Una notte chiara, fresca, morbida, bellissima. Molto
alta nel cielo limpido, la luna librava solitaria versando generosamente la sua
luce argentea sui vecchi tetti di Montmartre. Io scendevo lento e pensieroso
via Fontane, verso il mio hotel. Avevo appena assistito all'ultimo spettacolo
del cinema allestito nel famoso Moulin Rouge. E mi vennero in mente i giorni
della mia gioventù trascorsi nella Parigi di altri tempi, uccisa dalla
guerra, quando quel quartiere dava un tocco di allegria notturna alla grande
capitale.
Camminavo a testa bassa, morsicando il sigaro, e battevo lentamente la punta
del bastone sulle antiche pietre del marciapiede, percorso tante volte in
altri tempi e ancora oggi. Un profondo silenzio. Delle luci dei bar e dei
caffè filtravano dalle porte di vetro. Due poliziotti in bicicletta
bisbigliavano in un angolo. Improvvisamente, un orologio vicino rintoccò le
tre del mattino. Accelerai il passo per le strade deserte. Più avanti, una
voce soave, vivace, mi fermò con queste parole nella mia lingua:
- Buonasera dottò!
Mi fermai e alzai lo sguardo. Di fronte a me vidi un volto nero come il
carbone e luccicante come una scarpa da ballo. Tutto il volto sorrideva: gli
occhi dalle iridi bianchissime, le grandi guance nere, le carnose labbra
scure e i denti color avorio.
- Oh Nerone! Sei proprio tu?!, esclamai.
- Sono proprio io, dottò, vivo e vegeto, in carne e ossa, in corpo e anima.
E fece una sonora risata.
Circa dieci anni fa conobbi per caso Nicolau Meraviglia, suonatore di vari
strumenti, soprattutto di sassofono e lundù, detto Nerone per il suo colore e
la sua alta statura, in casa di un amico che festeggiava un anniversario in
famiglia.
Ascoltai molti brani del bahiano, lo lodai per la bravura nel pizzicare le
corde e parlai un po' con lui di canzoni e musiche popolari del nostro
infelice Nord-Este. Nel congedarsi da me, alla fine della serata, mi disse:
- Quando lei dottò avrà bisogno di me, basta che mandi a chiamare al Cinema
Odeon il nerone dell'orchestra.
Lo trovai qualche altra volta ad altre feste e lo vidi altre volte al Cinema.
Poi, quando arrivarono i film sonori e le orchestre non servivano più, non lo
vidi più.
Mi sono imbattuto in lui ora, con sorpresa, al chiaro di luna di settembre,
in una strada di Parigi. Gli tesi la mano, che lui afferrò con entusiasmo
dicendo:
- Madonna mia! Che bello vedere lei, dottò, in questa terra e ascoltare il
nostro idioma! Sorrisi per l'"idioma" e gli chiesi:
- Ma che ci fai a Parigi, Nerone?
Lui spiegò:
- Sono già cinque anni che vivo qui suonando il sassofono nei cabaret e
guadagnandomi da vivere onestamente come Dio vuole. Ho suonato prima al
"Lapin Agile", poi al "Boeuf sur le toit" e ra lavoro al
"Train Bleu". Oggi è la mia sera libera e sono venuto a
frescheggiare a Montmartre, che è più tranquillo di Montparnasse dove lavoro
e dove ora si è spostata quasi tutta la vita notturna. - Non senti nostalgia
del Brasile, Nerone? Non vuoi tornarci?
- Nostalgia ne ho e tanta, ma la voglia di tornarci, per dire la verità, non
ce l'ho proprio. Mi scuserà, ma siamo da soli e tra brasiliani ci si può
aprire. Il nostro Paese purtroppo non va. È una terra dove non ci sono opportunità
per la musica e dove non si considerano i neri. Qui no, è diverso. Gli
artisti sono pagati bene, i musicisti sono trattati con affetto e provano
affetto per i neri. Tornare in Brasile per cosa? Per diecimila réis
al giorno e ben sudati che bastano a mala pena per mangiare riso, fagioli e
banane? Per uscire con le cuoche e senza contare poi la concorrenza dei
soldati dell'esercito, dei marinai e dei fruttivendoli portoghesi? Non ne
vale la pena…
Tossì. Prese il portasigarette smaltato, battè la sigaretta sul coperchio,
l'accese con l'accendino, pulì un po' di cenere dal colletto della giacca a
doppio petto azzurro, fece due tiri e continuò:
- Qui è diverso… io guadagno quattromila franchi al mese nel cabaret ,
escluse le mance. Vivo a Sainte Placide e non in Penha, e così come i
francesi amano Josephine Baker, le francesi amano i neri di classe che sanno
vestirsi bene come me. Macchè! Nel nostro Paese non c'è proprio stimolo…
Gli vidi le ghette chiare, il vestito ben stirato, la cravatta di buona seta
e solo allora notai che portava i guanti di camoscio. Mi ricordai per un
momento alcune scene che da tutte le parti avevano attirato la mia
attenzione: per la strada, nei caffè, nei cabaret, all'Esposizione Coloniale,
nei ristoranti e nei dancings, belle donne, soprattutto bionde, avvinghiate a
neri ritinti. E dissi:
- Hai ragione. Io nei tuoi panni non sarei mai tornato.
Nel frattempo, la porta del caffè che dava sul marciapiede sul quale eravamo
fermi si aprì e lasciò passare una donna alta, slanciata, bionda, con il
tailleur grigio chiaro, con un piccolo cappello a tre punte di velluto nero
appoggiato sulla chioma ondulata che tagliava con la punta la fronte liscia e
fine. Le ammirai rapidamente gli occhi verdi, la pelle di seta. E lei
cinguettò come un uccellino:
- Viens, chéri, rentrons! C'est trop tarde et je tombe de
sommeil.
- Oui, chérie,
rispose lui e le stese la mano, allargando le labbra in un grande sorriso
amichevole.
- Arrivederci dottò! Lisette ha sonno… piacere di averla rivista. Passi
qualche sera là al "Train Bleu".
- Buonanotte, Nerone!
La francese mi fece l'inchino con la testa, prese il nero a braccetto e i due
salirono la strada deserta, molto stretti, sotto la luna splendente. Rimasi
un attimo a guardarli. Poi seguii il mio cammino, pensando che Parigi è
davvero il Paradiso.
1933
(Tradotto dal Portoghese da Julio Monteiro Martins insieme ai suoi allievi
del 2° anno di Lingue dell'Università di Pisa.)
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