Bertolucci su Pasolini : una fatwa del palazzo
Il regista
Bernardo Bertolucci: "Un omicidio voluto dal potere. Non credo c'entrasse
il film rubato"
Sara Menafra
"Ricordo che il giorno della morte feci una intervista con il Tg1 in cui,
così a caldo, molto emozionato per quello che era successo, avevo detto che a
me sembrava un delitto di stato". Accetta subito di parlare, il regista
Bernardo Bertolucci, nel giorno in cui la procura di Roma annuncia che
l'inchiesta sulla morte di Pasolini sarà aperta di nuovo.
Cosa pensò quando seppe della morte del regista con cui aveva iniziato a
lavorare nel cinema?
Volevo molto bene a Pierpaolo, anche visto che avevo cominciato a lavorare con
lui. Quando parlai di delitto di stato per non essere frainteso aggiunse anche
che non sapevo se ci fosse qualcosa di diretto. Da Ragazzi di vita in poi Pierpaolo era
stato continuamente processato e spesso condannato, c'era stato un linciaggio
che era durato molto a lungo. Chi lo aveva ucciso si sentiva non solo
autorizzato, ma pensava di aver fatto qualcosa di buono, di aver ripulito il
paese. La cosa che oggi mi viene in mente è che fosse come se il palazzo avesse
lanciato una fatwa
nei confronti di Pierpaolo. Non è accaduto, ma se Salman Rushdie fosse stato
ucciso sarebbe stato un caso molto simile a quello di Pierpaolo. Non so se quello
che ha detto Pelosi abbia qualche credibilità, ma il dato importante è che la
procura di Roma abbia riaperto il caso. Forse oggi si potrà arrivare più vicini
alla verità. Il fatto che per due volte, prima in appello e poi in Cassazione
la sentenza di primo grado sia stata cancellata e si sia parlato solo di pelosi
come unico colpevole non è mai stato credibile.
Quando l'ha visto l'ultima volta?
Nel marzo di quell'anno, per una partitella di calcio tra la troupe di Novecento (dello
stesso Bertolucci) e la troupe di Salò (l'ultimo film di Pasolini, in lavorazione al momento
del suo assassinio ndr).
Pierpaolo si andò a rivestire a un quarto d'ora dalla fine perché non gli
passavano mai la palla. "Siete tutti dei narcisetti", aveva detto ai
suoi.
Alcune persone a lui vicine, tra cui il regista Sergio Citti, sostengono che
Pasolini stesse cercando di recuperare le pizze del film Salò e le 120 giornate di Sodomia,
quando fu ucciso...
Non era stato rubato il negativo, che stava alla Technicolor, ma quelle rubate
erano delle copie di lavoro, tra l'altro sparì anche una copia di Casanova (di Federico
Fellini ndr),
quindi chi se ne importa? Il produttore Grimaldi non avrebbe pagato neanche
dieci lire per riaverle. Ma forse Sergio Citti sa di più di quello che abbiamo
letto sui giornali.
Ma perché trent'anni dopo uno come Pelosi decide di parlare e lo fa in
questi termini?
In effetti, sinceramente non so quando siano morti i genitori di Pelosi, ma il
fatto che lui non abbia parlato perché credeva che potessero essere minacciati
mi sembra un po' improbabile. L'altra cosa che fin da allora ho sempre
rifiutato è l'ipotesi che Pierpaolo sia andato a cercarsela, che sia entrato in
una specie di delirio masochistico che era andato troppo in là. Assolutamente,
non posso prenderla neppure in considerazione. Non so che cosa abbia detto Nico
Naldini...
In una intervista al Corriere ha spiegato che queste mille ricostruzioni
"non fanno che allontanarci dalla verità".
Beato lui, che evidentemente ha dei motivi per dirlo. Io non accetto questa
spiegazione e non ho mai creduto che Pelosi fosse solo, perché sapevo benissimo
quante volte Pierpaolo fosse stato minacciato o aggredito e di come avesse
sempre saputo difendersi. Ora come poteva questo ragazzino, che non aveva su di
se una goccia di sangue quando l'arrestarono, aver ridotto Pierpaolo ad un
"mucchio di spazzatura" come disse la prima testimone che trovò il
corpo? Sono i fatti che fanno pensare che Pelosi forse non abbia neppure
partecipato all'esecuzione.
Voluta da chi?
Era una fatwa lanciata dal Palazzo, il Palazzo si era difeso.
Era coinvolto qualche partito?
Pierpaolo diceva "Io so i nomi, ma non ho le prove e non ho neanche
indizi". Sono nella stessa situazione.
(Tratto da "Il
manifesto", 10 Maggio 2005)