ha, come era ovvio, tutti i caratteri di
una pericolosa dittatura. Ha detto ancora Saramago: "Quando misi fine al
Saggio sulla Cecità non vedevo alcuna possibilità di dargli una
continuazione. E, del resto, questo nuovo saggio non è, a rigori, una
continuazione di Cecità. Ma quando la scrittura di Lucidità era già molto
avanzata, ecco che, all' improvviso, io capisco che la città è la stessa e
che i personaggi della prima storia, anche se non tutti, devono passare alla
seconda". Dovevano passare, naturalmente, per non lasciare che la
conturbante allegoria della cecità collettiva restasse senza risposta da
parte di una società che prima o poi sarebbe stata chiamata a vedere e cioè a
guardare più attentamente intorno a sé e dentro se stessa. Le discussioni
"di altra natura" che non si sono fatte dopo Cecità, un libro
"terribile" che ha avuto ormai tanta risonanza letteraria, tante
riduzioni teatrali, dovranno farsi ora, a proposito di questo nuovo Saggio
che è insieme, come ce lo presenta il suo autore, "una storia, una
satira e una tragedia". Un libro con cui, si voglia o non si voglia, si
concordi o no, siamo un po' tutti chiamati a discutere.
(Tratto da La Repubblica del 14 Settembre 2004)
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