LE PAROLE
Cesare Pavese
Tra compagni si è
parlato di te e di quel che scrivi – mi disse l’altro giorno Masino per strada.
– Quando ci spieghi cos’è un libro e come leggerlo, tu subito metti avanti le
parole. A sentirti un libro sono tutte parole. Possibile?
– Pensaci un momento.
Masino ha di bello che capisce un’occhiata. Mi guardò e disse:
– Già. Ma le parole vogliono dire qualcosa.
– Figurati! Ed è proprio per questo che bisogna stare attenti a quelle che si
scelgono. Secondo che uno scrittore adopera certe parole o certe altre, tu
capisci chi è. Prendi i compagni della guerra di Spagna: chi li chiamava rossi,
chi lealisti, chi comunisti e sovversivi, chi patrioti. Ognuna di queste parole
ti chiariva con chi parlavi, e veniva a significare una cosa diversa. Nelle
parole che tu adoperi c’è la tua classe e il tuo lavoro, quello che sai, quello
che mangi, le persone che frequenti. C’è tutto nelle parole.
– Ma in un libro c’è anche una storia di personaggi. Noi si diceva che dovresti
parlarci di questo. Un operaio come me, se legge un libro, difficilmente sa
dire la sua. Le parole le capisco. Ma succedono cose nei libri, che non sempre
mi convincono.
– Se non vanno le cose, non vanno neanche le parole, credi a me.
– Ma ci sono dei libri che sembrano ben scritti, e poi sotto ti accorgi che
l’autore è d’accordo con quelli che ammazzano il popolo. Mica ha il coraggio di
dirlo, ma ti pianta su una storia dove tutti di te se ne infischiano. Ti
presenta un ambiente che non si sa di dove vengono le cene che mangiano né quel
che consumano. Mai che si dica che senza la classe operaia questa non avrebbe
neanche il bagno. Mai che si sappia che il mondo non finisce con loro.
– Lo vedi che capisci anche tu? Sta’ tranquillo che quel che manca in questi
libri la gente come noi lo sente al volo. È come al prossimo: parli un poco e
ti accorgi se una persona è dalla tua. Ci sarà chi è più serio e chi ama
scherzare, ma quando ci dice come si immagina il mondo senti subito se è un
poveretto. E un libro è sempre la descrizione di come uno s’immagina il mondo.
Quest’idea stupì Masino, che non ci aveva ancora pensato. Vidi che strizzò
l’occhio come si fa quando si gode una cosa.
– Però non devi credere che basti scrivere del popolo e raccontare come vive –
dissi a Masino. – Molti ne fanno una speculazione. Ormai ciascuno crede di
sapere chi è il popolo e, con tanti libri che ci sono scritti sul popolo, non è
difficile imitarli e parlare come loro. Ma è qui che saltan fuori le parole.
mentre l’intreccio e i personaggi di un romanzo può copiarli chiunque e anche
aggiungerci, c’è un tono delle parole e del discorso che ti tradisce per quello
che sei. Poi raccontarle come tue le storielle di tutti, ma la voce che adoperi
è sempre la stessa. E la voce di chi scrive è lo stile, le parole che sceglie.
– Ma tu capisci dalla voce chi è sincero?
– Qui ti voglio, Masino. Qui serve la pratica e averci studiato. Molti credono
che perché, bene o male, tutti sanno parlare, tutti possano dare un giudizio su
quello che è scritto. Ma ci sono dei libri che, se tu non sai leggerli, se non
sai le parole, non puoi dire nemmeno quel che valgono dentro.
– Sono libri per noi?
– Sono libri per chi li vuol leggere. Mi sai dire per chi è fatto un libro? Sta
lontano dai libri che son fatti per questo per quello. Anche se un libro è
scritto in cinese, l’hanno fatto per te. Si tratta sempre di imparare le parole
di un altro uomo. Tutti i libri che valgono sono scritti in cinese, e non
sempre c’è chi li traduce. Viene il momento che sei solo davanti alla pagina,
com’era solo scrittore che l’ha scritta. Se hai avuto pazienza, se non hai
preteso che l’autore ti trattasse come un bambino o un minorato, ecco che
incontri un altr’uomo e ti senti più uomo, anche tu. Ma ci vuole fatica,
Masino, ci vuole buona volontà. E molta pazienza.
Adesso mi ascoltava testa bassa e compunto.
– Non credere a chi dice che le parole non contano. Anche l’intreccio e i
personaggi sono parole. Qualche volta in un libro i personaggi sono gli alberi,
le case, le montagne. E che cosa vuol dire? Vuol dire che quello che conta è
quel che questi personaggi sono diventati nel racconto, quel che hanno in
comune, cioè la parola. Una pianta o una donna in un libro non sono legno né
carne, sono le parole che te le mettono davanti.
Masino mi ascoltava e disse a un tratto:
– Ma dietro un libro c’è una realtà. C’è una lotta di classe. Ci sono
ideologie.
– Chi lo nega, Masino? Ma tutto nel libro diventa parole. E ti spiego che devi
impararle, nient’altro. Quel che vale sarà la giustezza, la finezza, la
profondità di queste parole. Bisogna amarle per capirle. Ed è proprio per
questo che un mondo reazionario si tradisce subito con le parole che adopera:
tu non sai cosa sia, ma le senti ottuse, slabbrate, false. Mentre chi parla
all’uomo con fede storica trova una voce fresca e nuova. È inevitabile.
Masino non è mai contento. Dopo un poco mi fa:
– Ma com’è allora che voialtri, che capite queste cose, parlate bene anche dei
libri vecchi che hanno già esaurito il loro compito?
Parlava per farmi parlare, è evidente. Ma noi si scherza in questo modo.
– Le parole – gli dissi. – Precisamente le parole. Non importa che un compito
storico sia tutto esaurito. Quella fede nell’uomo che si è fatta parola, non
attende che un lettore per rivivere. E ha il bello che, essendo svanita la
realtà che le ha prodotte, le parole veramente danno adesso da sole tutto il
senso della freschezza che contengono. Il più antico dei libri – l’Iliade – si
può leggere come un romanzo. Certo è difficile arrivarci.
– E non c’è differenza tra lui e i moderni? – disse Masino fermandosi. – Tra
quelli che si studiano a scuola e i romanzi di Steinbeck?
– Per chi sa le parole, nessuna.
– Quest’è bella – disse Masino. – Non avrei mai creduto.
– Però Steinbeck vale meno – dissi.
4 Luglio 1946
(Tratto
dalla raccolta I grandi scrittori e l’Unità, L’Unità, vol. I, 2003, a
cura di Wladimiro Settimelli)