SENZA RAGIONI
Domenico Starnone
C’è una ragionevolezza
d'oggi, diffusa ed esibita dai media, che consiste nel ridurre il garbuglio del
mondo a una giustapposizione di ragioni, tutte con una loro validità. Se una
ragione viene meno, la persona ragionevole ne trova subito un'altra con un suo
fondamento lodevole. In Iraq, per esempio, non si sono trovate armi di
distruzione di massa. E con questo, vogliamo piantare grane inutili a due
statisti di spessore come Bush e Blair? C'era un mucchio di altre buone ragioni
- dice la persona di buon senso - per muovere guerra all'Iraq: eliminare un
dittatore; portare libertà e democrazia; consegnare finalmente quel paese
martoriato ai suoi abitanti più assennati. Nemmeno queste ragioni sembrano
convincenti? Pazienza. Ormai in Iraq ci siamo e non è ragionevole andarsene.
Chi ha questo
atteggiamento è infastidito solo da coloro che provano a stabilire quali sono
le ragioni giuste e quali quelle sbagliate. Se dici per esempio che è
ragionevolissimo andarsene dall'Iraq, l'assennato ti appioppa subito i galloni
della testa mal formata e sfoggia sufficienza, sarcasmo, repulsione per le
semplificazioni ingenue. Per il resto dà lezioni di pacatezza su ogni argomento
all'ordine del giorno. Sarebbe bene, tanto per dirne una, che i prezzi non lievitassero,
ma il ragionevole pensa che sia nella natura dei prezzi lievitare, nella natura
dei commercianti arrotondarli per eccesso, nella natura delle massaie
amministrare al meglio il danaro che serve a mandare avanti la famiglia.
Qualche banca rapina i risparmiatori, è vero, ma per il ragionevole non tutte
le banche lo fanno e se lo fanno ciò accade perché le banche, com'è noto, di
mestiere fanno le banche. Il ragionevole pensa anche che per un Tanzi che gioca
a costruire imperi di carta moneta-carta straccia, ci sono tanti imprenditori
che non sono Tanzi, anche se i bilanci per loro natura vanno sempre un po'
truccati, tanti esperti di settore esistono apposta, i paradisi fiscali non
sono ancora paradisi perduti. In Africa - concede il ragionevole - si muore
come mosche e il telegiornale certe volte (raramente) sembra una finestra su
Auschwitz, ma le multinazionali del farmaco hanno investito fior di quattrini
nella ricerca e se la vita umana ha sicuramente un valore, anche i loro
brevetti ne hanno, non si può trascurare. Verissimo - ammette pure il
ragionevole - che i rapporti di forza tra Nord e Sud del mondo sono
squilibrati, che i paesi ricchi hanno il monopolio del benessere e della forza,
che se dentro il quadro attuale uno vuole ribellarsi è facile che non possa
ricorrere ad altro che alle cinture di tritolo, ma - dispiace dirlo - la storia
è andata così, che possiamo farci, la colpa non è di nessuno: tu ne hai colpa?
io no. Il ragionevole insomma è una nuova figura della serena accettazione del
peggio, trasversale agli schieramenti politici e ai media. Trova buone ragioni
per valorizzare capitali anche con la produzione e i traffici di armi. Trova
normale che si corra in cerca di una sorta di profitto assoluto nei paesi della
miseria, dove la giornata di lavoro può essere allungata a piacimento e i
salari sono tenuti bassi come a metà Ottocento. Trova esaltante privatizzare
tutto il privatizzabile, destrutturare tutti i sistemi di garanzia, fare man
bassa delle pensioni, considerare la precarietà come uno stimolo per l'ingegno,
legittimare ogni porcheria. Il ragionevole trova ragionevole - e gustoso, per
finire - che in fase preelettorale il capo del governo, nel suo piccolo, sia
considerato Napoleone, Alessandro Magno o, tanto per puntare in alto, un messia
in contatto privilegiato con lo spirito santo.
Sicché a volte, quando il mondo dei ragionevoli si mostra per quel che è, un
macello a cielo aperto, l'avventatezza giudiziosa pare una risorsa,
l'irragionevolezza lucida l'unica speranza.
(Tratto da Il manifesto, anno XXXIV,
n° 30)