Vi ripugna De Sade? Allora leggetelo tutto

Aurelio Grimaldi

 

È necessario sgombrare il campo da ogni equivoco. Non può sussistere alcun dubbio: il marchese François Alphonse Donatien De Sade era uno psicotico grave, un criminale incallito, un maniaco appurato, un uomo pericoloso per sé e per gli altri. Non avrei permesso a nessuno dei miei figli e figlie, né a nessuna persona che mi stia a cuore, nemmeno di avvicinarglisi nel raggio di venti miglia. Il quadro clinico è paurosamente chiaro: schizofrenia con sindrome maniaco-depressiva con punte fisse di aggressività e violenza (sadismo, appunto), autogiustificate da un sistema sedicente filosofico, di tipo naturalistico-anarcoide non privo, ahimè, di una sua lucida follia.
Premesso doverosamente questo (a scampo di ogni equivoco che ogni discussione sul Marchese pericolosamente provoca), vi stiamo comunque suggerendo di osare di affiancarvi alle sue strepitose pazzesche opere o, se le avete già affrontate uscendone disgustati, di riprovarci nuovamente. Per quanto mi riguarda, trovo il Marchese uno dei più insostenibili geni della cultura occidentale.
A mia volta l'ho affrontato in tarda età (per l'esattezza all'alba dei 43 anni) dopo decenni di miei pregiudizi secondo cui il Marchese era tutt'al più degno di trattati psicosessuali e non certo di Letteratura con la "L" maiuscola. In effetti non sapevo che, col Marchese, il limitarsi alla Letteratura sarebbe comunque stato un atteggiamento pesantemente riduttivo. De Sade, più che un genio letterario (campo sul quale ha comunque parecchio da dire), ha lasciato segni indiscutibili e a volte grandiosi anche nella Sociologia, nella Psicologia, ovviamente nella Psichiatria, nell'Antropologia, insomma, nella storia della Cultura Umana.
Il mio primo traumatico impatto col Marchese avvenne nel lontanissimo 1976. Avevo appena compiuto 18 anni e mi recai, pieno di pregiudizi, a visionare il famigerato Salò o le 120 giornate di Sodoma del defunto Pier Paolo Pasolini. Il film mi disgustò completamente. Non conoscevo, né avevo la minima intenzione di conoscerla, l'opera del Marchese (infatti passarono altri 23 anni prima di prendere in mano un suo libro). Archiviai il filmaccio come una degna sintesi di due menti malate (Pasolini e De Sade, appunto).
Nove anni dopo, tra le brume di East-London, un cinema d'essai offriva Il portiere di notte e Salò in lingua originale e al prezzo di un solo biglietto. Accorsi. Il portiere di notte, che non avevo mai visto, mi parve un po' datato e non mi suscitò profonde emozioni. Trovai Salò, invece, conturbante e impressionante come un decennio prima, ma pieno zeppo, stavolta, di incomparabili meriti. Oggi lo considero definitivamente un film di immensa e terribile importanza. Ma non fu sufficiente, ancora una volta, per aprirmi spiragli verso il Marchese e le sue opere. Solito viaggio "cinematografico" inter-continentale, ed ecco il volumone di Le 120 giornate di Sodoma fare capolino accanto a più degne opere. Fu la prima sconcertante lettura di una serie che mi auguro possa essere presto completa.
Di un libro di De Sade tutto si può dire ma non la fatidica frase: "Mi è piaciuto". De Sade ti offre solo viaggi nel sensuale, sì, ma anche nell'orrido e nel folle. Al confronto, il terribile film di Pasolini mi sembrò di colpo acqua fresca. Ne Le 120 giornate De Sade riesce a costruire un castello narrativo "a cornici" (molto più originale di quello, per esempio, del Decameron) dove gli orrori e i desideri umani vengono svelati e catalogati come nessuno fece prima di lui e come nessuno avrà il coraggio di fare nei prossimi secoli.
Ho cercato di fare dei calcoli paralleli. Il film sadiano di Pasolini appare tutt'oggi, ventinove anni dopo la sua uscita, terribile e spaventoso. Moltissimi temprati appassionati di cinema (alcuni da me direttamente stimolati) hanno tentato più volte, invano, di vederlo fino alla fine, anche in proiezioni video da me organizzate: macchè! È un film che, per il crudele assunto "rivoluzionario", viaggia secondo me (dopo accurati calcoli aritmetici, lo giuro!) con circa novant'anni di anticipo. Intendo dire che occorreranno altri 60 anni, oltre i 30 già passati, per poter essere forse visionato da un ambiente socio-culturale che non gridi al disgusto o allo sdegno. I romanzi di De Sade, invece, scritti a fine `700, viaggiano invece a circa (secondo i medesimi accuratissimi calcoli!) 320 anni di anticipo sui suoi tempi. In altre parole, secondo i folli calcoli del sottoscritto, solo intorno al 2100 i suoi libri potranno essere letti da un vasto pubblico in un ambiente socio-culturale forse tollerante e comprensivo.
Oggi no. Un "normale" spettatore del film, o lettore di questi libri, rischierà di trovarli entrambi ripugnanti. Rispettiamo costoro, ma vi invitiamo vivamente ad uscire, se ne fate parte, da questa compagnia di maggioranza rispettabile, va bene, ma non esattamente ardimentosa. Ma che scrisse, costui, di tanto repellente? Nulla, direi, che meriti questa aggettivazione. La grandezza (anche letteraria) di De Sade consiste nell'abilità folle, del tutto coraggiosa e temeraria perché appunto psichiatricamente disinteressata a tutti e tutto, di raccontare l'abisso sessuale di noi esseri umani. I personaggi sadiani sono innamorati della vita e considerano la sessualità un segreto di felicità. La amano talmente da non riuscire a darsi pace per le infinite briglie che la Società, le Leggi, e soprattutto le Religioni, crudelmente (e insensatamente, direbbe furiosamente il Marchese) vi oppongono.
In Le 120 giornate (1782-85), romanzo derubato, sequestrato, sparito, comunque incompiuto, e non rivisto dal suo autore, una banda di ricchi e potenti rapisce ragazze e ragazzi per provare con loro, a viva forza, tutte le estensioni che la sessualità può offrire a menti pericolosamente malate di Potere più ancora che di Lussuria. La lettura del romanzo, seppur incompiuto (per grazia di Dio, direbbe qualcuno) è sempre più insopportabile per la lista immonda di crudeltà narrate. Eppure De Sade non si inventa nulla. Come ripetutamente annotarono i suoi celebrati ammiratori (da Baudelaire a Sartre, da Swinburne a Majakovski, da Apollinaire a Foucault), il terribile Marchese osò decifrare un mondo totalmente presente in tutti i settori della vita occidentale, sotto forma di sogni, desideri, crimini, anche torture. A quest'ultimo proposito, tuttavia, è stato fatto correttamente notare che quelle raccontate da De Sade in forma letteraria non raggiungono in crudeltà quelle realizzate dal cattolicissimo Tribunale del l'Inquisizione un secolo e mezzo prima.
Onestamente non sapremmo dire chi sia più disgustoso: se il parroco che tortura e uccide in nome di Dio, o gli orrendi De Blangis o De Curvai che lo fanno alla ricerca di un'estasi lussuriosa e cupidinosa. Per conto nostro imprigioneremmo entrambi. Ma non sta qui la giustezza dell'affare De Sade.
Il nostro Marchese, a differenza dell'Inquisizione, non spiega mai le ragioni di tanta turpitudine se non con la ricerca individuale del piacere e con l'aspirazione filosofica di seguire i dettami della Natura: che tutto giustifica. Ciò che appare chiarissimo, anche se probabilmente involontario, è che gli infami corruttori delle 120 giornate sono alti magistrati, alti politici, alti prelati, persone di assoluto potere. Bene ha fatto dunque Pasolini a mantenere l'equazione Potere=Aggressività Sessuale. Qui sta un altro grande merito di De Sade: tutti i porcaccioni del romanzo sono ricchi, potenti, prevaricatori (e, nella fattispecie pasoliniana, fascisti). Si può correttamente concludere che l'equazione poi stigmatizzata da Pasolini sia completa. Mi rifiuto (oggi, con un ritardo personale di decenni) di dare alcun torto morale o tanto meno estetico a costoro. In Justine, o i guai della virtù (1791), secondo alcuni (non chi vi scrive) l'opera più riuscita del Marchese, l'intrepida protagonista passa attraverso una sequela interminabile di sventure che la signorina affronta con spirito cattolico indefesso e incrollabile fino all'ironico, quasi tragicomico, finale. Io, personalmente, preferisco invece suggerirvi l'impagabile La filosofia nel boudoir (1795). Madame de Saint-Ange, spalleggiata dal padre di Eugénie, riceve l'incarico di occuparsi dell'educazione filosofica della bellissima ragazzina. Madame si fa aiutare dal fratello (suo amante!) marchese de Mirvel, dal libertino omosessuale Dolmancé, dal servo procace (come lo devono essere tutti i "proletari", anche prima che il marxismo li chiamasse così!) Augustin. L'educazione filosofica va ovviamente intesa alla De Sade, e ve la lasciamo allegramente intuire! Alla fine la ragazzina, invano protetta dalla madre bigotta, supererà i suoi maestri in fulgida sensualità e passione!
De Sade non conosce la levità del quasi contemporaneo (di un anno appena più giovane) Choderlos De Laclos del magnifico Les liaisons dangereuses. De Sade è dettagliato, puntiglioso, pedante, ossessivo. Nelle 120 giornate si perde nella ripetitiva complessità della sua immensa Struttura. Ma in Justine e ne La filosofia nel boudoir la sua congenita pesantezza si mischia all'ironia settecentesca; la sua furia compilatoria (di atti sessuali) si scontra con la gioia invicibile della carne; la sua strabordante sincerità attenua gli eccessi "sadici" di certe immonde avventure. E al di sopra di tutto, il folle, possente, impetuoso, inverecondo ardimento di raccontare, con cipiglio, senza timore alcuno, pagando con quasi trent'anni di carcere e manicomio, l'angustia del Desiderio Insopprimibile di tutti gli esseri umani, e che cento anni dopo qualcuno "scoprì" e denominò Inconscio.
Sgombrandosi di ogni inutile moralismo, rifiutando la superficialità di ogni prima lettura "sincronica", immergendosi con spirito ulissiaco nelle complessità dei viaggi sadiani, si scoprirà infine come il Marchese abbia ancora tantissime cose da dirci, chiarirci, rivelarci. Onore al terribile De Sade: uomo temibile e pericoloso, artista unico ed inimitabile.



Aurelio Grimaldi è regista cinematografico e scrittore. Vive tra Roma e Termini Imerese. Meri per sempre (La Luna, 1987), Le buttane (Bollati, 1989), Storia di Enza (Bollati, 1991), I violanti (Lavoro, 1995)


 

(Tratto dal Supplemento letterario Stilos, del Giornale di Catania, Febbraio 2004)

 

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