UN BACIO AL MONDO
Raul Montanari
L’acqua continua a
salire.
“Spingi!... Forza, forza, dannazione!...”
È inutile, l’ha capito anche lui, ormai. Non siamo riusciti ad aprirla prima,
questa maledetta porta, e adesso é molto più difficile perché l’acqua ci fa
scivolare le mani e i piedi.
Smettiamo di spingere, e ci guardiamo. La sua faccia risparmiata dagli anni,
gli occhi grigi disperati, i capelli bianchi lunghi, ancora lunghi, ancora
folti. Le riconosco tutte, queste rughe. Che strano – mi accorgo adesso che mio
padre è alto esattamente come me. L’ho raggiunto, negli anni in cui la mia vita
era tutto un rincorrere, ma non l’ho mai superato. L’acqua è a metà del mio
stomaco piatto, contratto, coperto di muscoli inservibili proprio ora che ne
avrei bisogno, ed è arrivata alla stessa altezza sul suo stomaco carnoso,
prominente, grande e pieno come tutto il corpo nudo che ora ho davanti agli
occhi. L’acqua fa spazio al corpo di mio padre, s’incurva a conca intorno alla
sua pancia, ma intanto continua a salire perché già non è più a metà dello
stomaco ma sta raggiungendo le macchie scure e allungate dei capezzoli – sì,
questo corpo che ho davanti è il metro su cui misuro i passi della morte che
viene a prendermi, perché anche i miei capezzoli più chiari, rotondi – con cui
tante mani e tante dita e tante labbra e lingue hanno giocato, e tanti sorrisi
diversi hanno spiato il mio piacere, gli occhi dalle ciglia lunghe si
illuminavano o si velavano del mio piacere che non era solo il mio – Dio, Dio,
ma perché adesso? Perché devo pensare a lei e a tutte loro adesso che l’acqua è
davvero arrivata al mio petto e al suo, e allora:
“Non ce la facciamo!”
“Proviamo ancora.”
“Non ce la facciamo, papà. Cristo, papà, stiamo morendo!”
“Spingi ancora! Spingi ancora!”
Ma sì, spingi, spingi ancora, dovevamo pensarci prima, forse prima ce l’avremmo
fatta, ma prima avevamo bisogno di qualcos’altro che non era ancora la
salvezza, prima avevamo più paura della nostra paura che della morte – e poi a
tutto bisognava pensare prima! C’è sempre un prima che ti sta alle spalle,
appena dietro le spalle che cominciano a essere bagnate proprio adesso, c’è un
prima che è come un’immensa discarica di tutto ciò che si doveva fare e non si
è fatto, una regione del rammarico, della vergogna, perché io mi vergogno di
morire così, maledizione!, non posso morire così, bisogna fermare il tempo e
riavvolgerlo all’indietro ma non mi ricordo come si fa, eppure mio padre deve
avermelo detto, chissà quando, prima di dimenticarselo anche lui... Non è
vero?, sono sicuro che me lo hai detto – scivolo sul ferro della porta e con un
sciacquio osceno mi ritrovo addosso a lui, mani e braccia si intrecciano, non è
solo acqua quella che gli bagna la faccia e – no, papà,
“No, papà, no, no, Dio santo, no.”
no, papà, perché sto piangendo anch’io e non credevo che sarei morto piangendo,
ma non credevo nemmeno che sarei morto insieme a te, così.
“Non voglio che muori. Non voglio che muori.”
neanch’io, sai?
“No, neanch’io, papà! Oh, Dio, papà!”
neanch’io voglio morire, e non voglio che tu muoia, com’è bella adesso la tua
faccia bagnata, sei tu, sei sempre stato tu quello che cercavo, ci ho messo
tanto a capirlo! L’acqua è arrivata alla gola, la tua bella gola morbida,
quella voglia scura che da piccolo mi sembrava qualcosa di speciale che tu
avevi e gli altri no, ed era vero! Adesso vedo che era vero, adesso ti guardo
come il bambino che ero allora, finalmente, sto morendo, ma almeno ora tu sei
mio, sei di nuovo mio.
“Stringimi, cazzo, stringimi, è finita!”
“No, proviamo ancora...”
allora devo urlare:
“È finita! Cazzo, papà, è finita! Stringimi!”
perché non capisci che questi sono gli ultimo istanti e l’acqua sale ancora,
non lo vuoi capire – Dio, ma cosa dico?, tu fai finta, ma certo, hai sempre
fatto finta che la morte non ci fosse, hai creato per me un mondo senza morte,
e anche questo io l’ho scordato, se no non sarei qui... Ma sì, certo che lo
sai, i tuoi occhi somigliano troppo ai miei per non essere pieni di questo
orrore, questa quiete, questa resa, anche se un ultimo fuoco vigliacco di vita,
di voglia di vivere ancora adesso mi fa urlare di nuovo:
“No! No!”
“Non gridare!”
“No, Cristo!”
e allora stringimi come fai, sì, stringimi come per uccidermi – oh, perché,
perché no, perché non mi uccidi tu? Perché non mi uccidi – che dolcezza
improvvisa in questo pensiero,
“Perché non mi uccidi? Uccidimi. Uccidimi.”
uccidimi, e io non morirò, ma tu piangi più forte, sentendomi, con l’acqua
quasi alla bocca...
Ecco, sì. Sì, la tua bocca.
Tu sei il mondo. La tua bocca, tu sei il mondo, tu sei tutto, le tue labbra
bagnate. Sì, mi stringo a te, non lotto più, senti? non scappo più, mi stringo
forte a te. Tu sei il mondo, voglio il tuo respiro. No, non parlare, non c’è
più tempo, l’acqua è già agli occhi, respirami in bocca, questo è il mio bacio
al mondo, papà, soffiami in bocca il tuo respiro, così, piano, il tuo ultimo
respiro l’hai tenuto per me – no, piano, ti prego, fai piano. Ecco, così. Ti
sfioro i denti con la lingua. Ti amo, prendi il mio, adesso. Prendilo,
prendimi, Tienimi. Non lasciarmi mai. Ti amo, prendi il mio respiro. Stringimi,
padre. Io ti amo, sono tuo, sono tuo, sono te...