COM'ERANO BELLE LE NOSTRE BOMBE
Stefano Benni
Avevano cominciato bene, con le esplosioni pirotecniche su Baghdad. Un anno dopo, la guerra - pessima attrice - ha cambiato il copione della recita: corpi martoriati ed esposti, come nel medioevo. Ora George W. soffre di nostalgia.
Povero George, povero
Silvio, che delusione. La caduta estetica è per loro il vero orrore di questa
guerra. Avevano cominciato così bene. Con Baghdad notturna illuminata dalle
esplosioni, spot festoso e pirotecnico della superiorità militare americana. E
che dire della perfezione da videogame delle riprese aeree, coi bersagli
colpiti che si dissolvevano in una nuvoletta di fumo? E come dimenticare la
romantica immagine dei caccia che lasciavano le portaerei con un tuffo eroico, verso
i cieli della gloria? E le cifre, necessario condimento di ogni grande epica
prestazione sportiva: le tonnellate di bombe sganciate, i record di missioni,
la percentuale di bersagli colpiti.
C'era anche il momento comico. Il video di Bin Laden, il cattivo col barbone,
l'orologio made in Usa, e il mitra sul fondo di cartapesta. O Saddam in divisa
da ussaro che minacciava gli ex-amici americani. E dall'altra parte il piccolo
cowboy ubriacone che dietro a una selva di microfoni rispondeva per le rime, nell'esilarante
duetto "ce l'ho più lungo di te". E non mancava il momento didattico:
era bello vedere gli strateghi italiani, alcuni in borghese altri in divisa,
mentre giocavano coi soldatini sul plastico, e disegnavano mappe e fronti con
fanciullesco entusiasmo, spiegando ai telespettatori i segreti della strategia.
E ogni giorno tornavano sul video, come una sigla rassicurante, trailer di film
futuri, le spettacolari immagini delle Torri gemelle, con l'aereo che si
infilava come una spada, il fragoroso sbriciolarsi in polvere, viste da ogni
angolazione e inquadratura, a dimostrare come tutto ciò che è ripreso e
diffuso, non è accaduto invano, e che ogni vittima ha un posto nel meraviglioso
cast della guerra moderna.
In questo abbacinante show tecnobellico poche volte apparivano corpi, cadaveri,
bare imbandierate e celle di prigioni. Queste cose si vedono per lo più nei
film di serial-killer o in qualche vecchio documentario. La guerra del duemila
deve essere ogni giorno ben girata, con le luci giuste e soprattutto montata
con cura. Avremmo potuto continuare ad assistere, turbati ma avidi, a questa
guerra virtuale e intelligente, dove i morti sono stupide comparse. Maestranze
incaute che muoiono in infortuni sul set, civili distratti che si trovano nel
posto sbagliato, esibizionisti che sporcano col loro sangue le sale dei
briefing. Ed erano già pronti i titoli del secondo tempo: liberazione,
ricostruzione, democrazia, appalti, e rielezione. Ma qualcuno ha cambiato il
regista del film. E ora, cos'è questo disdicevole realismo? Come mai questa
caduta di stile? Chi ha sparato ai nostri ragazzi che erano già pronti per una
nuova diretta? Chi ha scritturato quei giovani arabi che festeggiano i corpi
carbonizzati, chi li manderà a morire per avere più potere? Quale sceneggiatore
di B-movie ha scritto il manuale di interrogatorio della Cia? Come mai giorno
dopo giorno tornano sullo schermo le grida d'odio, i cappucci, le torture, gli
sgozzamenti, i morti accatastati, le bare, i cadaveri fatti a pezzi? Ma non
capisci il regista di questa nuova sporca guerra che tutto ciò rischia di farla
sembrare troppo vera, troppo vecchia, insidiosa per la propaganda e lo
show-business? Perché hanno il cattivo gusto di rovinare il sacrificio di quei
grattacieli, i colori di quel bel cielo esotico, e il cartone animato coi
bunker che facevano la nuvoletta?
Non è colpa loro. È la protagonista, la guerra, che è una pessima attrice, e
non obbedisce al copione. Qualcuno si era illuso di avere cambiato le regole e
gli orrori di duemila e più anni di ferocia, inventando la new war del futuro.
Ma siamo ancora ai corpi impalati sulle mura, a spaventare il nemico. Con armi
nuove e sofisticate, ma con soldati che hanno i soliti vecchi difetti di
fabbricazione: muoiono, hanno famiglie a casa, impazziscono, hanno paura. Gli
eserciti di cyborg non sono ancora pronti, o forse non sono ancora un affare.
La macchina militar-economica della televisione ingoia tutto questo con sdegno
pilotato e finto orrore. Gli spettatore, per fortuna, no. Qualcuno aveva già
capito, qualcuno se ne rende conto ora.
Diceva un antico greco: le guerre sono diverse tra loro ma soprattutto diverse
da come le vorrebbero i generali. E questa guerra respinge ogni giorno la
menzogna di chi la vuole definire utile, necessaria, pulita. E più è orrenda e
inutile, più appare disprezzabile chi vuole continuarla, chi non cerca
spiragli, chi simula una ragionevolezza e un onore già perduto. Ridateci la
nostra bella guerra senza morti, piangono George e Silvio, le fabbriche di armi
e i signori degli appalti. Ma il proiettore è rotto. È un brutto film e chi
l'ha voluto, prima o poi ci creperà dentro, proprio come quelli che ha mandato
a morire, contro la volontà chiaramente espressa del loro paese.
(Tratto dal giornale Il manifesto del 15 Maggio 2004)