Fabio Mini
In
Afganistan, Bin Laden è morto e sepolto. Si può leggere il suo necrologio non
la rabbia dei taliban, nel fanatismo dei suoi legionari e nelle facce di tutto
il popolo islamico dimenticato dagli sceicchi del petrolio e dagli opulenti
frequentatori dei casinò. Anche i mujahedin
lo ricordano con onore e forse lo ringraziano per aver fatto scattare la
trappola sui taliban. Ma quello che ora sta nella mente segreta di Osama e di tutti i suoi seguaci è questo necrologio:
“Era
insigne per avvenenza, vantaggio esteriore dispregiato da quelli che non
possiedono. Prima di favellare, sia in pubblico sia in privato, si conciliava
già il favore degli astanti. Applaudivasi al suo contegno che annunciava un
uomo autorevole, alla sua aria maestosa , al suo sguardo penetrante, al suo
sorriso piacevole, alla lunga barba, alla fisionomia in cui si leggevano i
sentimenti dell’anima, al gesto che accresceva forza alle sue parole. Nella
familiarità della vita privata non si dipartiva mai dalla civiltà grave e
cerimoniosa del suo paese; i suoi riguardi verso i ricchi e i potenti erano
nobilitati dalla condiscendenza e affabilità con cui trattava i cittadini più
poveri della mecca. La franchezza delle sue maniere valeva l’astuzia delle sue
mire, e l’urbanità prendeva in lui sembianze d’affetto per la persona a cui
parlava, o quelle di una benevolenza generale. Vasta era e sicura la sua
memoria, agevole l’ingegno e adatto alla società, sublime l’immaginazione , e
il giudizio chiaro, pronto, decisivo. Aveva coraggio nel pensare come
nell’operare, e benché sia da credersi che i suoi disegni si allargarono
gradatamente a seconda del buon esito, la prima idea che concepì della sua
missione profetica porta l’impronta di un ingegno straordinario. Educato in
grembo alla famiglia più nobile del paese, avevano preso l’abito di parlare il
più puro dialetto degli Arabi; e sapeva contenere la facilità e l’abbondanza
del discorso , e accrescerne il pregio con un silenzio usato a luogo e tempo.
Veramente il gran Libro della Natura stava aperto davanti a’ suoi occhi”.1
A
quest’uomo autodichiaratosi profeta e martire, combattente e capo scomparso ,
sopravvive il simulacro a cui danno la caccia gli americani. Purtroppo il
ritardo nella sua cattura ha consolidato sia l’impressione che la tecnologia
non prevalga sul coraggio, sia la convinzione che qualunque persona si catturi,
si arrenda o sia venduta non possa
rappresentare altro che il simulacro dell’eroe. Un simulacro che si nasconde e
che prolunga la sua fine soltanto per rafforzare la fine gloriosa dell’eroe. Il
popolo islamico ha già eroicizzato e martirizzato Osama Bin Laden . Il suo
simulacro non vale niente. Forse per questo nessuno lo consegna per intascare
la sua ricompensa. Non c’è nulla da vendere se non la rappresentazione di ciò
che non è più. Gli Usa possono dire di aver risparmiato 50 miliardi perché se
fossi in loro non pagherei un cent per il simulacro che mi venisse offerto. Ben
di più vale chi ne raccoglierà l’eredità. E allora bisogna cercare e pagare.
1 – Descrizione di Maometto
da: E. Gibbon, Storia della decadenza e
rovina dell’impero romano, volume X, Milano 1823, Pier Nicolò Bettoni)
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(Brano dell’articolo Perché combattiamo ancora, comparso
sulla rivista Limes – Edizione
Speciale: Le spade dell’Islam,
Novembre 2001)