LA SAMENESS E LA LIBRERIA
– La situazione del libro in Italia oggi –

Massimo Citi

 A vederla dall'esterno, semplicemente girando per una libreria o navigando fino a una delle librerie on line italiane, la situazione del commercio librario sembrerebbe reggere discretamente alla recessione e alla generale contrazione dei consumi.
Anche a scambiare due parole con gli ispettori editoriali e con alcuni editori se ne trae una sensazione di sostanziale tenuta, di un settore che, mai stato ricco, non risente più di tanto di una situazione dei consumi che si avvita negativamente su stessa.
I fatturati tengono o crescono leggermente, escono più titoli, le librerie sopravvivono. Ma è vero? Si tratta di una sensazione che ha saldi fondamenti nella realtà?
No.
Non è completamente falsa, sia chiaro, ma la situazione del comparto editoriale librario ha da tempo infilato un loop pericoloso, che alla distanza potrebbe rivelarsi letale per la varietà e la qualità della produzione.

I libri in questi ultimi tre anni sono nettamente aumentati di prezzo.
Molto più che una sensazione. In tre anni a semplice titolo di esempio – la collana Einaudi Tascabili è passata dai 9,00 euro medi di copertina del 31 dicembre 2001 ai 9,96 euro di fine 2004. Circa un 11% di crescita del prezzo di copertina medio. E si tratta di un calcolo assai rozzo, fatto sui titoli giacenti a magazzino a fine anno, che non tiene conto del prezzo medio del titolo realmente venduto ne di quanto pesino all'interno dei venduto i titoli novità dell'anno.
Ma forse con un po' di pazienza si può riuscire a essere più precisi. Di nuovo Einaudi Tascabili, ma soltanto per coerenza.
Il prezzo medio di copertina della novità di questa collana usciti nel 2004 è stato di 11,59 euro contro contro i 10,57 curo del 2003. Come dire un 9,75% sulle semplici novità. E in un solo anno.
Insomma il lettore XY, acquirente di titoli nuovi usciti in Einaudi Tascabili ha speso nel 2004 quasi un 10% in più.
Ma è un problema solo di Einaudi? E dei tascabili Einaudi in particolare?
No, anche se per questa collana il fenomeno sembra più evidente che per altre. Il dato su tutte le novità 2004, desunto semplicemente da magazzino e fatturato CS 2004, è di una percentuale di aumento dei prezzi di copertina che oscilla tra il 3 e il 4%. Per il terzo anno di seguito, però. E ritorniamo qui nei pressi del famoso 11% degli Einaudi Tascabili citato all'inizio del discorso, tanto per non fare torto a nessuno. Dati grezzi e parziali (o parzialissimi) quanto volete ma comunque indicativi e sicuramente superiori al tasso ufficiale di inflazione, cosa che non stupirà chi motivatamente dubita del paniere ISTAT e delle contorte alchimie con il quale è definito.
Ma avere un'idea ragionevole dell'inflazione libraria, tuttavia, è comunque arduo. Qualunque calcolo realmente attendibile dovrebbe riferirsi ai titoli venduti in quantità significativa e comparando entità coerenti, per fasce di prezzo e di venduto. Ovvero sulla «moda» piuttosto che sulla «media». Fuorviante, infatti, basarsi sulla media dei prezzi di copertina dei titoli pubblicati, finendo nel conto un trenta per cento e più di titoli che rimangono sostanzialmente invenduti (a livello nazionale e non solo locale).
La sensazione dominante tra gli addetti ai lavori, comunque, è che attuata la «vendetta dell'euro» come in qualsiasi altro settore commerciale (senza che dal cosiddetto governo del nano di Arcore sia venuto anche solo un piccolo segnale di disapprovazione) si vada ora verso un periodo di bonaccia. Con le collane economiche giunte alle soglie dei dieci euro, le brossure sui quindici e i rilegati finalmente vicini all'approdo dei venti euro. Essendo partiti, ab origine, dalle dieci-dodicimila, quindici-diciottomila e venticinque-trentamila, rispettivamente.

Ma se l'inflazione in campo editoriale ha un andamento non troppo dissimile da quello di qualsiasi altro settore merceologico, diverso il discorso per la composizione dell'offerta.
La strategia della «parete di scatolette di tonno», ben nota alla grande distribuzione, ovvero l'occupazione fisica dello spazio con un numero esorbitante di titoli, continua a essere abbondantemente impiegata dai grossi gruppi editoriali, avendo contagiato negli ultime due-tre anni anche gruppi editoriali precedentemente meno ingombranti.
Piemme (recentemente divenuto parte del Gruppo Mondadori) e il gruppo Longanesi - Garzanti sono tra coloro che hanno deciso di cavalcare la strategia dell'occupazione fisica della libreria. Utilizzando due tattiche diverse e anche, probabilmente, diversamente efficaci.
Piemme ha scelto di riciclare fino allo sfinimento la sua produzione, il gruppo Longanesi ha moltiplicato il numero di novità, produzione di gialli e thriller, senza, per questo, che altri generi vengano risparmiati. Gran parte dei gialli Piemme sono stati pubblicati prima nel formato rilegato (17-19 euro), passati poi nei minipocket (4,90 euro), nei pocket (8,90) e infine ricilati un'ultima (forse) versione a 6,90 euro come «Maestri del thriller». A non poche librerie dev'essere così successo di avere a magazzino Ghiaccio nero di Michael Connelly in tre versioni diverse, quattro se per caso non aveva reso a rotta di collo la versione rilegata.
Per il gruppo Longanesi (che possiede e/o promuove gli editori Guancia, Nord, Ponte alle Grazie, Neri Pozza, Garzanti, Vallardi, Giuntina, TEA, Salani, Passigli, Corbaccio... e spero di averli ricordati tutti) la tattica di «invasione» della libreria è passata per una crescita nel numero di titoli proposti nel 2004, compresa tra il 15 e il 20% (anche questo dato è tratto dal magazzino CS ed è probabilmente sottostimato).
Un processo partito «da lontano» con la nascita di nuove collane economiche (i «guandini», meglio noti come «Fenici tascabili» e i tascabili Neri Pozza) e alla diaspora in sottocollane delle collane esistenti (TEA saggistica, TEA pratica, TEA esperienze, TEA storica), alla pubblicazione diretta in economica di titoli nuovi, alla riproposizione — in qualche caso meritoria – di titoli di catalogo semidimenticati.

Ma ora farò un passo indietro, per chiarire un'apparente contraddizione in termini. A chiunque potrà apparire quantomeno improbabile se non assurdo che, in una situazione di sostanziale stagnazione delle vendite, aumenti la produzione dei titoli. Si è abituati a pensare che, in tempi di crisi, si ficca la testa nel guscio aspettando che la tempesta passi. Non solo, si è anche abituati a pensare che il costo di produzione del libro (materia prima, diritti d'autore, redazione, promozione e distribuzione) sia una costante che pesa a ogni passaggio. Ma, naturalmente non è così.
I diritti delle traduzioni vengono pagate una sola volta. E i traduttori anche (ma mooooolto meno). I costi di redazione sono, nuovamente, fissi. Anche qui, con un numero X (costante o in diminuzione) di redattori si possono produrre 10 o 100 titoli. Nel secondo caso sarà necessario utilizzare agenzie editoriali, ovvero lavoratori precari e malpagati e si dovrà tirare un po' via sulla qualità dei testi. L'aumento di costi non sarà comunque proporzionale all'aumento della produzione ma sicuramente inferiore. Insomma: si può fare.
Società di promozione e distribuzione si pagano in percentuale. Ma questo comporta che sia le prime sia le seconde abbiano tutto cia guadagnare nel far girare più velocemente possibile il volano non soltanto economico ma anche finanziario della produzione editoriale.
In breve: produrre più titoli ha un costo solo apparentemente proibitivo. La composizione dei costi del libro, infatti, comporta quasi automaticamente la convenienza nella moltiplicazione dei titoli piuttosto che l'aumento delle tirature di un numero inferiore di titoli.
Questo un tempo non accadeva. Certo. E una volta i libri erano curati meglio. Vero. Ma questo accadeva ai tempi nei quali erano le redazioni ad avere l'ultima parola sulla produzione di un titolo. Non solo. Erano tempi nei quali le redazioni erano «popolose» e la cura del libro era un elemento fondamentale della sua produzione.
Da qualche anno a questa parte le redazioni sono state letteralmente ridotte all'osso, il lavoro precario ha sostituito l'assunzione a tempo indeterminato, l'autosfruftamento è divenuta regola.
Non solo: il parere delle redazioni è divenuto molto meno vincolante per la pubblicazione o meno di un titolo. E non si tratta di una curiosità, sarà bene sottolinearlo. Il parere redazionale era ed è la garanzia della qualità di titoli e autori che la casa editrice offre al lettore. L' equilibrio tra qualità e quantità è letteralmente l'orizzonte degli eventi del settore editoriale librario. Una volta saltato questo equilibrio l'intero settore rischia di snaturarsi dilapidando un patrimonio di competenze e conoscenze senza alcuna possibilità di rimpiazzo, perlomeno a tempi medi.
Se a questo aggiungiamo che il mercato editoriale straniero, soprattutto quello di lingua inglese, è ormai patrimonio di pochi grandi gruppi e di un sistema estremamente «dinamico» di agenzie editoriali che obbligano gli editori italiani a gare al rialzo, affannose rincorse di titoli spesso nemmeno ancora pubblicati in lingua originale (cfr. LN-LibriNuovi speciale II libro nascosto, 2001) e acquisti di «pacchetti» di titoli e autori incerti per accedere al titolo «sicuro», ne abbiamo un quadro che quasi automaticamente «spinge» all'iperproduzione. A patto, naturalmente, di avere le risorse per reggere a questo tipo di produzione.

Il paradosso dell'iperproduzione in tempi di recessione trova così una sua spiegazione logica. «Logica», ovviamente, soltanto all'interno dei meccanismi produttivi e riproduttivi del capitalismo globalizzato.

Ma l'iperproduzione di titoli ha ulteriori corollari che merita esaminare da vicino.
– L'impegno finanziario delle librerie.
Difficile «spingere» un titolo incerto presso una libreria, cercando di trasformare le tre copie prenotate dalla libreria in trenta o le dieci copie in cento. Più facile «spingere» su un ventaglio di titoli tutti ugualmente «deboli» ma che nessun libraio può semplicemente ignorare. Le schede di presentazione delle novità sono in genere pletoriche, oscure, magniloquenti, pompose e – ça va sans dire – inaffidabili. Non resta che ripiegare sul classico «2 copie per», che, come insegnano tutte le scuole librai dell'orbe terracqueo, significa solo finire subito l'unico titolo desiderabile e rimanere con tutti gli altri nel magazzino. L'alternativa è secca: non acquistare. Cosa relativamente facile se si è libreria specializzata, meno facile o impossibile se non lo si è: ne va di mezzo la professionalità, il decoro e l'assortimento della libreria.
In definitiva l'esito finale, anche grazie all'inflazione, è un aumento dell'indebitamento della libreria. Un aumento che può rilevarsi difficilmente sostenibile o decisamente letale.

– Minor tempo di permanenza in libreria.
Inevitabile, se ogni settimana si rovesciano in libreria dai duecento ai trecento titoli nuovi. Inevitabile anche per semplici motivi di spazio e di movimentazione sui tavoli e sugli scaffali. Più novità significa, tra l'altro, più tempo passato a sceglierle, più tempo dedicato al riassortimento, alla disposizione, all'esposizione e alla preparazione delle rese. Risultato: personale meno disponibile a «perdere tempo» con il cliente incerto, indeciso o anche soltanto curioso. Questo genere di «intasamento», si rivela poi particolarmente nocivo nelle librerie che non abbiano enormi superfici. Ovvero, per la stragrande maggioranza, le librerie indipendenti. E particolarmente per queste ultime che «più titoli» significa meno assortimento reale, meno competenza degli addetti, minore reperibilità di titoli anche recenti.

– La scomparsa o l'inattendibilità della funzione di «consiglio» del libraio e del personale della libreria.
I librai sono spesso (non sempre) grandi lettori, ma il ritmo di uscita dei titoli nuovi è tale da metterli comunque fuori gioco. Non resta che spulciare recensioni, finendo così per fissarsi su una manciata di titoli. Ma...
Il terreno per un continuo e spudorato scambio di favori. Ecco cosa sono diventate le pagine cosiddette culturali di quotidiani e periodici. [...]
Le pagine culturali scelgono gran parte delle notizie da dare a seconda che gli editori o gli autori [...] siano più o meno graditi personalmente a chi è incaricato di confezionare le pagine [...]
Gli editori lo sanno bene, come funziona. in libro può vivere di fama propria, o grazie al passaparola, ma bisogna che qualcuno faccia scoccare la scintilla iniziale [...] Meglio usare la posta, celere e circolare, meglio usare le pagine dei giornali. E come postini coloro che delle case editrici avranno sempre bisogno e cioè i giornalisti clic scrivono libri e amano vederseli pubblicare (Paolo Bianchi e Sabrina Giannini, La Repubblica delle marchette, Stampa Alternativa, 2004).

In apparenza, quindi anche della recensione c'è ben poco da fidarsi. Quindi il libraio «espropriato» della propria funzione sembra destinato a diventare una chimera destinata a una rapida estinzione: un po' facchino, un po' passacarte e un po' maldestro arredatore.

Inutile e probabilmente patetico cercare un colpevole, un vilain per una situazione che nasce da scelte fatte già da tempo. Una volta perduta la propria indipendenza, ovvero scomparsi o neutralizzati gli «editori puri», per l'editoria libraria non è restato che allinearsi alla versione vincente di produzione, quella che ormai da anni sta lavorando ad alcuni chiari obiettivi;
• «razionalizzazione» del mercato con espulsione dei piccoli punti vendita, puntando ad acquistare la proprietà dell'intera filiera – dalla tipografia al megastore – e comunque privilegiando interlocutori di grandi dimensioni che permettano economie di scala anche nella gestione dei pagamenti e del credito;
• iperproduzione di titoli per ammortizzare i costi (e i rischi) di acquisizione dei «pacchetti» di diritti e per alimentare il volume dei crediti finanziari;
• redattori e traduttori sempre più «decentralizzati», ovvero precari e ricattabili;
• tendenziale eliminazione delle reti di promozione con agenti a provvigione, sostituite da invii predeterminati centralmente, in rapporto alle previsione di assorbimento del punto vendita (e in spregio a qualsiasi sua «specializzazione»);
• ottimizzazione del capitale culturale «storico» dell'editore con impiego crescente della rete dei punti vendita dei periodici — edicole e supermercati — e marginalizzazione della rete libraria sul territorio.

Questo è il quadro delle tendenze più evidenti del settore, tendenze che, nel corso del 2004, si sono ulteriormente evidenziate.
Tendenze che definiscono anche per il libro un quadro che in altri settori commerciali e culturali è divenuto regola e che ha determinato tra l'altro una crescente sameness (identità seriale/somiglianza) di prodotti e di marchi.
Da notare come questo panorama fosse già definito con sinistra precisione nel libro di A. Schiffrin, Editoria senza editori, Bollati Boringhieri, edito già nel 2000 e al quale, in queste pagine, demmo allora molto spazio. All'epoca cercammo anche di articolare una risposta, organizzando librai ed editori indipendenti all’interno di una struttura di autodifesa e di promozione del «libro libero». Come capita spesso il tentativo (Slow-Book) rimase in forma embrionale anche per l'oggettiva difficoltà di coordinare strutture e individui poco abituati a collaborare e per l'assenza di un chiaro e riconosciuto «gruppo pilota». Nel frattempo sono nate e si muovono altre iniziative come il «Comitato 10 giugno», che raggruppa un centinaio di librerie indipendenti che hanno sottoscritto un documento comune (vedi il sito: http://www.bancarellaweb.it/librai/documento.html).
Sintomi di resistenza dei quali i lettori, i naturali interlocutori di chi si occupa professionalmente di libri e di lettura, sono troppo spesso all'oscuro. Sintomi di resistenza che gli editori indipendenti non sembrano cogliere con sufficiente chiarezza.
A questo punto librai ed editori indipendenti hanno anche meno tempo da dedicare a un qualsiasi progetto di tutela del settore. Sono passati quattro anni e i punti vendita in sofferenza sono aumentati. Sono sempre di più le librerie indipendenti che vivono di pura e semplice abnegazione personale di titolari e dipendenti.
Abbiamo sprecato quattro anni a illuderci o a inventare vie di fuga e forse è opportuno tornare a riflettere.
Sotto un bombardamento è difficile ipotizzare una controffensiva, ma si può, perlomeno, cercare di capire che cosa sta succedendo.
Sempre che non sia, davvero, ormai troppo tardi.


(Articolo tratto da LN – Nuovi Libri n° 32 – Inverno 2004)

 

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