Dies
Irae
Mário
de Carvalho
Una
mattina, entrando in bagno, trovai appollaiato sul bordo della vasca un grande
animalaccio, tozzo, grottesco e che guaiva in modo stridente. Aveva la pelle verde,
rugosa, chiazzata di macchie nere ed una testa deforme in cui si agitavano
occhi non comuni, simili a quelli dei camaleonti, in mezzo ad un ammasso
indistinguibile di peli, bolle e spine. Una lunga coda, coperta di squame,
pendeva ed ondulava sul fondo della vasca da bagno. Notando la durezza cornea
degli artigli, temetti potesse graffiarmi lo smalto della vasca.
Non fu facile farmi la barba con quell'animale che guaiva dietro di me. Non lo
persi di vista dallo specchio, attento ai suoi movimenti irrequieti, con uno
strano pulsare che gli agitava ritmicamente il gozzo turgido sotto la bocca.
Non vidi la lingua, ma l'interno delle fauci mi sembrò vistosamente scarlatto.
Mentre mi radevo, mantenni chiusa la porta del bagno, affinché l'animale non
sgattaiolasse nel corridoio, preferivo averlo lì piuttosto che vederlo girare
per la casa, a sorprendermi nascosto dietro porte o mobili. Con un certo
sollievo terminai, uscii e chiusi di nuovo la porta del bagno, lasciandolo là
dentro, in un intensificarsi di guaiti.
Hilda era partita il giorno prima per le terme. Insisteva nel voler terminare
il suo poema definitivamente, ed aveva scelto le terme più remote, più isolate
e più monotone che avesse trovato sulla cartina geografica.
Il poema di Hilda s'intitolava Io e si prolungava per sessanta o
ottanta pagine che potevano essere riviste, mi assicurava lei, solo in
un'atmosfera di estrema circospezione. Arrivai a pensare che Hilda mi avesse
lasciato l'animale in bagno, ma ero sicuro che la notte prima quella bestia non
era in casa. E non era da Hilda, così, senza lasciare un appunto, un biglietto…
Mentre mi vestivo in camera, mi accorsi che un falcone si era posato sul
cassettone vicino alla mia cravatta, tranquillamente. Quando tesi la mano verso
la cravatta, con prudenza, il falcone dispiegò le ali con un movimento brusco
ed emise un verso roco, aspro, indispettito. Pensai di coprirlo con un
mantello, ma finii per optare per l'ipotesi che mi sembrò più pacifica.
Spalancata la finestra, cercai di spaventarlo aprendo e chiudendo un ombrello.
Il falcone, vedendo avvicinarsi l'ombrello, si rizzò, spiegò le ali e saltò
sulle zampe in atteggiamento di combattimento. Quando lo spinsi decisamente con
l'ombrello aperto, si alzò in volo in modo scoordinato, con strepito, fece un
giro per la camera sfiorando le pareti, sbatté contro un quadro con un colpo
d'ala ed infine uscì dalla finestra, volando lontano.
Incontrai la portinaia nell'atrio e le raccomandai di non entrare in bagno, a
causa dell'animale:
- Stia tranquillo, signor Teles - mi disse. - Non accadrà nulla!
In fondo alla strada c'era un po' di trambusto, affacciate alla finestra e
ammassate sui tetti, alcune persone con armi da fuoco in mano, o sulle
ginocchia, conversavano tra loro animosamente. Sulla strada si trovavano
raggruppate alcune persone che guardavano in alto, compiaciute.
All'improvviso qualcuno disse:
- Attenzione! Sta arrivando!
Partito dall'aeroporto, si stava avvicinando un aereo della Scandinavian
Airwways , con un gran rombare di motori. Tutti assunsero un'aria
convinta, si sentirono rumori metallici e i possessori di armi da fuoco
puntarono in alto. Quando l'aereo passò, lento, pesante, assordante, sulla
verticale della strada, così basso che si potevano distinguere nitidamente i
particolari del carrello d'atterraggio, ebbe inizio la sparatoria. Una capsula
metallica cadde ai miei piedi, rimbalzando con forza sul selciato.
L'aereo ormai lontano, in discesa, scompariva al di sopra di alcuni palazzi
nuovi e tuttavia i tiratori premevano ancora i grilletti freneticamente.
I vapori della polvere da sparo impregnavano tutta la strada di un profumo
acre.
- L'ho preso, l'ho toccato! - gridò un ragazzo sopra un tetto.
- Oh cavoli… - rispose un uomo calvo che, sigaretta in bocca ed aria assorta,
ispezionava le canne del fucile ancora fumanti.
- Allora non avete visto il fumo? Continua ad uscire fumo!
- Oh cavoli! - risposero altri in coro, allegramente.
Non rimasi fino alla fine della discussione, perché si avvicinava l'autobus che
poco dopo mi avrebbe lasciato proprio vicino al posto di lavoro, in Piazza
Londres.
Come al solito, i miei colleghi erano già alle loro scrivanie, bevevano caffè e
tenevano giornali sportivi davanti alla faccia. Marques, completamente
reclinato sulla sedia girevole, parlava in modo minuzioso, dottorale, come
sempre. Biascicò un "Buongiorno" fugace e continuò nella sua
spiegazione, rivolto a Nunes:
- Taglia l'aglio a pezzettini, capito?, e mettili nella fessura della porta
servendoti di un bastone, capito?, o di una spatola. Hai una spatola a casa?
Allora è meglio che usi la spatola… Ma presto la conversazione scivolò sul
calcio, perché Marques sapeva che in materia di calcio io ero completamente
all'oscuro e insisteva nell'escludermi dalla conversazione. Si parlava di un
nuovo giocatore, Ferreira, il miglior goleador del campionato,
nonostante avesse solo una gamba.
- Guarda che è difficile giocare con una gamba sola, sicuro - osservava Marques
- ma guarda che la maggior parte dei gol li ha fatti di testa. È che il ragazzo
ha un bel gioco di spalle, ecco cos'è…
Nel frattempo arrivò il capo, infuriato, scotendo la giacca di tweed.
- Lucertole! Gli alberi sono pieni di minuscole lucertole, ho la giacca piena
di squame. Ma che fa il Comune? Uno paga tasse e imposte a più non posso e poi…
Marques lo tranquillizzò, assicurandogli che non c'erano resti di
lucertole sulla giacca ed egli entrò nel suo ufficio borbottando e chiudendo la
porta con forza. Poco dopo, mi chiamò dall'interfono.
- Senta Teles, si sieda lì, è da un po' di tempo che voglio parlare con lei.
Allora, tutto bene? Affondai nella profonda poltrona orecchiuta, di fronte alla
sua scrivania. Il capo appoggiava il mento sulla mano sinistra e mi guardava
fisso. Dalla finestra, dietro alla grande scrivania, potevo vedere l'enorme
acquario incastonato nel grattacielo del Ministero del Lavoro, proprio di
fronte a noi. Una tartaruga gigante dalle pinne piatte volteggiava con
lentezza, tra un banco di pesci colorati che nuotavano ondeggiando rapidi.
Il capo di accorse del mio sguardo e si voltò indietro:
- Se proprio vuole che glielo dica, non ho mai sopportato quella tartaruga. Ma
se ci sono dei pesci così belli, per quale motivo hanno messo lì quel mostro?
Mi sembra anche in un brutto stato, parola d'onore… Ma tornando a noi, caro
Teles, sono preoccupato per lei. La vedo sempre così cupo, triste. Anche
l'altro giorno ho detto a casa: quel ragazzo là dell'ufficio, Teles, sembra
avere qualcosa…
- Ad essere sincero, niente di particolare - risposi. - È solo che mia moglie
ieri è andata alle terme, per scrivere un poema…
- A Monfortinho?
- No, a Vilamoinho, credo.
- Monfortinho, per scrivere poemi era meglio Monfortinho…
- È andata a Vilamoinho! Ma a parte questo, stamattina ho visto alcune persone
che sparavano contro un aereo commerciale, vicino all'aeroporto.
- Mancanza di civiltà, mio caro. L'ho sempre detto: questo popolo, quanto a
civiltà marcia molto male. Ma allora niente di grave, eh?
Poiché non c'era niente di grave, il capo cominciò con le raccomandazioni. Mi
disse che un aspetto cupo conveniva poco a quel lavoro, visto che i clienti
volevano vedere sempre gente sorridente e fiduciosa. Il cliente si affidava a
noi fondamentalmente per avere sicurezza, tanto più che i nostri servizi erano
tanto vaghi e tanto indefiniti che alcuni clienti se ne sarebbero andati se,
contattandoci, non si fossero sentiti soddisfatti. Mi raccontò ancora una volta
la storia di quell'uomo che, sapendosi truffato in un affare con degli zingari,
si giustificò dicendo: - È vero, ma mi diverto alla grande. E non mancò di
riferirmi che la regina d'Inghilterra sorride anche quando prova disgusto e che
un pagliaccio alla morte del padre irruppe come sempre nell'arena pensando che de
sciò maste gau one.
- Insomma - concluse sottolineando la frase col dito puntato - Insomma, amico
mio, io non la pago per essere malinconico!
E terminò con un "Siamo d'accordo?" , a cui io risposi di sì.
In ufficio i colleghi si stavano già infilando la giacca, essendo ora di
pranzo, visto che il tempo stava correndo molto veloce quella mattina. Li
seguii fino alla timbratrice. Mi stupii quando, nell'introdurre il cartellino,
si sentì il suono stridente di una voce, ovviamente registrata, che mi augurava
buon appetito.
Nunes sorrise per la mia sorpresa:
- Io una volta stavo in un'impresa - disse - in cui la timbratrice suonava l'Alleluia
all'entrata, e For auld lang syne all'uscita. Guarda un po'!
Uscii, pronto ad allontanarmi e a pranzare da solo da qualche parte, ma Nunes
mi disse:
- Teles, se non hai compagnia vieni a mangiare con noi, amico.
Li seguii fino al ristorante che loro abitualmente frequentavano e che, in quel
momento, era ormai quasi al completo. Con molta gentilezza ci trovarono un
tavolo accanto a una finestra. Nel ristorante la luce andava e veniva ad
intermittenza e tutto il locale ora si rischiarava ora si oscurava con
regolarità, il che alterava curiosamente il ritmo di tutti coloro che vi
pranzavano: quando si faceva luce, i commensali si applicavano rapidamente, con
un rumore veloce di posate e masticazioni; quando la sala si rabbuiava, i
rumori diradavano e la maggior parte degli astanti sospendeva il movimento.
Nunes disse al cameriere che si avvicinava a noi con un passo irregolare, ora
veloce ora contenuto, secondo il fluttuare della luce:
- Non potete aggiustare l'illuminazione, caspita?
E il cameriere rispose:
- Guardi che questa non è la nostra luce. È la luce naturale che fa così da
questa mattina… Non vede lì dalla finestra?
In effetti, anche i vetri della finestra s'illuminavano e si oscuravano
alternamente.
- Ma fuori non è cosi! - azzardai io.
Il cameriere fece spallucce e registrò, sollecito, le nostre ordinazioni.
I miei colleghi nel frattempo si erano lanciati in una complicata discussione
linguistica.
Diceva Marques:
- Sapete, non è per caso che le parole sono quelle che sono. Prendete, per
esempio, la parola gatuno1 e la parola ladrão 2.
Solo apparentemente significano la stessa cosa, perché gatuno vuole
dire più colui che s'introduce rubando con astuzia, senza baccano, di
soppiatto, come il gatto. Da ciò… gatuno, uguale a gatto + uno. Al
contrario, colui che ruba con baccano, con chiasso, procedendo come il cane che
abbaia, si chiama ladrão3, che deriva da ladrar + ão.
No, cari miei, il popolo è saggio, non inventa mai parole a vanvera. Il popolo
è astuto.
- A me, nell'etimologia, ciò che più mi inquieta è sapere che meigo 4deriva
da mágico 5… - azzardai.
- È un'opinione - ribatté Marques molto aggressivo. - Perché ho sempre sentito
dire che meigo deriva da meus ego.
E Marques mi guardò con un'aria cupa, sconfortata, come se temesse che io gli
rubassi la gloria di autorità etimologico-semantica, mentre teneva sospesa in
mano la forchetta coperta di purè di patate luminoso.
Questo purè di patate incandescente era una novità della casa. Il brillio era
così intenso che, quando si faceva buio, in quell'ondeggiare costante di luce
ed ombra, illuminava i commensali di più tavoli, con una piccola luce bianca
che emetteva faville colorate sulla punta delle posate. - Dimmi, è buono quel
purè incandescente? - chiedeva Nunes, curioso.
- Per niente! Manca il sale… - rispose Marques distrattamente, mentre
nell'intimo cercava argomenti che mi riducessero in polvere, in questioni di
linguistica. E stavo ancora per essere coinvolto in quella discussione erudita,
quando terminammo di pranzare, pagammo e arrivammo a lavoro per la seconda
parte del nostro turno.
Quel pomeriggio, il capo m'incaricò di riempire più fogli che potessi con la
frase: "Gli indici della classe C trasferiti per una plenipotenzialità di
effetti generano risultati esponenziali". Era convinzione del capo, molto
radicata, che la quantità più volte ripetuta generasse la qualità e aspettava
sempre, alla fine delle interminabili ore di insistenza di questa frase, che
qualcosa di nuovo si producesse, il che era accaduto, a quanto ne sapevo, solo
una volta e prima del mio ingresso nell'impresa.
Quella sera Nunes, sempre preoccupato per la mia solitudine, m'invitò a cenare
a casa sua, insistendo:
- Vieni dai, si trova sempre qualcosa, ho già avvisato mia moglie. I bambini,
certo, sono un po' rumorosi, ma è sempre meglio che cenare da solo.
Cercai di scusarmi, ma non resistessi all'insistenza, affinché Nunes non si
offendesse e lo seguii fino a casa.
Dopo avermi detto, più di una volta: "Teles non far caso all'aggressività
di Marques, è solo apparenza", Nunes infilò la chiave nella porta e aprì.
Per un momento, in un riflesso quasi istantaneo, evitai che Nunes precipitasse nel
vuoto. La porta dava su un cielo azzurro, con poche nuvole in cui, qui e là,
volavano bianchi uccelli.
- E questo, eh? - esclamò Nunes livido, appoggiato allo stipite. Poi,
ricomponendosi e dando una sistemata al vestito: - Bene, date le circostanze devo
cancellare il mio invito: Teles comprendi, non è vero?
Confermai. Finimmo per mangiare una bistecca al bancone di una birreria quasi
deserta, in assoluto silenzio.
Seduti su un flipper, due angeli conversavano intensamente. Uno di loro aveva
baffi lucidi, arricciati ed era considerevolmente grassoccio. Sembrava molto
triste e diceva all'altro, un angelo piuttosto basso, con il viso smunto e la
tunica piena di macchie:
- E sai cosa ha detto, quando lo condussero davanti al Signore? Dunque, disse:
"Solo perché ha il volto rifulgente non creda d'impressionarmi…"
E durante tutta quella cena, davvero esterrefatti, Nunes, io e il padrone del
locale fummo messi al corrente di una complicata tela di intrighi angelici,
benché, discretamente, simulassimo di quando in quando una nostra conversazione
personale, fatta di frasi sciolte e di circostanza. Fu con sollievo che
ritornammo in strada, dopo la rituale discussione su chi dovesse pagare il
pasto e che finì per essere equamente diviso a metà, come era nostro proposito
prima di iniziare la diatriba. Nunes era molto imbarazzato e agitato. Non aveva
niente da fare, né un luogo dove andare. Io lo invitai a dormire per quella
notte a casa mia.
- Vieni - gli dissi -, fa comodo anche a me, amico! Hilda non c'è, e stamattina
ho trovato in casa alcuni animali che preferirei non dover affrontare da solo.
Nunes ne fu sorpreso:
- Degli animali? Quali animali?
- Alcuni mostriciattoli, di quelli comuni - spiegai.
Nunes non sembrava molto convinto. Ed accettò definitivamente il mio invito
solo quando, dopo essere ritornati nel suo palazzo, ritrovò il cielo dietro la
porta e l'evidenza che non avesse nessun altro posto in cui dormire per quella
notte.
Quando arrivammo in casa mia rovistammo in tutti gli angoli, con molta
attenzione. Degli animali di quella mattina non c'era nemmeno l'ombra.
- Probabilmente li ha portati via la portinaia - osservò Nunes,
tranquillizzato.
Lo sistemai in camera mia e andai a dormire in salotto. Non solo per
educazione, ma perché la sala quella notte aveva assunto una conformazione
triangolare decisamente appuntita e certo diversa dalla regolare posizione
quadrangolare degli altri giorni. C'era il vantaggio che la finestra ora dava
sul fiume e potevo vedere distintamente le luci della siderurgia sulla riva
sud. Proprio in mezzo al Tejo, un lampo partito dalle nuvole si perpetuava
fisso creando un'ampia zona di luminosità abbagliante.
Sfogliai un libro qualsiasi e mi addormentai, pensando che quello era stato un
giorno davvero frustrante.
(Tratto da A Inaudita Guerra da Avenida Gago Coutinho, Lisboa,
Editorial Caminho, 1992, 7a ed., pp. 36-49.)
Note
1 Ladro, mariolo
2 Ladro, ladrone
3 Abbaiare
4 Tenero, dolce
5 Magico, mago, stregone
Mário de Carvalho è nato nel 1944 a Lisbona, laureato in
Diritto, pubblica le sue prime opere negli anni '80. ribelle al canone dei
generi letterari e definito scrittore dalla narrazione lineare che non disdegna
metalessi e intrusioni della voce narrante, l'autore coniuga il racconto delle
atmosfere pittoresche della sua Lisbona con la narrazione di eventi dai
contorni surreali. Nel 1981 escono i Contos da Sétima Esfera, scritti
secondo tecniche molto personali e al limite del non trasmissibile. La
narrazione di Mário de Carvalho si compiace di un certo virtuosismo nella
costruzione sintattica e di un procedere caleidoscopico, dai contorni sfumati e
stilisticamente impalpabili. Da un lato, troviamo la narrazione del fantastico
e dell'assurdo calati in una contemporanea quotidianità in cui storia e mito
s'intrecciano fino a confondersi, dall'altro, una narrazione realista, il
romanzo di riflessione, la ricerca morale sulla condizione dell'uomo come
animale politico. In O Livro Grande de Tebas Navio e Mariana (1982),
un racconto di viaggio di continente in continente e di epoca in epoca sullo
sfondo di un caos primigenio tra scenari babelici e leggende apocalittiche,
troviamo una storia in movimento, una dislocazione perenne verso l'altro, dalle
macerie del passato alla più sfrenata fantasia del futuribile. Se Tebe è il
passato, metafora di una Storia che non ci appartiene più, Lisbela rappresenta
il futuro, città visibile ma irraggiungibile, inconoscibile come l'avvenire. Da
un altro punto di vista, la metafora della nostalgia rivoluzionaria che seguì
alla Revolução dos Cravos, tema affrontato anche in Os Alferes
(1989) e in O Sentido da Epopea (1996). Nel 1983 l'autore pubblica A
inaudita guerra da Avenida Gago Coutinho , realismo fantastico e ironico
che riunisce testi trasgressivi e teoclasti concernenti la coscienza
dell'irrazionalità tanto del divino quanto dell'umano. A Paixão do Conde de
Fróis (1986) racconta le stravaganti vicissitudini di un giovane
aristocratico, utilizzando l'immaginazione nel combinare e confondere riflessioni
moderne e giocose, ma il processo di ri-scrittura postmodernista dell'autore è
particolarmente evidente in Um Deus passeando pela brisa da tarde
(1995), storia di un magistrato dell'Impero di Marco Aurelio e di una patrizia
cristiana, in cui l'aspetto ludico e parodistico rivela un realismo del
disincanto sincero e razionale di fronte all'evolversi dei tempi e al mutare
delle stagioni della Storia. L'ultimo titolo del 2003 è Fantasia para dois
Coronéis e uma Piscina.