IL NATALE DICEVA PABLO...
Giorgio Caproni
Cadeva di quando in
quando una zolla di neve dagli alberi (forse un superstite riccio di castagna,
appesantito dalla neve), e mentre quel soffice e leggero tonfo rendeva ancor
più augusto, sotto una luna fredda come una moneta d'argento, il silenzio della
notte, Pablo, in quella lontana notte del '43 (o del '44: è difficile, ahimé,
ricordare con esattezza quegli anni), Pablo era l'unico ad aver voglia di
parlare.
– Di tutte le feste dell'anno – diceva, il Natale è...
Senonché nessuno stava ad ascoltare le sue parole. Stavano tutti e quattro a
sentire quei morbidi tonfi (ogni zolla cadeva, come una molle eco, in
corrispondenza d'un lontano ovattato boato di mortaio), e se tutti e quattro
avevano piacere che Pablo continuasse a parlare, era soltanto per veder la
nuvola di vapore che, nell'albore lunare, usciva dalla sua bocca: era soltanto
per vedere (giacché non lo potevano sentire, mentre le loro dita gelavano
reggendo lo "sten") un poco d'umano tepore.
– Il Natale, – diceva...
Ma il Natale non era sotto quegli alberi vetrificati di gelo e di luna. Non era
nemmeno giù a valle, dove una Trebbia ridotta in enormi lastroni di ghiaccio,
color bottiglia sotto la luna, non scorreva più accanto al paese che teneva
spenti tutti i suoi lumi, e nemmeno era in città: non era più in nessuna parte
della terra, forse, o almeno non era più in nessuna parte della terra dov'erano
entrati «loro», quelli che allora si chiamavano i tedeschi, anche se non era
giusto chiamarli così, non essendo vero che tutti i tedeschi fossero «loro».
I mortai battevano remoti e velati (erano «loro» che stavano ritirandosi, e
seminando a caso la morte), e quasi ad ogni colpo, forse mentre qualcuno (un
bambino, una ragazza, una madre) moriva per via di quel colpo sotto le macerie
di un muro, di nuovo una zolla di neve si staccava dagli alberi, e cadeva
soffice proprio mentre Pablo continuava a parlare, e qualcuno moriva.
– Il Natale, – diceva Pablo...
Sotto, a fondo valle, brillava di ghiaccio e di luna il paese, con tutti i suoi
lumi spenti, e se ne vedeva, velato anch'esso di ghiaccio e di luna, il
campanile. Ma mentre le campane tacevano, e nemmeno un lume era acceso, Pablo
perché continuava a parlare (in quella notte fra il 24 e il 25 dicembre) del
Natale che ormai non esisteva più nemmeno lì, a pochi chilometri, nel paese?
– Il Natale, – diceva Pablo...
Ma ora Athos non lo ascoltava più: non guardava più, nemmeno, la nuvola di
vapore tepido che usciva dalla sua bocca, e s'era messo a pensare al viso di
Lumarzo, al viso di Pantera, di Sardegna, che la sera prima, con quei nomi
finti (nemmeno i nomi potevano più essere veri), avevano visto morti proprio lì
giù, in paese, con sotto gli occhi lividi dei calcagni di «loro» (di quelli che
allora si chiamavano «i tedeschi»), i quali dopo averli uccisi avevano spaccato
le ossa di quei visi montandoci sopra coi loro calcagni ferrati.
– Il Natale, – diceva Pablo...
Ma il Natale, pensava ora Athos, che altro mai era il Natale, se non il nome
vero di quei compagni morti, e morti proprio anche perché il loro nome, appunto
come il Natale, ridiventasse vero sulla terra?
Continuavano a cadere soffici, le zolle di neve agli echi remoti dei mortai, e
chi può più ricordare, ora, se quella era una notte del '43, o del '44? Era una
notte, questo è certo: una notte dell'anno e dell'uomo.
Tratto da
La voce della resistenza, a cura del Comitato nazionale dell’Ampi –
Roma, 1981)