APOLOGIE DELLA TORTURA
Eduardo Galeano
Non vale niente, o vale
ben poco, la confessione del torturato. Dai tempi della Santa Inquisizione si
sa che non sono credibili, o sono ben poco credibili, le informazioni e le
confessioni strappate sotto tortura, per la semplice ragione che il dolore fa
di chiunque un grande romanziere. Al contrario, il sistema del potere confessa
la sua vera identità attraverso le torture che infligge. Nelle camere del
tormento, coloro che comandano si tolgono la maschera.
Così accade in Iraq, ad esempio. Per impadronirsi dell'Iraq, nonostante gli
iracheni e contro gli iracheni, le truppe di occupazione agiscono con realismo:
predicano la democrazia e la libertà e praticano la tortura e il crimine. Chi
vuole il fine, vuole i mezzi, o forse qualcuno può credere che esista un'altra
maniera di rubare un paese?
Il resto è puro teatro: le cerimonie, le dichiarazioni, i discorsi, le promesse
e il trasferimento della sovranità, che passa dagli Stati uniti agli Stati
uniti.
Il fatto è che il potere non dice quello che dice. Per esempio: quando dice
«terrorismo in Iraq», in molti casi dovrebbe dire: «resistenza nazionale contro
l'occupazione straniera».
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Quando furono pubblicate
le foto e scoppiò lo scandalo, le alte sfere del potere politico e militare
cantarono in coro i salmi della loro auto-assoluzione:
-Sono casi isolati.
-Sono casi patologici.
-Sono delle mele marce.
-Sono dei perversi che disonorano l'uniforme.
Come sempre, l'assassino ha dato la colpa al coltello. Ma quei soldati o
poliziotti che fanno impazzire il prigioniero sparandogli scariche di
elettricità, o immergendogli la testa nella merda, o spaccandogli il culo, non
sono altro che strumenti: funzionari che si guadagnano lo stipendio facendo il
loro lavoro in orario d'ufficio. Alcuni lavorano di malavoglia e altri ci
mettono zelo, come quelle signorine entusiaste che si sono fatte fotografare
mentre umiliavano i torturati iracheni e li mostravano come trofei di caccia.
Ma tutti, apatici ed entusiasti, sono burocrati del dolore che agiscono al
servizio di una gigantesca macchina che trita carne umana. Pazzi? Perversi? Può
darsi, ma l'alibi patologico non assolve il potere imperiale che ha bisogno
della tortura per assicurare e ampliare i suoi domini, perché quel potere è
molto più pazzo ed è molto più perverso degli strumenti che utilizza. E non c'è
nulla di strano nel fatto che un potere atrocemente ingiusto utilizzi metodi
atroci per perpetuarsi.
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Non c'è nulla di strano
nemmeno nel fatto che quei metodi atroci non vengano chiamati con loro nome.
L'Europa sa che dove comanda suocera non comanda nuora. La dichiarazione
dell'Unione europea contro le torture in Iraq non ha menzionato la parola
tortura. Quella sgradevole espressione è stata sostituita dalla parola «abusi».
Bush e Blair hanno parlato di «errori». I giornalisti della Cnn e di
altri mezzi d'informazione non hanno potuto usare la parola proibita.
Anni prima, affinché i prigionieri palestinesi fossero legalmente triturati, la
Suprema corte di Israele aveva autorizzato «le pressioni fisiche moderate». I
corsi di torture che da molto tempo vengono impartiti agli ufficiali
latinoamericani nella Escuela de las Américas si chiamano «tecniche di
interrogatorio». Nel mio paese, l'Uruguay, che fu campione del mondo in materia
durante gli anni della dittatura militare, le torture si chiamavano, e si
chiamano ancora, «sanzioni illegali».
Secondo Amnesty International, la vendita di strumenti di tortura nel mondo è
un affare redditizio per diverse imprese private di Stati uniti, Germania,
Taiwan, Francia e altri paesi, ma quei prodotti industriali sono «mezzi di
autodifesa» o «materiale di controllo della delinquenza».
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Menzionarono invece la
parola tortura, a chiare lettere, gli intervistatori che interrogarono la
popolazione degli Stati uniti nell'anno 2001, poco dopo il crollo delle torri
di New York, e quasi metà della popolazione, il 45 per cento, rispose che la tortura
non gli sembrava sbagliata «se applicata ai terroristi che si rifiutano di dire
quello che sanno».
Sei anni prima, tuttavia, a nessuno sarebbe venuto in mente di torturare il
terrorista Timothy McVeigh quando si rifiutò di dare i nomi dei suoi complici.
La bomba che McVeigh mise in Oklahoma uccise 168 persone, comprese molte donne
e bambini, ma lui era bianco, non era musulmano ed era stato insignito nella
prima guerra del Golfo, dove imparò a fare marmellata di gente.
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Contro il terrorismo vale tutto. Lo ha proclamato il presidente Bush, in mille
occasioni, e lo ha ripetuto quell'eco di Blair. Entrambi continuano a brindare
per il successo delle loro crociate. Continuano a dire: «Il mondo adesso è un
luogo molto più sicuro», mentre il mondo esplode e ogni giorno la violenza
genera ancora altra violenza e ancora e ancora.
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Guantanamo è il simbolo del mondo che ci attende. Seicento sospetti, alcuni
minorenni, languono in quel campo di concentramento. Non hanno nessun diritto.
Nessuna legge li protegge. Non hanno avvocati, né processi, né condanne.
Nessuno sa niente di loro, loro non sanno niente di nessuno. Sopravvivono in
una base navale che gli Stati uniti usurparono a Cuba. Si presume che siano
terroristi. Che lo siano o no è un dettaglio privo d'importanza.
È là che il generale Ricardo Sánchez ha sperimentato trentadue metodi di
tortura, chiamati «tattiche di pressione e intimidazione», che poi ha
impiantato nelle prigioni dell'Iraq.
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Dal crollo delle torri gemelle, la tortura è diventata oggetto di numerosi
elogi. È stato messo in atto un bombardamento di opinioni giuridiche e
giornalistiche apertamente o velatamente favorevoli a questo metodo
istituzionale di violenza, sebbene mai, o quasi mai, lo chiamino col suo nome.
Queste apologie dell'infamia, che provengono dal potere, o da fonti vicine,
sostengono che la tortura è legittima per difendere la popolazione inerme di
fronte ai pericoli che la minacciano, perché ci sono mezzi di lotta di dubbia
moralità che risultano inevitabili contro gli assassini senza scrupoli che
praticano il terrorismo e lo promuovono e che non dicono mai la verità.
Ma se fosse così, chi bisognerebbe torturare? Chi sono gli uomini che hanno
mentito di più in questo XXI secolo? Chi sono coloro che, senza scrupoli, hanno
ucciso più innocenti nelle loro guerre terroriste in Afganistan e in Iraq? Chi
sono coloro che hanno contribuito di più alla moltiplicazione del terrorismo
nel mondo?
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Adesso abbondano i sorpresi e gli indignati, ma la tortura non è stata utilizzata
per errore o per caso contro la popolazione irachena. Le truppe di occupazione
l'hanno impiegata come sempre, per ordini superiori, sapendo quello che
facevano e perché lo facevano.
Perché? Non c'è alcuna prova che la tortura sia mai servita per evitare un solo
attentato terroristico. Nel caso dell'Iraq, non è servita neppure per catturare
qualcuno degli importanti fuggiaschi. Il più importante, Saddam Hussein, non è
caduto grazie alla tortura, bensì grazie al denaro che ha comprato una spia.
La tortura strappa informazioni di scarsa utilità e confessioni di improbabile
veracità, e tuttavia è efficace. Per questo è stata impiegata e continua ad
essere impiegata: ciò che è efficace è buono, secondo i valori che reggono il
mondo. La tortura è efficace per castigare eresie e umiliare dignità e
soprattutto è efficace per diffondere la paura. Lo sapevano bene i monaci della
Santa Inquisizione e lo sanno bene i capi guerrieri delle avventure
imperialiste del nostro tempo: il potere non impiega la tortura per proteggere
la popolazione, bensì per terrorizzarla.
Sarà davvero così efficace come il potere crede che sia?
(Tratto da Il Manifesto, 3 Luglio 2004. Trad. Marcella Trambaioli)