IL MARITO DI CAMPAGNA
John Cheever
Tanto per cominciare
dall'inizio, l'aeroplano sul quale Francis Weed viaggiava da Minneapolis verso
est, incappò nel brutto tempo. Il cielo era dapprima di un pallido azzurro e le
nuvole sotto all'aereo erano così compatte che non si riusciva a vedere la
terra. Poi cominciò ad addensarsi la foschia fuori dai finestrini, e l'aereo si
trovò in una nuvola biancastra così densa da riflettere i gas di scarico. Il
colore del banco di nuvole si fece sempre più grigio, e l'aereo cominciò a
vibrare. Francis aveva già volato altre volte con il brutto tempo, ma non aveva
mai ballato tanto. L'uomo seduto accanto a lui tirò fuori dalla tasca una
fiaschetta e ne bevve una sorsata. Francis gli sorrise, ma il suo vicino
distolse lo sguardo, non aveva intenzione di dividere con nessuno il suo
anestetico. L'aereo cominciò a perdere quota e a sussultare sempre più torte.
Un bambino piangeva. Nella cabina, l'aria era surriscaldata e stantia, e il
piede sinistro di Francis cominciò ad avere le formiche. Provò a leggere un
libro tascabile che aveva acquistato all'aeroporto, ma la violenza del
temporale continuava a distogliere la sua attenzione. Fuori dai finestrini era
tutto buio. I gas di scarico divampavano e scintillavano tutt'intorno nel buio,
e all'interno dell'aereo le luci attenuate, l'aria viziata e le tendine alle
finestre conferivano alla cabina un'atmosfera intensamente e irrealmente
domestica. Poi le luci tremolarono e si spensero. "Lo sa che cosa avrei
voluto sempre fare?", domando improvvisamente Francis l'uomo che gli era
seduto accanto. "Ho sempre desiderato acquistare una fattoria nel New
Hampshire e allevare bestiame da carne." La hostess annunciò che stavano
per tentare un atterraggio di fortuna.
Tutti, tranne i bambini, videro nella loro mente le ali spiegate dell'Angelo
della Morte. Si poteva sentire il pilota che canticchiava sommessamente: "Mi
sono rimasti sei pence, sei bellissimi pence che mi dureranno tutta la
vita..." Non si udivano altri suoni.
Il gemito insistente delle valvole idrauliche sommerse la canzoncina del
pilota, poi seguì un acuto stridio che si alzò nell'aria, simile a quello dei
freni di un'auto, e infine l'aereo atterrò sulla pancia su un campo di grano,
facendo sobbalzare così violentemente i passeggeri che un vecchio sulle prime
file ululò: "I miei reni! Ah, i miei reni!" La hostess spalancò i
portelli e qualcuno ne aprì uno di emergenza in fondo all'aereo, facendo
entrare il dolce rumore della loro ininterrotta mortalità, lo scroscio pigro e
l'odore di una pioggia a dirotto. Trepidanti per la loro vita, i passeggeri
sciamarono fuori dai portelli e si sparsero sul campo di grano in ogni
direzione, pregando che l'esile filo non si spezzasse. E non si spezzò, non
accadde nulla. Quando sembrò certo che l'aereo non sarebbe esploso, né si
sarebbe incendiato, l'equipaggio e le hostess riunirono i passeggeri e li
condussero al riparo in un granaio. Non erano lontani da Filadelfia, e in poco
tempo una fila di tassì li condusse tutti in città. "Sembra quasi la
Marna," osservò qualcuno, eppure stranamente non si era allentata quella
diffidenza con cui molti americani guardano ai loro compagni di viaggio.
A Filadelfia, Francis Weed prese un treno per New York. Lì giunto, attraversò
la città e riuscì a prendere, un attimo prima della partenza, il treno con il
quale ritornava sempre a casa sua, a Shady Hill, cinque sere alla settimana.
Si trovò seduto accanto a Trace Bearden. "Sai," gli disse, "ero
su quell'aereo che ha avuto un incidente vicino a Filadelfia. Siamo atterrati
su un campo e..." Francis aveva viaggiato più velocemente delle notizie e
della pioggia, infatti a New York c'era il sole e la temperatura era mite. Era
un giorno della fine di settembre, fragrante e invitante come una mela. Trace
ascoltò il suo racconto, ma come avrebbe potuto emozionarsi? Francis non aveva
la capacità di evocare quel suo fugace contatto con la morte, soprattutto
nell'atmosfera del treno di pendolari che viaggiava attraverso la campagna
soleggiata, divisa in tanti orticelli privati, dove era già iniziato il
raccolto. Poi Trace prese in mano il giornale, e Francis rimase solo con i suoi
pensieri. Alla stazione di Shady Hill, augurò la buona notte a Trace e sulla
sua Volkswagen di seconda mano partì per il quartiere di Blenhollow dove
abitava.
La casa in stile coloniale dei Weed era più grande di quanto apparisse
dall'esterno. Il soggiorno era spazioso e diviso, come la Gallia, in tre parti.
In un vano a elle sulla sinistra entrando dall'anticamera, c'era un lungo
tavolo apparecchiato per sei, con candelieri e un cestino di frutta nel mezzo.
I rumori e gli odori che provenivano dalla porta aperta della cucina
stimolavano l'appetito, perché Julia Weed era una brava cuoca. La parte più
ampia del soggiorno aveva come centro il camino. Sulla destra, c'erano i
ripiani di una libreria e un pianoforte. La stanza era lustra e silenziosa, e
dalle finestre che davano a occidente entrava la luce del sole della tarda
estate, limpida e chiara come l'acqua. Niente, qui, era trascurato, niente non
era stato lustrato. Non era il tipo di casa, quella, in cui, aprendo una
scatola per sigarette, vi si trova magari un vecchio bottone della camicia o un
nichelino ossidato. Il camino era stato accuratamente spazzato, il vaso di rose
sul pianoforte si rifletteva sul suo lucido ripiano, e sul leggio era aperto un
album di valzer di Schubert. Louisa Weed, una bella ragazzina di nove anni,
stava guardando fuori dalla finestra a occidente, accanto al fratello minore
Henry. Toby, il fratello più piccolo, stava osservando le figure di alcuni
monaci con la tonsura che bevevano birra, scolpiti sul lucido ottone della
cassa per la legna. Francis, togliendosi il cappello e posando il giornale, fu
rasserenato da quella scena, ma in modo inconscio, non essendo d'umore
riflessivo. Era il suo elemento, il suo universo, e Francis vi faceva ritorno
con quel senso di leggerezza e di forza che ciascuno ha quando ritorna a casa.
"Ciao a tutti," esclamò. "L'aereo di Minneapolis..."
Nove volte su dieci Francis veniva accolto con grandi effusioni d'affetto, ma
questa sera i ragazzi sono distratti dai loro antagonismi. Francis non ha
finito la sua frase sull'incidente aereo quando Henry sferra un calcio a
Louisa. Louisa si volta di scatto e strilla: "Maledetto cretino!"
Francis commette allora l'errore di rimproverare Louisa per il suo turpiloquio
prima di castigare Henry. Louisa si rivolge allora al padre e lo accusa di fare
preferenze. Henry ha sempre ragione, dice, e lei è perseguitata e trascurata da
tutti, il suo è un ben triste destino. Francis si rivolge allora al figlio, ma
questi ha una giustificazione per il calcio che ha dato alla sorella: è stata
lei a colpirlo per prima, e l'ha colpito proprio sull'orecchio, in un punto che
è molto pericoloso. Louisa lo conferma accalorandosi: sì, l'ha colpito
sull'orecchio, e l'ha fatto di proposito, perché Henry le ha messo in disordine
la sua collezione di porcellane. Henry ribatte che è una bugia. Il piccolo Toby
si volta dalla cassa della legna per portare la sua testimonianza a favore di
Louisa, e Henry gli tappa la bocca con le mani. Francis separa i due ragazzini,
ma accidentalmente fa cadere Toby nella cassa della legna. Toby si mette a
piangere, Louisa sta già piangendo. In quel momento, Julia Weed entra nella
parte della stanza in cui è apparecchiata la tavola. È una donna graziosa e
intelligente, precocemente incanutita. Non sembra fare caso alla baruffa.
"Ciao, ciao," dice serenamente al marito. "Andate tutti a
lavarvi le mani. La cena è pronta" Con un fiammifero accende le sei
candele in mezzo a quella valle di lacrime.
Il semplice annuncio, quasi fosse il grido di guerra dei capi tribù scozzesi,
serve soltanto a rinnovare l'animosità dei contendenti. Louisa sferra un pugno
sulla spalla di Henry. Henry, anche se piange raramente, quella sera è stanco
dopo aver giocato a lungo a baseball, e scoppia anche lui in lacrime. Il
piccolo Toby scopre di avere una scheggia nella mano e lancia un ululato.
Francis annuncia ad alta voce che gli è capitato un incidente aereo e che si
sente stanco. Julia ritorna dalla cucina e ignorando ancora quel caos chiede a
Francis di salire per avvertire Helen che la cena è pronta. Francis è ben
contento di andare, per lui è come rifugiarsi nel quartier generale della
compagnia. Ha intenzione di raccontare finalmente a Helen il suo incidente
aereo, ma la trova distesa sul letto e immersa nella lettura di una rivista,
"Foto-verità," così prima di tutto Francis le toglie la rivista di
mano e le ricorda di averle proibito di acquistarla. Lei non l'ha comperata,
ribatte Helen, le è stata data dalla sua migliore amica, Bessie Black. E poi
tutti leggono "Foto-verità." Anche il padre di Bessie Black legge
"Foto-verità" Non c'è ragazza nella sua classe che non legga
"Foto-verità." Francis ribadisce la sua riprovazione e poi le
comunica che la cena è pronta, anche se non sembrerebbe, a sentire dai rumori
del piano di sotto. Helen lo segue giù per le scale. Julia, intanto, si è
seduta al lume di candela e si è distesa un tovagliolo sul grembo. Il piccolo
Toby sta ancora ululando, con la faccia sul pavimento. Francis gli parla con
dolcezza: "Papà ha avuto un incidente aereo, Toby. Non vuoi ascoltare che
cos'è successo?" Toby continua a piangere. "Toby, se non vieni subito
a tavola," soggiunse Francis, "dovrà mandarti a letto senza
cena" Il ragazzino allora si alza, gli lancia un'occhiata offesa e
sprezzante, sale di corsa le scale fino alla sua stanza e si chiude dentro
sbattendo la porta. "Oh, povera me," esclama Julia e fa per
rincorrerlo. Francis allora obietta che lo vizia troppo, e Julia replica che
Toby pesa cinque chili meno del normale e che bisogna stimolarlo a mangiare.
Sta per arrivare l'inverno, e Toby passerà a letto tutti i mesi freddi se non
mangia la cena. Poi Julia sale di sopra, e Francis si mette a tavola con Helen.
Helen è depressa perché ha trascorso leggendo quella bella giornata e lancia
una tetra occhiata a suo padre e alla stanza intorno. Non può rendersi conto
dell'incidente aereo, perché lì a Shady Hill non è caduta una goccia di
pioggia.
Julia ritorna con Toby e tutti si siedono a tavola e vengono serviti.
"Devo proprio guardare in faccia quella cicciona?", dice Henry alludendo
a Louisa. Tutti, eccetto Toby, prendono parte alla contesa che infuria
attraverso la tavola per cinque minuti buoni. Verso la fine, Henry si mette il
tovagliolo sulla testa e tentando di mangiare in quel modo si rovescia gli
spinaci sulla camicia. Francis domanda a Julia se non è possibile dar prima da
mangiare ai ragazzi, ma Julia ha già la risposta pronta: non può cucinare due
volte la cena e apparecchiare due volte la tavola. Dipinge poi con alcuni
tocchi illuminanti un quadro di estenuante lavoro in cui sono andate perdute la
sua giovinezza, la sua bellezza e la sua intelligenza. Francis replica che
bisogna capirlo, che per poco non ha lasciato la pelle in un incidente aereo e
non gli piace trovare ogni sera, al ritorno a casa, un campo di battaglia. Ora
Julia è veramente irritata, e la voce le trema. Non è vero che ogni sera trova
a casa un campo di battaglia, è un'accusa stupida e meschina. Tutto era
tranquillo finché lui non è arrivato a casa. Poi smette di parlare, posa
coltello e forchetta, guarda nel suo piatto come se fosse un precipizio, e
infine scoppia a piangere. "Povera mammina," esclama Toby, e quando
Julia si alza dalla tavola asciugandosi le lacrime con un tovagliolo, Toby le
corre accanto. "Povera mamma!", ripete. "Povera mammina." E
insieme salgono su per le scale. Gli altri bambini abbandonano a loro volta il
campo di battaglia, mentre Francis va nel giardino sul retro per fumare una
sigaretta e prendere una boccata d'aria.
Era un bel giardino, con sentieri e aiuole fiorite e panchine per sedere. Il
sole era quasi interamente tramontato, ma nell'aria c'era ancora molta luce.
Reso pensieroso dall'incidente aereo e dalla baruffa familiare, Francis
ascoltava i rumori vespertini di Shady Hill. "Vandali! Mascalzoni!",
gridò il vecchio signor Nixon agli scoiattoli che erano entrati nella sua
mangiatoia per gli uccelli. "Filate via e toglietevi dalla mia
vista!" Si udì sbattere una porta. Qualcuno stava tagliando l'erba. Poi
Donald Goslin, che abitava nella casa d'angolo, cominciò a suonare la Suonata
al Chiaro di Luna, come faceva quasi tutte le sere. Non si curava assolutamente
del tempo e suonava in "rubato" dall'inizio alla fine, in
un'effusione di lacrimosa petulanza, depressione e auto compassione che
ignorava tutta quella che era la grandezza di Beethoven. La musica si alzava e
si abbassava nella strada, sotto gli alberi, come un appello all'amore e alla
tenerezza rivolto a qualche avvenente cameriera, una ragazzina dal viso pulito,
nostalgica di Galway, che in quel momento stava guardando vecchie fotografie
nella sua stanza al terzo piano. "Vieni qui, Jupiter! Qui!"; gridò
Francis rivolto al cane da caccia dei Mercier, che stava devastando al
passaggio le piante di pomodoro e teneva tra i denti i resti di un cappello di
feltro.
Jupiter rappresentava un'anomalia, il suo istinto di riporto e la sua vitalità
erano fuori luogo a Shads' Hill. Era un cane nero come il carbone, con un muso
allungato, sveglio, intelligente e malizioso. I suoi occhi brillavano
malignamente, e teneva sempre la testa eretta. Era una testa fiera, bordata da
un pesante collare, quella che compariva negli stemmi araldici e negli arazzi,
e che decorava i manici degli ombrelli e dei bastoni da passeggio. Jupiter
andava dove gli piaceva, mettendo a sacco la spazzatura, bucato steso ad
asciugare, bidoni delle immondizie e scatole di scarpe. Irrompeva nelle feste
in giardino e nelle partite di tennis e si mescolava alla processione della
Chist Church, la domenica, abbaiando furiosamente contro gli uomini vestiti di
rosso. Faceva due o tre incursioni al giorno nel roseto del signor Nixon,
falciando le sue Condesa de Sastagos, e non appena Donald Goslin accendeva il
fuoco per il barbecue, il giovedì sera, Jupiter ne annusava subito l'odore.
Qualsiasi cosa facessero, i Goslin non riuscivano a toglierselo di torno.
Bastoni, pietre e improperi servivano soltanto ad allontanarlo ai margini della
terrazza, dove il cane rimaneva in attesa, puntando il suo nobile muso
araldico, finché Donald Goslin gli voltava le spalle per prendere il sale.
Allora Jupiter balzava sulla terrazza, e con un tocco lieve toglieva la
bistecca dal fuoco e scappava con la cena dei Goslin. I giorni di Jupiter erano
contati. Presto o tardi, il giardiniere tedesco dei Wrightson o la cuoca dei
Farquarson lo avrebbero avvelenato. Anche il vecchio signor Nixon avrebbe messo
l'arsenico nella spazzatura in cui Jupiter andava a rovistare. "Vieni qui,
Jupiter, qui!", gridò Francis, ma il cane schizzò via, dimenando tra i
denti bianchi i brandelli del cappello. Guardando le finestre di casa sua,
Francis vide che Julia era scesa e stava spegnendo le candele sulla tavola.
Julia e Francis conducevano una vita mondana molto intensa. Julia era socievole
e benvoluta, la passione che aveva per le feste derivava da una naturale paura
del disordine e della solitudine. Scorreva la posta del mattino con autentica
ansietà, in attesa di trovare qualche invito, e solitamente ne trovava, ma era
insaziabile, e se fosse anche uscita sette sere in una settimana, ciò non
sarebbe bastato a cancellare dal suo viso quell'espressione assorta
(l'espressione di chi sta ascoltando una musica lontana) come se avesse sempre
immaginato che in quel momento si stava svolgendo altrove qualche festa più
brillante. Francis la limitava a due sole feste alla settimana, lasciando una
certa flessibilità per quanto concerneva il venerdì, e durante il fine
settimana veniva sballottato come una barchetta in mezzo alla tempesta. Il
giorno dopo l'incidente aereo, i Weed erano invitati a cena dei Farquarson.
Francis tornò a casa tardi dal lavoro, e mentre si vestiva, Julia andò a
prendere la baby-sitter e poi lo trascinò in fretta fuori di casa. La compagnia
era simpatica e non numerosa, e Francis pensò che si sarebbe divertito. Una
domestica nuova passò tra gli invitati a servire l'aperitivo. Aveva capelli
scuri e un viso rotondo e pallido che a Francis sembrò familiare. Francis non
aveva sviluppato la sua memoria come facoltà sentimentale. II fumo di legna, il
profumo dei lillà, e altri profumi analoghi non agitavano in lui ricordi, la
sua memoria era come la sua appendice, un deposito di reliquie. Non era un suo
limite, quello di non riuscire a sfuggire al passato, caso mai lo era il fatto
di essergli sfuggito con tanto successo. Poteva aver visto quella cameriera durante
altre feste, poteva averla vista una domenica pomeriggio mentre andava a
passeggio, ma in ogni caso non aveva voglia in quel momento di frugare nella
memoria. La ragazza aveva una faccia meravigliosamente lunare, tipo normanna o
irlandese, ma non era abbastanza bella per giustificare la sua sensazione di
averla già vista prima, in circostanze che avrebbe dovuto ricordare. Domandò a
Nellie Farquarson chi era quella cameriera, e Nellie gli rispose che le era
stata mandata da un'agenzia e che veniva da Trenon, in Normandia, un paesino
con una chiesa e un ristorante che Nellie aveva visitato una volta. Mentre
Nellie parlava dei suoi viaggi all'estero, Francis ricordò dove l'aveva già
vista, quella donna.
Era stato alla fine della guerra, quando aveva lasciato un centro addestramento
reclute e insieme con altri era partito per una licenza di tre giorni a Trenon.
Il secondo giorno, erano andati a un crocevia per assistere alla punizione
pubblica di una giovane donna che aveva convissuto con il comandante tedesco
durante l'occupazione.
Era una fredda mattina d'autunno. Il cielo era plumbeo, e calava sull'incrocio
sterrato una luce deprimente. Si trovavano su un altopiano e da lì potevano
vedere le forme delle nuvole e delle colline che si protendevano verso il mare.
La condannata arrivò seduta su uno sgabello a tre gambe sopra un carro. Restò
in piedi vicino al carro quando il sindaco lesse l'atto di accusa e la
sentenza. Teneva la testa china e sul suo viso aleggiava un vacuo sorriso
dietro al quale si nasconde solitamente l'umiliazione di un'anima. Quando il
sindaco ebbe terminato di parlare, la donna si sciolse i capelli e li lasciò
ricadere sulla schiena. Un uomo piccolo con i baffi grigi le tagliò le ciocche
con le forbici e le gettò per terra. Poi, con una ciotola d'acqua saponata e un
rasoio, le rasò completamente il cranio. Una donna le si avvicinò e cominciò a
scioglierle gli abiti, ma la donna la spinse da parte e si spogliò da sola.
Infine si sfilò la camicia sopra alla testa e la lasciò cadere a terra,
rimanendo nuda. Le donne ridacchiavano, gli uomini rimasero immobili. Il
sorriso della condannata era sempre forzato e malinconico. Il vento freddo le
raggrinziva la pelle bianca e le induriva i capezzoli. A poco a poco i risolini
si spensero, tacitati dal riconoscimento della comune umanità. Una donna le
sputò addosso, ma una certa grandezza inviolabile della sua nudità non fu
scalfita dall'affronto. Quando la folle tacque, la donna, che aveva cominciato
a piangere, si voltò e, senza null'altro indosso che un paio di logore scarpe
nere e le calze, si incamminò da sola lungo la strada sterrata, allontanandosi
dal villaggio. Il suo pallido volto rotondo era un po' invecchiato, ma senza
alcun dubbio la domestica che quella sera servì gli aperitivi e poi la cena,
era la stessa donna che era stata punita a quel crocevia.
La guerra sembrava ormai lontana, così come quel mondo in cui il prezzo dello
schieramento da una parte o dall'altra consisteva nella tortura e nella morte.
Francis aveva perso ogni traccia degli uomini che erano stati con lui a Vesey.
Non poteva far conto sulla discrezione di Julia, non poteva parlarne con
alcuno. E se avesse rievocato quella vicenda lì, a cena, avrebbe commesso un
errore sociale oltre che umano. Le persone raccolte nel soggiorno dei
Farquarson sembravano unite dalla tacita finzione che non ci fosse passato, che
non ci fosse stata una guerra, che nel mondo non si annidassero pericoli e
tensioni. Nella storia non scritta delle vicende umane, quello straordinario
incontro avrebbe trovato il suo posto, ma lì, nell'atmosfera di Shady Hill, il
ricordo appariva fuori luogo e offensivo. Dopo aver servito il caffè, la donna
si ritirò, ma quell'incontro lasciò in Francis un senso di languida malinconia:
aveva spalancato la sua memoria e i suoi sensi, lasciandoli dilatati. Poi Julia
entrò in casa e Francis rimase in auto per accompagnare a casa la baby-sitter.
Si aspettava di vedere la signora Henlein, l'anziana signora che di solito
badava ai bambini, e fu perciò sorpreso quando una ragazza aprì la porta di
casa e uscì sulla veranda illuminata. Si fermò alla luce per sistemare i libri
di scuola che aveva in mano. Aveva un'espressione aggrottata ed era molto
bella. Sì, il mondo è pieno di belle ragazze, ma in quel caso Francis poté
riconoscere la differenza tra la bellezza e la perfezione. Non c'era traccia,
in quella ragazza, di quei piccoli difetti, quei nei, quelle voglie e cicatrici
che fanno tenerezza, e Francis visse nella sua coscienza quel momento in cui la
musica spezza i vetri, e avvertì un morso di consapevolezza strano, profondo,
meraviglioso, come mai gli era capitato in vita sua. Dipendeva, forse,
dall'espressione aggrottata della ragazza, dall'oscurità impenetrabile del suo
volto, un'espressione che lo impressionò come un esplicito appello d'amore.
Quando la ragazza ebbe raccolto i suoi libri, scese i gradini e aprì la porta
dell'automobile. Alla luce, Francis vide che le sue guance erano rigate di
lacrime. La ragazza salì e chiuse la porta.
"Lei è nuova," osservò Francis.
"Sì, la signora Henlein è ammalata. Mi chiamo Anne Murchison".
"I bambini le hanno dato disturbo?"
"Oh, no, no." Si voltò e gli sorrise mestamente alla luce fioca del
cruscotto. I suoi capelli chiari erano sparsi sul bavero della giacca, e lei
scosse la testa per riassestarli.
"Lei stava piangendo?"
"Si."
"Spero che non sia per qualcosa successo in casa nostra"
"No, no. Non è successo niente in casa vostra." La sua voce era piena
di tristezza. "Non è un mistero, tutti lo sanno in paese. Mio padre è
alcolizzato, e mi ha appena telefonato da qualche bar per comunicarmi le sue
opinioni. E convinto che io sia una ragazza immorale. Mi ha telefonato appena
prima che tornasse la signora Weed"
"Mi dispiace."
"Oh, mio Dio!", singhiozzò la ragazza e scoppiò a piangere. Si voltò
verso Francis e lui la prese tra le braccia e la lasciò piangere sulla sua
spalla. Lei sussultava nell'abbraccio, e questo movimento accentuava la
sensazione che lei aveva della purezza della sua carne. Il tessuto dei suoi
abiti era molto sottile e quando il tremito della ragazza si fece meno
convulso, la sensazione fu così simile all'orgasmo che Francis perse la testa e
la strinse ancora più forte. La ragazza si scostò. "Abito in Belleview
Avenue," gli disse. "Deve percorrere Lansing Street fino al ponte
della ferrovia."
"Va bene," rispose Francis accendendo il motore.
"Ecco, volti a sinistra a quel semaforo... E ora a destra, e poi sempre
diritto verso i binari."
La strada condusse Francis fuori dal quartiere in cui abitava, al di là della
ferrovia, in direzione del fiume, in una strada dove stava la gente quasi
povera, in case che con i loro frontoni a punta e le decorazioni di legno
intagliato esprimevano un senso di ambizione e di romanticismo, anche se,
essendo tutte così piccole, non potevano offrire molta intimità o comodità. La
strada era buia, e Francis, eccitato dalla grazia e dalla bellezza di quella
ragazza tormentata, ebbe la sensazione, imboccandola, di essere penetrato nella
parte più recondita di qualche ricordo sepolto. In lontananza vide un portico
con la luce accesa. Era l'unica luce accesa, e la ragazza gli disse che la casa
illuminata era la sua. Quando fermò l'auto, poté vedere, al di là del portico,
un ingresso fiocamente illuminato e un antiquato attaccapanni. "Ecco,
siamo arrivati," le disse, rendendosi conto che un uomo più giovane
avrebbe detto qualcosa di diverso.
Lei non mosse le mani dai libri sui quali le aveva intrecciate, ma si voltò e
lo guardò in viso. Gli occhi di Francis brillavano di desiderio. Con
determinazione, ma non tristemente, Francis aprì la sua portiera e girò intorno
alla macchina per aprire quella di lei. Le prese la mano libera e tenendo le
sue dita intrecciate tra quelle di lei, la accompagnò su per i gradini di
cemento e poi per uno stretto vialetto che attraversava un giardino in cui
erano ancora in fiore, sopravvissute al primo gelo, dalie, calendule e rose che
davano all'aria notturna un profumo agrodolce. Davanti ai gradini di casa, la
ragazza liberò la mano, si voltò e lo baciò lievemente. Poi attraversò il
portico e chiuse la porta. La luce del portico si spense, poi anche quella
dell'ingresso. Un attimo dopo si accese una luce al piano superiore, sul lato
della casa, illuminando un albero che era ancora coperto di foglie. Impiegò
solo pochi minuti per spogliarsi e infilarsi a letto, poi tutta la casa si
immerse nel buio.
Julia era già addormentata quando Francis tornò a casa. Aprì una seconda
finestra e andò a letto per chiudere gli occhi su quella serata, ma non appena
furono chiusi, non appena cominciò a scivolare nel sonno, la ragazza entrò
nella sua mente, muovendosi perfettamente a suo agio attraverso le porte chiuse
e riempiendo una camera dopo l'altra con la sua luce, il suo profumo, la musica
della sua voce. Stava attraversando con lei l'Atlantico a bordo del vecchio
Mauretania, e poi viveva con lei a Parigi. Quando si destò dal sogno, Francis
si alzò e andò a fumare una sigaretta davanti alla finestra aperta. Ritornato a
letto, cercò nella sua mente qualcosa che avrebbe desiderato fare senza nuocere
a nessuno, e pensò a sciare. Attraverso l'appannamento della sua mente, si alzò
l'immagine di una montagna coperta di neve. Era un'ora tarda della giornata.
Ovunque volgesse lo sguardo, vedeva un panorama ampio e rincuorante. Alle sue
spalle, c'era una valle innevata che si alzava in colline coperte di alberi che
macchiavano il candore come una sparsa peluria. Il freddo attutiva tutti i
suoni, tranne il penetrante cigolio metallico dell'argano dello ski-lift. La
luce sulle piste era azzurrina ed era più difficile ora scegliere dove voltare
di quanto lo era stato un minuto o due prima, più difficile distinguere – ora
che la neve era tutta di un azzurro intenso – la crosta, il ghiaccio, le
macchie spelate e i mucchi di neve fresca. Poi scendeva giù dalla montagna, a
una velocità corrispondente ai contorni di quel declivio che si era formato
durante la prima era glaciale, all'ansiosa ricerca di una qualche semplicità di
sentimenti e di situazioni. E infine veniva la sera e andava a bere un
aperitivo con un vecchio amico in una sporca osteria di paese.
Al mattino, la montagna innevata di Francis era scomparsa, e gli rimase
soltanto il vivido ricordo di Parigi e del Mauretania. Era stato colpito nel
profondo. Si lavò, si rase, bevve il caffè e perse il treno delle sette e
trentuno. Il treno era partito proprio quando Francis aveva fermato l'auto
davanti alla stazione, e il desiderio che provò per quelle carrozze che
implacabilmente si allontanavano da lui gli ricordò lo stato d'animo
dell'amore. Sulla banchina ormai deserta rimase in attesa del treno delle otto
e due. Era una mattinata limpida, che sembrava gettata come uno scintillante
ponte di luce sul suo confuso stato d'animo. Era di umore febbrile, eccitato.
L'immagine della ragazza sembrava metterlo in un rapporto misterioso e
affascinante con il mondo. Le auto cominciavano a riempire il parcheggio, e
notò che quelle scese dall'altopiano sopra a Shady Hill erano bianche di brina.
Il primo evidente annuncio dell'autunno lo eccitò. Un treno espresso, un treno
notturno proveniente da Buffalo o da Albany, percorse i binari tra una banchina
e l'altra, e vide che i tetti delle prime carrozze erano coperti da una patina
di ghiaccio. Colpito dalla magica consistenza fisica di tutto ciò che lo
circondava, Francis sorrise ai passeggeri seduti al vagone ristorante, che
stavano mangiando uova e si pulivano la bocca con il tovagliolo. Le carrozze
letto, con le loro lenzuola sporche, gli sfrecciarono davanti nella mattina
fresca come una catena di finestre d'albergo. Poi vide una cosa straordinaria:
a uno dei finestrini una donna svestita di eccezionale bellezza si stava
pettinando i capelli dorati. Passò come un'apparizione davanti a Shady Hill,
pettinandosi e pettinandosi i capelli, e Francis la seguì con lo sguardo finché
non scomparve alla vista. Poi la vecchia signora Wrightson lo avvicinò sulla
banchina e cominciò a parlargli.
"Be', immagino che sarà sorpreso di vedermi qui per la terza mattina di
fila," gli disse. "Ma è per via delle tende delle mie finestre che
sto diventando una vera e propria pendolare. Le tende che ho acquistato lunedì
le ho restituite martedì, e quelle che ho acquistato martedì vado a restituirle
oggi. Lunedì avevo trovato proprio quello che volevo, un tessuto di lana con
uccellini e rose, ma quando sono tornata a casa, ho visto che non erano della
misura giusta. E ora prego il cielo che il tappezziere le abbia della misura
giusta, perché lei conosce casa mia, ha visto le finestre del mio soggiorno, e
può immaginare che problema presentino. Non so proprio come fare."
"Io so che cosa dovrebbe fare," disse Francis.
"Che cosa?"
"Dovrebbe dipingerle di nero all'interno e stare zitta."
La signora Wrightson rimase senza fiato, e Francis la guardò in faccia per
essere sicuro che avesse capito che era stato villano di proposito. Poi la
donna si voltò e si allontanò da lui, così ferita nell'orgoglio che quasi
zoppicava. Una sensazione meravigliosa lo avvolse, come se si fosse fatta luce
intorno a lui, e ripensò allora alla Venere che si pettinava mentre viaggiava
attraverso il Bronx. Il suo entusiasmo fu attutito dalla consapevolezza che
erano trascorsi anni da quando si era preso il gusto di essere così
deliberatamente villano. Tra i suoi amici e vicini di casa alcuni erano
brillanti e dotati, questo lo riconosceva, ma molti erano anche noiosi e
stupidi, e Francis aveva commesso l'errore di ascoltarli tutti con pari
attenzione. Aveva confuso questa mancanza di discernimento con la carità
cristiana, ed era una confusione che sembrava generale e distruttiva. Si sentiva
grato a quella ragazza che gli aveva dato una tale confortante sensazione di
indipendenza. Gli uccelli cinguettavano, erano cardinali e gli ultimi
pettirossi; il cielo scintillava come smalto, perfino l'odore di inchiostro del
giornale aguzzava la sua fame di vita, e il mondo che si distendeva intorno a
lui era semplicemente un paradiso.
Se Francis avesse creduto alle divinità dell'amore, agli amorini armati di arco
e frecce, ai capricciosi intrighi di Venere ed Eros, o anche alle pozioni
magiche, ai filtri, ai decotti e ai quarti di luna, ciò avrebbe potuto spiegare
la sua ipersensibilità e la sua febbrile euforia. Sugli amori autunnali della
mezza età si è molto scritto, e Francis pensava di esserci proprio dentro, ma
non vi era alcuna traccia d'autunno in ciò che sentiva. Voleva trastullarsi in
verdi foreste, grattarsi dove gli prudeva e bere allo stesso calice.
La sua segretaria, la signorina Rainey, era in ritardo quel mattino, uno dei
tre alla settimana in cui andava dallo psichiatra e, quando arrivò, Francis si
domandò quali consigli avrebbe dato a lui uno psichiatra. Ma la ragazza della
sera prima prometteva di far rivivere nella sua vita qualcosa di simile alla
musica. Il pensiero che quella musica avrebbe potuto condurlo diritto davanti a
un tribunale con l'accusa di violenza carnale a minorenne fece precipitare la
sua felicità. La fotografia dei suoi quattro figli che ridevano davanti alla
macchina fotografica sulla spiaggia di Gay Head stava lì a rimproverado. Stilla
carta intestata della sua ditta era stampata un'incisione di Lacoonte, e
l'immagine del sacerdote e dei figli tra le spire del serpente gli sembrò
contenere qualche profondo ammonimento.
Fece colazione con Pinky Trabert. A livello di conversazione, la moralità dei
suoi amici sembrava solida ed elastica, ma lui sapeva che il castello di carta
della morale sarebbe crollato in testa a tutti loro, compresi Julia e i suoi
figli, se fosse stato sorpreso ad approfittare di una baby-sitter. Passando in
rassegna la storia recente di Shady Hill, non trovò nessun precedente. Niente
di immorale, nessun divorzio da quando lui abitava lì, nemmeno l'ombra di uno
scandalo, tutto sembrava filare più ordinatamente che nel regno dei cieli. Dopo
aver lasciato Pinky, Francis entrò in una gioielleria e acquistò un
braccialetto per la ragazza. Come lo rese felice, quell'acquisto clandestino,
come gli sembrarono impalati e comici i commessi della gioielleria, come era
dolce il profumo delle donne che gli passavano accanto! Nella Quinta Strada,
passando davanti alla statua di Atlante con le spalle chine sotto il peso del
mondo, Francis pensò allo strenuo sforzo di contenere la sua esuberanza fisica
entro i canoni che aveva scelto.
Non sapeva quando avrebbe rivisto la ragazza. Arrivando a casa aveva il braccialetto
dentro la tasca interna della giacca. Aprì la porta di casa sua e se la trovò
davanti nell'ingresso. Gli volgeva la schiena e si voltò al rumore della porta.
Il suo sorriso era aperto e colmo d'amore. La sua perfezione lo stordì come una
bella giornata dopo il temporale. La prese tra le braccia e le coprì le labbra
con le sue. Lei si dibatté, ma non dovette dibattersi a lungo perché, proprio
in quel momento, la piccola Gertrude Flannery comparve dal nulla ed esclamò:
"Oh, signor Weed..."
Gertrude era una randagia. Era nata con l'istinto dell'esplorazione, e non se
la sentiva di concentrare la sua vita nell'affetto dei suoi genitori. La gente
che non conosceva i Flannery arrivava alla conclusione, giudicando il
comportamento di Gertrude, che la piccola fosse figlia di genitori divorziati,
che nella sua famiglia fossero all’ordine del giorno le sbronze e i litigi. E
invece non era vero. I vestiti laceri e leggeri di Gertrude rappresentavano il
suo trionfo sulla vana lotta di sua madre per farla vestire come una bambina
ammodo. Sempre garrula, pelle e ossa e poco lavata, Gertrude andava da una casa
all'altra nel quartiere di Blenhollow, formando e rompendo alleanze fondate
sull'affetto per i neonati, gli animali, i ragazzini della sua età, gli
adolescenti e talvolta gli adulti. Aprendo la porta di casa al mattino,
capitava di trovare Gertrude seduta sui gradini; entrando in bagno per farsi la
barba, si trovava Gertrude seduta sul gabinetto. Guardando nella culla del
bambino, la si trovava vuota e, dopo le conseguenti ricerche, si scopriva che
Gertrude era premurosa, onnipresente, onesta, affamata e fedele. Non ritornava
mai a casa sua di propria scelta. Quando veniva il momento di andare, era
insensibile a tutte le sollecitazioni. "Va' a casa, Gertrude," si udiva
dire tutte le sere in questa o quella casa. "Vai a casa, Gertrude. E ora
che tu vada a casa, adesso" "È meglio che tu vada a casa a cenare,
Gertrude" "Ti ho detto di andare a casa venti minuti fa,
Gertrude," "Tua madre sarà preoccupata, Gertrude. " "Va' a
casa, Gertrude, va' a casa."
Ci sono delle volte in cui le rughe intorno agli occhi umani sembrano
scanalature di una pietra erosa, in cui gli occhi puntati addosso ci colpiscono
con una tale violenza animale da farci sentire perduti. Lo sguardo che Francis
lanciò alla ragazzina era cattivo e strano, e la spaventò. Francis si infilò in
una tasca la mano tremante e ne cavò fuori un quarto di dollaro. "Va' a
casa, Gertrude, vai a casa e non parlare con nessuno, Gertrude. Non..." La
voce gli uscì strozzata e corse allora in soggiorno mentre Julia gli gridava
dal piano di sopra di fare in fretta a vestirsi.
Il pensiero che avrebbe accompagnato Anne Murchison a casa in auto quella sera
scorse come un filo d'oro attraverso tutti i momenti della festa a cui andarono
Francis e Julia; e Francis si sganasciò dalle risate a tutte le battute più
cretine, si asciugò perfino una lacrima quando Mabel Mercer gli raccontò della
morte del suo gattino, e si stiracchiò, sbadigliò, sospirò e bofonchiò come
fanno tutti gli uomini quando hanno l'idea di un appuntamento per la testa.
Nella tasca aveva ancora il braccialetto. Mentre conversava seduto in poltrona,
sentiva nelle narici l'odore dell'erba, e si domandava dove avrebbe fermato la
sua auto. Nessuno abitava più nella vecchia villa dei Parker, e il vialetto
d'accesso veniva usato come rifugio dagli innamorati. Townsend Street era una
strada senza uscita, e avrebbe potuto parcheggiare lì, dopo l'ultima casa. Il
vecchio viottolo che collegava Elm Street alla riva del fiume era invaso dalle
sterpaglie, ma una volta l'aveva percorso a piedi con i bambini, e avrebbe
potuto addentrarsi con l'auto tra la vegetazione fin dove nessuno poteva
vederlo.
Francis e Julia furono gli ultimi ad andarsene quella sera, e i padroni di casa
parlarono della felicità coniugale mentre li accompagnavano nell'atrio per
augurare loro la buona notte. "È la mia bambina," disse il padrone di
casa, stringendo a sé la moglie. "E il mio cielo azzurro. Dopo sedici anni
di matrimonio, le mordo ancora le spalle. Mi fa sentire come Annibale che
valica le Alpi."
Francis e Julia ritornarono a casa in silenzio. Francis arrivò in tondo al
vialetto d'accesso e si fermò lì con il motore acceso. "Puoi mettere
l'auto in garage," gli disse Julia scendendo dall'auto. "Ho detto
alla Murchison che poteva andarsene alle undici. Qualcuno l'ha accompagnata a
casa" Poi chiuse la portiera dell'auto, e Francis rimase lì seduto nel
buio. Non poteva essergli risparmiato nulla, pensò, di quello che non viene
risparmiato agli stupidi: un furioso struggimento, un senso di gelosia che
feriva i suoi sentimenti tanto da fargli venire le lacrime agli occhi, perfino
disprezzo di sé, perché poteva vedere chiaramente l'immagine che ora
presentava: le braccia distese sopra al volante e la testa reclinata nel mezzo
per l'amore deluso.
Francis era stato boy-scout, quando era ragazzo, e ricordando i precetti della
sua gioventù lasciò presto l'ufficio il pomeriggio seguente e andò a giocare a
pelota, ma poi, con il corpo tonificato dall'esercizio fisico e da una doccia,
si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a rimanere alla sua scrivania. Era
una serata gelida quando ritornò a casa. Nell'aria si sentiva l'odore acuto del
tempo che cambiava. Quando entrò in casa avverti subito un insolito fermento. I
bambini avevano gli abiti della festa e Julia scese con un abito color lavanda
addosso e la sua spilla di diamanti. Gli spiegò il motivo di quel fermento:
alle sette doveva arrivare il signor Huber per fare la fotografia per il
cartoncino di Natale. Aveva tirato fuori anche l'abito blu di Francis e una
cravatta colorata, perché quell'anno la fotografia sarebbe stata a colori.
Julia era eccitata al pensiero della fotografia di Natale, era il tipo di
cerimonia che lei prediligeva.
Francis andò a cambiarsi d'abito. Era stanco per la giornata di lavoro e stanco
per il desiderio che lo struggeva, e quando si sedette sul bordo del letto ebbe
la sensazione di essere ancora più stanco. Pensò ad Anne Murchinson e fu
sopraffatto dal bisogno fisico di esprimere se stesso, per nulla trattenuto
dalle lampade rosate della toilette di Julia. Andò allora alla scrivania di
Julia, prese un pezzo di carta e cominciò a scrivere: "Cara Anne, io ti
amo, ti amo, ti amo..."
Nessuno avrebbe visto quella lettera, e non si pose nessun limite. Usò
espressioni come "beatitudine celestiale" e "nido d'amore."
Si inumidiva le labbra, sospirava, tremava. Quando Julia lo chiamò per farlo
scendere, l'abisso tra la sua fantasia e il mondo reale era così profondo che
Francis ebbe la sensazione di un crampo al muscolo cardiaco.
Julia e i ragazzi erano sulla veranda, e il fotografo aveva installato con il
suo aiutante una doppia batteria di fari per illuminare la famiglia sullo
sfondo architettonico dell'ingresso della loro casa. Quelli che erano ritornati
a casa con gli ultimi treni, rallentavano in auto per vedere la famiglia Weed
che veniva fotografata per il cartoncino di auguri. Alcuni salutavano con la
mano e li chiamavano. Ci volle mezz'ora di sorrisi e di umettamenti di labbra
prima che il signor Hubber fosse soddisfatto. Il calore dei riflettori esalava
un odore stantio nell'aria gelida, e quando furono spenti il loro riverbero
rimase a lungo nella retina degli occhi di Francis.
Più tardi, mentre Francis e Julia stavano bevendo il caffè in soggiorno,
squillò il campanello. Julia andò alla porta e fece entrare Clayton Thomas, che
era venuto per rimborsare alcuni biglietti di teatro che Julia aveva acquistato
per sua madre un po' di tempo prima, e che Helen Thomas insisteva per pagare, benché
Julia le avesse chiesto di lasciar perdere. Julia lo invitò a bere una tazza di
caffè. "No, non bevo caffè," rispose Clayton, "ma entrerò per un
attimo." La seguì in soggiorno, augurò la buona sera a Francis e si mise a
sedere imbarazzato su una sedia.
Il padre di Clayton era stato ucciso in guerra, e la condizione di orfano
gravava sul ragazzo quasi fisicamente. Ed era una situazione anomala, a Shady
Hill, perché la famiglia Thomas era l'unica priva di un componente, tutte le
altre coppie sposate erano integre e prolifiche. Clayton frequentava il secondo
o terzo anno di università e abitava da solo con sua madre in una grande casa
che la signora Thomas sperava di vendere. Clayton si era messo una volta nei
guai, anni prima, quando aveva rubato dei soldi e poi era fuggito, arrivando
fino in California prima di essere acciuffato. Era un ragazzo alto, dall'aria
semplice, portava occhiali cerchiati di corno e aveva una voce profonda.
"Quando torni all'università, Clayton?", domandò Francis.
"Non tornerò," rispose Clayton. "Mia madre non ha abbastanza
soldi, e tutte queste pretese non hanno senso. Mi troverò un lavoro e, se
vendiamo la casa, prenderemo un appartamento a New York." "Non
sentirai la mancanza di Shady Hill?", domandò Julia. "No,"
rispose Clayton. "Non mi piace Shady Hill."
"Come mai?", domandò ancora Francis.
"Be', ci sono molte cose, qui, che non mi piacciono," rispose Clayton
in tono grave. "Cose come le sale da ballo. Sabato scorso ho dato
un'occhiata dentro, verso la fine, e ho visto il signor Granner che tentava di
mettere la signora Minot dentro la bacheca dei trofei. Erano ubriachi tutti e
due, e io disapprovo il bere eccessivo."
"Era un sabato sera," osservò Francis.
"E tutti i gatti sono grigi," soggiunse Clayton. "E poi la gente
di qui, guardate come riempie la loro esistenza. Ci ho pensato molto, e a me
sembra che la vera magagna di Shady Hill è che non ha un futuro. Vengono spese
tante energie per conservare questo posto, tenendo lontane le persone
indesiderabili e così via, che l'unica idea del futuro che ciascuno ha si
limita a una successione ininterrotta di treni pendolari e di ricevimenti.
Penso che non sia salutare. Penso che la gente dovrebbe essere capace di fare
grandi sogni per il suo futuro. Sì, penso che la gente dovrebbe essere capace
di sognare in grande."
"È un peccato che tu non possa continuare l'università," interloquì
Julia.
"Volevo frequentare la Scuola Teologica," rispose Clayton. "Qual
è la tua chiesa?", domandò Francis.
"La chiesa unitariana, teosofica, trascendentalista, umanista,"
rispose Clayton.
"Non era trascendentalista anche Emerson?"
"Io mi riferisco ai trascendentalisti inglesi," precisò Clayton.
"Tutti i trascendentalisti americani sono palloni gonfiati."
"Che tipo di lavoro pensi di fare?", domandò ancora Francis.
"Be' mi piacerebbe lavorare in una casa editrice," rispose Clayton,
"ma tutti mi dicono che non c'è niente da fare. Però è il tipo di lavoro
che mi interessa. Sto scrivendo una lunga opera in versi sul bene e il male.
Zio Charlie potrebbe trovarmi un posto in banca, e anche questo mi andrebbe
bene. Ho bisogno di disciplina, io, ho ancora molto da fare per formare il mio
carattere. Ho delle abitudini davvero tremende. Parlo troppo, penso che dovrei
fare voto di silenzio. Dovrei sforzarmi di non parlare per una settimana e di
impormi una disciplina. Avevo pensato di fare un ritiro spirituale in uno di
quei conventi della chiesa episcopale, ma non piace il trinitarismo."
"Non hai una ragazza?", domandò Francis.
"Sono fidanzato e penso di sposarmi," rispose Clayton. "Certo,
non sono abbastanza vecchio né ricco per poter essere fidanzato con tutte le
regole, però ho acquistato un anello con un finto smeraldo per Anne Murchison,
con i soldi che ho guadagnato falciando i prati quest'estate. Ci sposeremo non
appena lei avrà finito la scuola."
Francis trasalì al nome della ragazza. Poi una luce annebbiata sembrò emanare
dal suo spirito, per mostragli tutto ciò che aveva intorno — Julia, quel
ragazzo, le poltrone del soggiorno — nella loro reale mancanza di colore. Era
come quando il tempo cambia bruscamente.
"Avremo una famiglia numerosa," proseguì Clayton. "Suo padre è
un ubriacone tremendo, e anch'io ho avuto i miei momenti difficili. Vogliamo
avere molti bambini. Ah, è una ragazza meravigliosa, signori Weed, e abbiamo
tante cose in comune. Ci piacciono le stesse cose, tanto che il Natale scorso
abbiamo spedito lo stesso cartoncino d'auguri senza metterci d'accordo. E siamo
tutti e due allergici ai pomodori, e abbiamo tutti e due le sopracciglia che
crescono nel mezzo. Be', buona notte."
Julia lo accompagnò alla porta. Quando ritornò, Francis le disse che Clayton
era un ragazzo pigro, irresponsabile, viziato e maleodorante. Julia replicò che
Francis le sembrava sempre più intollerante, e che in fondo il giovane Thomas
non era che un ragazzo e si doveva lasciargli tempo. Già in altri casi Julia
aveva notato queste reazioni di insofferenza da parte di Francis. "La
signora Wrightson ha invitato tutta la gente di Shady Hill, tranne noi, alla
festa per il suo anniversario," gli fece presente.
"Mi dispiace, Julia."
"E sai perché non ci ha invitati?"
"No, perché?"
"Perché tu hai insultato la signora Wrightson."
"Allora lo sai!"
"Me l'ha detto June Masterson. Stava proprio dietro di te."
Julia camminava davanti al divano con un passetto svelto che, Francis lo sapeva
bene, rivelava la sua collera.
"Sì, ho insultato la signora Wrightson, Julia, e l'ho fatto di proposito.
Non mi sono mai piaciute le sue feste, e mi fa piacere che non ci abbia
invitati."
"E a Helen non hai pensato?"
"Che cosa centra Helen in questa storia?"
"È la signora Wrightson che decide chi partecipa e chi no alle feste da
ballo."
"Vuoi dire che può impedire a Helen di andare al ballo?"
"Proprio così."
"Non ci avevo pensato."
"Oh, lo sapevo che non ci avevi pensato," gridò Julia, lanciandosi
lancia in resta contro quella breccia nella sua corazza. "E mi fa
infuriare che questa tua stupida mancanza di riguardo rovini la felicità di
tutti."
"Non pensavo di rovinare la felicità di nessuno."
"E la signora Wrightson che decide, a Shady Hill, è sempre stata lei a
decidere negli ultimi quarant'anni. E non capisco proprio che cosa ti faccia
pensare che in una comunità come questa tu possa lasciarti andare a qualsiasi
impulso e permetterti di essere villano, volgare e offensivo."
"Io sono una persona molto educata," obiettò Francis, sperando di
dare una sterzata al corso della serata.
"Maledizione a te, Francis Weed!", gridò ancora Julia, e il sibilo
delle sue parole lo colpì in faccia come uno schiaffo. "Mi sono data da
fare per conquistare la posizione sociale che abbiamo in questo posto, e non
intendo assolutamente stare qui a vedere che me la rovini. Avresti dovuto
saperlo, quando sei venuto ad abitare qui, che non potevi viverci come un
cavernicolo."
"A me piace esprimere le mie simpatie e antipatie."
"Le puoi tenere per te, le tue antipatie. Non devi buttarti sempre a
capofitto come un bambino. A meno che tu non voglia diventare un appestato. Non
è un caso che siamo invitati a cena così spesso, e non è un caso che Helen
abbia tante amicizie! Ti piacerebbe passare tutti i sabati sera al cinema? Ti
piacerebbe passare la domenica rastrellando foglie morte in giardino? Ti
piacerebbe se le sere delle feste da ballo tua figlia le trascorresse davanti
alla finestra di camera sua ad ascoltare la musica della festa? E ti piacerebbe
che..." Francis compì allora un gesto che, dopo tutto, non era così
inesplicabile, dato che le parole di Julia stavano alzando tra loro un muro
insonorizzante che lo imbavagliava. Le diede uno schiaffo, e lei barcollò ma un
attimo dopo riprese il controllo di sé. Salì in camera sua e chiuse la porta
senza sbatterla. Quando Francis la seguì, qualche minuto dopo, la trovò intenta
a riempire una valigia.
"Julia, mi spiace davvero"
"Non ha importanza," rispose lei. Stava piangendo.
"Dove pensi di andare?"
"Non lo so. Ho appena guardato l'orario e c'è un treno alle undici e
sedici per New York. Prenderò quello."
"Non puoi andartene, Julia."
"Non posso nemmeno restare, questo lo so"
"Mi dispiace per la signora Wrightson, Julia, e...
"Non centra la signora Wrightson, non è questo il problema."
"Qual è il problema?"
"II problema è che tu non mi ami."
"Ma io ti amo, Julia."
"No, non mi ami."
"Julia, io ti amo davvero, e vorrei che fossimo come una volta, dolci,
osceni, ingenui, ma ora ci sono tante persone intorno..."
"Tu mi detesti."
"No, non è vero, Julia."
"Non hai nemmeno idea di quanto mi detesti. Penso che il tuo sia un odio
inconscio. Non ti rendi nemmeno conto delle crudeltà che hai commesso."
"Di quali crudeltà parli. Julia?"
"Le crudeltà che il tuo subconscio ti spinge a commettere per manifestare
il tuo odio per me."
"Ma che cosa dici, Julia?"
"Non mi sono mai lamentata, io."
"Dimmi che cosa."
"Non ti rendi conto di quello che fai."
"Dimmi che cosa."
"I tuoi vestiti, per esempio."
"Cosa vuoi dire?"
"Intendo dire che lasci in giro i tuoi vestiti sporchi per esprimere
l'odio inconscio che hai per me."
"Non capisco."
"Sto parlando dei tuoi calzini sporchi e dei tuoi pigiami sporchi e della
tua biancheria sporca e delle tue camicie sporche!" Julia, inginocchiata
accanto alla valigia si alzò in piedi con gli occhi fiammeggianti e la voce
tremante di eccitazione. "Sto parlando del fatto che non hai imparato ad
appendere un abito. Lasci tutti i tuoi vestiti per terra, così come capita, per
umiliarmi. Lo fai di proposito!" Poi si lasciò cadere sul letto
singhiozzando.
"Julia, tesoro..."; fece lui, ma quando le posò la mano sulla spalla
lei si alzò.
"Lasciami stare," lo scostò passandogli accanto per andare al
guardaroba, da dove tornò con un vestito. "Non porterò via niente di
quello che mi hai dato," gli disse. "Lascio qui le perle e la giacca
di visone."
"Oh, Julia!" La figura di Julia, così patetica nel suo autoinganno,
china sopra la valigia, lo faceva quasi stare male per la compassione. Julia
non si rendeva conto di come sarebbe stata desolata la sua esistenza senza di
lui. Non si rendeva conto quante erano le ore di lavoro di una donna
lavoratrice. Non si rendeva conto che quasi tutte le sue amicizie esistevano
dentro alla struttura del loro matrimonio, e che, senza di questo, si sarebbe
trovata sola. Non si rendeva conto dei viaggi, degli alberghi, dei soldi da
spendere. "Julia, non posso lasciarti andare! Quello che non capisci,
Julia, è che ormai ti trovi a dipendere da me!"
Lei rovesciò indietro la testa e si coprì la faccia con le mani. "Hai
detto che io dipendo da te?", domandò. "È questo che hai detto? E chi
è che ti sveglia al mattino e ti dice di andare a letto alla sera? Chi ti
prepara da mangiare e raccoglie i tuoi indumenti sporchi e invita a cena i tuoi
amici? Se non fosse per me, le tue cravatte sarebbero unte di grasso e i tuoi
abiti sarebbero mangiati dalle tarme. Eri solo come un cane quando ti ho
conosciuto, Francis Weed, e sarai ancora solo quando me ne sarò andata. Quando
mia madre ti ha chiesto di fare l'elenco degli inviti per il nostro matrimonio,
quanti nomi le hai indicato? Quattordici!"
"Cleveland non era la mia città, Julia."
"E quanti ne sono venuti in chiesa, dei tuoi amici? Due!"
"Cleveland non era la mia città, Julia."
"Visto che non porterò via la giacca di visone," riprese lei con voce
pacata, "faresti meglio a rimetterla in deposito. C'è una polizza
d'assicurazione sulle perle che scade in gennaio. L'indirizzo della lavanderia
e il numero di telefono della donna di servizio, tutte queste cose sono nella
mia scrivania. Spero che tu non beva troppo, Francis. Spero che non ti succeda
niente di grave. Se ti trovi in guai seri, puoi telefonarmi."
"Oh, tesoro mio, non posso lasciarti andare via, Julia!", ripeté
prendendola tra le braccia.
"Penso che farò meglio a restare e a prendermi cura di te ancora per un
po'," disse Julia.
Mentre andava al lavoro, il mattino dopo, Francis vide la ragazza che
percorreva il corridoio della carrozza. Ne fu sorpreso, non aveva pensato che
la sua scuola fosse in città, eppure la ragazza aveva con sé i libri, e
sembrava diretta a scuola. La sorpresa ritardò la sua reazione, ma poi si alzò
frettolosamente e la inseguì nel corridoio. Parecchie persone si erano
interposte tra loro, ma Francis poteva vederla davanti a sé, in attesa che
qualcuno aprisse la porta della carrozza, poi quando il treno abbordò una curva
si sorresse con una mano mentre entrava nella carrozza successiva. Lui la seguì
lungo quel vagone e fino a metà di quello successivo, prima di gridare il suo
nome: "Anne! Anne!", ma lei non si voltò. La seguì in un'altra
carrozza, dove lei finalmente si sedette nel corridoio. Avvicinatosi, con i
sensi eccitati e tutti tesi verso lei, Francis posò la mano sullo schienale del
suo sedile, emozionandosi a questo solo contatto, ma quando si chinò per
parlarle vide che non era Anne. Era una donna più anziana con gli occhiali.
Allora proseguì con passo fermo verso un'altra carrozza, rosso in viso per l'imbarazzo,
ma ancor più per l'abbaglio che aveva preso, perché se non sapeva distinguere
una persona dall'altra, quale prova esisteva che la sua vita con Julia e i
bambini non fosse altrettanto irreale dei suoi sogni immorali di Parigi, o
della spazzatura, dell'odore di erba o degli alberi cavi di Lovers' Lane?
Quel pomeriggio, Julia gli telefonò per ricordargli che erano invitati a cena.
Qualche minuto dopo gli telefonò Trace Bearden. "Senti, amico," gli
disse Trace. "Ti telefono per la signora Thomas, la conosci? Suo figlio
Clayton, a quanto pare, non riesce a trovare un lavoro, e mi domandavo se non
potresti aiutarlo. Se tu telefonassi a Charlie Bell, e so che ti è in debito di
un favore, e dicessi una buona parola per quel ragazzo, penso che Charlie..."
"Trace, mi dispiace moltissimo dovertelo dire," lo interruppe
Francis, "ma credo di non poter fare niente per quel ragazzo. È un ragazzo
che non vale niente. Mi rendo conto che sono parole dure, ma è così. Qualsiasi
favore gli si faccia si ritorcerebbe contro chi l'ha fatto. È semplicemente un
ragazzo che non vale niente, Trace, e non c'è niente che si possa fare per lui.
Anche se gli trovassimo un lavoro, non sarebbe capace di conservarlo per una
settimana. So che la verità è questa. Si, è molto spiacevole dirlo, Trace, e me
ne rendo conto, ma invece di raccomandare quel ragazzo, mi sentirei in dovere
di mettere in guardia la gente... la gente che ha conosciuto suo padre e che
magari vorrebbe naturalmente fare qualcosa per lui. Mi sento in dovere di metterla
in guardia. È un ladro..."
Nel momento in cui terminò questa conversazione, la signorina Rainey entrò e
rimase in piedi davanti alla sua scrivania. "Non posso più lavorare per
lei, signor Weed," gli disse. "Posso rimanere fino al diciassette, se
lei ha bisogno di me, ma mi è stato offerto un lavoro fantastico, e vorrei
andarmene non appena possibile."
Poi uscì, lasciandolo solo a meditare sulla perfidia dell'azione che aveva
commesso a danno del giovane Thomas. Nella fotografia, i suoi figli
continuavano a ridere, splendenti nei vividi colori dell'estate, e Francis
ricordò che quel giorno avevano incontrato un suonatore di cornamusa sulla
spiaggia e lui gli aveva dato un dollaro per fargli suonare un inno di guerra
della Guardia Nera. Avrebbe trovato la ragazza a casa, al suo ritorno. Avrebbe
trascorso un'altra serata con i suoi cortesi vicini di casa passando in
rassegna mentalmente strade cieche, sentieri sterrati e vialetti d'accesso a
case abbandonate. Nulla poteva mitigare questa sua sensazione, niente che le
risate o una partita a palla con i suoi figli potevano modificare, e ripensando
all'incidente aereo, alla nuova domestica dei Farquarson, e ai problemi di Anne
Murchison con il padre alcolizzato, Francis si domandò come avrebbe potuto
evitare di arrivare al punto in cui era. Sì, era nei guai. Una volta, in vita
sua, si era smarrito, di ritorno da una pesca alla trota nei boschi del nord, e
ora aveva la stessa sensazione deprimente che nessuno sforzo d'allegria o di
speranza, di coraggio o di perseveranza poteva aiutarlo a trovare, nel buio che
si addensava, il sentiero che aveva smarrito. Sentì l'odore della foresta. Quel
senso di desolazione era insopportabile, e vide chiaramente che era arrivato al
punto in cui avrebbe dovuto fare una scelta.
Poteva rivolgersi a uno psichiatra, come la signorina Rainey, poteva andare in
chiesa e confessare i suoi peccati di lussuria, poteva salire nel salotto di
una massaggiatrice danese che gli era stata raccomandata da un commesso
viaggiatore, poteva violentare la ragazza o sperare che in qualche modo gli
fosse impedito di farlo, o ancora poteva ubriacarsi. Era la sua vita, la sua
barca, e al pari di ogni uomo, anche lui era fatto per essere il padre di
migliaia di uomini, ma che male c'era in un convegno d'amore che avrebbe fatto
sentire ambedue più bendisposti nei confronti del mondo? Era una pericolosa
successione di pensieri, e tornò allora il primo, quello dello psichiatra.
Conosceva il numero di telefono del medico della signorina Rainey, gli telefonò
e chiese un appuntamento immediato. Insistette con la segretaria – come faceva
solitamente quando trattava gli affari – e quando questa gli disse che l'agenda
del dottore era completa per le prossime due settimane, Francis le chiese un
appuntamento per lo stesso giorno; gli fu allora detto di andare alle cinque.
Lo studio dello psichiatra si trovava in un edificio occupato quasi interamente
da medici e dentisti, e nei corridoi aleggiava l'odore dolciastro dei
colluttori insieme con memorie di sofferenze. Il carattere di Francis si era
formato con una serie di decisioni che aveva preso da solo, decisioni che
riguardavano la pulizia personale, un tuffo dal trampolino più alto o altre
imprese che mettevano alla prova il suo coraggio, che riguardavano la
puntualità, l'onestà e la virtù. La rinuncia a quella perfetta solitudine in
cui aveva preso le sue decisioni più importanti scuoteva il suo concetto di
carattere e lo lasciava in una situazione che per lui era traumatica. Era come
inebetito. La scena in cui doveva recitare il suo miserere era, al pari di
tanti altri studi medici, un rozzo simulacro della serenità del focolare
domestico: un ambiente arredato con mobili antichi, tavolini bassi, vasi di
piante, e incisioni di paesaggi innevati e di anatre in volo, anche se non
c'erano bambini, né letti matrimoniali, né cucine a gas, in questa simulazione
di casa in cui nessuno aveva trascorso mai la notte, in cui le finestre
nascoste da tende guardavano in un cupo sfiatatoio d'aerazione. Francis diede
il suo nome e indirizzo alla segretaria, e vide allora, in un angolo della
stanza, un poliziotto che si muoveva verso di lui. "Fermo!", gli
intimò il poliziotto. "Non si muova, tenga le mani dove sono!"
"Penso che non ci siano problemi, agente," disse allora la
segretaria. "Credo che sia tutto..."
"Lasci prima che me ne assicuri," replicò il poliziotto, e cominciò a
tastare gli abiti di Francis, in cerca di qualcosa, pistole, coltelli o magari
uno scalpello da ghiaccio? Non avendo trovato niente, se ne andò, e allora la
segretaria cominciò nervosamente a giustificarsi. "Quando lei ha
telefonato, signor Weed, mi è sembrato molto eccitato e, siccome uno dei
pazienti del dottore ha minacciato di ucciderlo, dobbiamo essere prudenti.
Vuole accomodarsi, adesso?" Francis spinse una porta collegata a un
campanello elettrico, e si sedette pesantemente nello studiolo dello
psicanalista, si soffiò il naso con un fazzoletto, cercò in tasca le sigarette
e i fiammiferi, o qualcosa d'altro, poi disse con voce rauca e le lacrime agli
occhi: "Sono innamorato, dottor Herzog."
E trascorsa una settimana o dieci giorni a Shady Hill. II treno delle sette e
quattordici è arrivato e ripartito, in alcune case la cena è terminata e i
piatti sono nella lavastoviglie. Il quartiere residenziale e appeso a un filo,
moralmente ed economicamente, ma a questo filo è appeso nella luce della sera.
Donald Goslin ha ricominciato a tormentare la Sonata al Chiaro di Luna.
"Marcato ma sempre pianissimo!" Sembra che stia torcendo un
asciugamano zuppo d'acqua, ma la sua cameriera non gli presta attenzione,
perché sta scrivendo una lettera ad Arthur Godfrey. Nella cantina di casa sua,
Francis Weed sta costruendo un tavolino. Il dottor Herzog gli ha raccomandato
il lavoro di falegnameria come terapia, e Francis trova realmente conforto nei
semplici calcoli aritmetici che il lavoro comporta e nel sacro odore del legno
fresco. Francis è felice. Al piano di sopra, il piccolo Toby sta piangendo
perché è stanco. Si toglie il cappello da cow-boy, i guanti e la giacca
frangiata, slaccia il cinturone ornato da borchie d'oro e di rubini, con i
proiettili d'argento e le fondine, si sfila le bretelle, la camicia a scacchi e
i blue-jeans, e si siede sul bordo del letto per togliersi gli stivali. Poi,
lasciando sparsi per terra questi indumenti, va all'armadio e stacca
dall'attaccapanni la sua tuta spaziale. Si sforza faticosamente di infilarsi
nella calzamaglia, e ci riesce. Si allaccia il casco sopra alle spalle e,
salito sulla spalliera del letto, distende le braccia e si tuffa sul pavimento
poco sotto, atterrando con un tonfo sordo che tutti possono udire in casa,
tranne lui.
"Vai a casa, Gertrude, vai a casa," sta dicendo la signora Masterson.
"Ti ho detto di andare a casa un'ora fa, Gertrude. È passata l'ora di
cena, e tua madre sarà preoccupata. Va' a casa!" Si spalanca d'improvviso
una porta sul terrazzo dei Babcock, e ne esce la signora Babcock senza vestiti,
inseguita dal marito, anch'egli nudo. I loro figli sono in collegio, in quel
momento, e la loro terrazza è cintata da una siepe. Corrono attraverso la
terrazza ed entrano per la porta della cucina, appassionati e avvenenti come
una ninfa e un satiro, quelli che si vedono affrescati su tutti i muri di
Venezia. Mentre recide le ultime rose del suo giardino, Julia sente il vecchio
signor Nixon che impreca contro gli scoiattoli entrati nella mangiatoia per gli
uccelli. "Vandali! Predoni! Toglietevi dalla mia vista!" Infelice, un
gatto si aggira per il giardino, sprofondato in una depressione fisica e
spirituale. Ha legato alla testa un cappellino di paglia, forse il cappello di
una bambola, e ha abbottonato addosso un abito da bambola, in fondo al quale
spunta la sua lunga coda pelosa. Cammina strofinando i piedi, come se fosse
caduto in acqua.
"Ehi, micio, micino!", lo chiama Julia.
"Vieni qui, micio!" Ma il gatto le rivolge un'occhiata diffidente e
si allontana incespicando nel suo vestito da bambola. L'ultimo ad arrivare è
Jupiter, che irrompe tra le piante di pomodoro, stringendo tra le fauci
generose i brandelli di una ciabatta. Poi cala l'oscurità, è una notte in cui i
re in abiti dorati cavalcano elefanti sopra le montagne.
(Tratto
dalla raccolta Ballata, Fandango libri, Roma, 2000, Traduzione di
Marco Papi)