DATECI UNA DOSE DI ARTE AL GIORNO
George Steiner
La scienza, anche la più
grande, è collettiva e anonima. Dopo il primo Galileo ce n’è stato un altro, e
poi altri ancora: la scienza è sempre il risultato dell’accumulazione del
lavoro di vari ricercatori. Anche un laboratorio mediocre di scienziati sa che
la settimana prossima sarà più ricca di questa. La scienza ha il privilegio del
futuro. Invece nessuno di noi può credere che verrà un altro Bach, o un Mozart,
o un Beethoven: sarebbe un’assurdità. Nella nostra lingua della “vecchia
Europa” (come la chiamano adesso i neofascisti americani) c’è una grande
stanchezza. Chi vorrebbe scrivere è come se sentisse le voci di Gadda, Musil,
Proust, che gli domandano: “Piccolo amico, tu vorresti scrivere un romanzo dopo
che ci siamo stati noi?” Insomma, dopo questi precedenti, io mi sento
paralizzato nella mia speranza di essere un rivale di Dante, o di Goethe.
Abbiamo il peso del classicismo sulle nostre spalle.
Invece, nella scienza tutto è preistoria. Un insegnante di letteratura passa il
90 per cento della sua vita a insegnare i testi del passato. La sua testa
guarda indietro, mentre davanti ha la prospettiva di un tramonto. Non è un
melodramma, è la realtà. Pensiamo ai grandi poeti della tradizione classica:
Pindaro dice che la sua poesia è più forte della città per cui è stata scritta.
Orazio dice della sua poesia che è un monumento perenne, più forte del marmo.
Invece, gli artisti contemporanei bruciano le loro opere dichiarando “Io non
voglio durare”. La loro creazione, in base alle loro stesse affermazioni, è un
happening, dura lo spazio di un attimo. Ora, perché dire “non voglio durare”,
quando tutta la vita dell’Occidente è stata per secoli la speranza di durare?
Io sento in questo la vergogna del grande artista di fronte all’impotenza della
sua arte a fermare la guerra e i massacri del mondo, a impedire la fame e la
povertà. Queste sono le prime manifestazioni di una nuova cultura, appunto una
cultura dell’effimero, dell’attimo. E’ come se dominasse la paura di
sopravvivere: come se sopravvivere fosse un’impresa monumentale, fosse dire
“Sono più forte della morte”.
A Bergen Belsen, il campo della morte, un nazista versa a terra un bicchiere
d’acqua davanti a un prigioniero ebreo che sta morendo di sete. Il prigioniero
chiede “Perché?” E il nazista risponde: “Qui non esiste un perché”. Questo per
spiegare una realtà molto importante: la grande commedia della speranza umana
ha come componente essenziale il perché. Ed è un mistero questo
contratto umano con la speranza. Ha spesso i toni dell'aspettativa messianica,
dell’utopia, è un atto di fede. Noi diciamo “Domani sarà meglio” e così dicendo
facciamo un atto di fede. Invece, la scienza oggi può dire con certezza “Il
domani sarà più ricco”. Per esempio, il laboratorio di studi sulla memoria di
Edimburgo, in Scozia, sta compiendo ricerche per cui tra vent’anni sarà
possibile effettuare il trapianto della memoria. Con un ossimoro inconsapevole,
questi scienziati dicono che sarà possibile impiantare in persone malate di
demenza senile “memorie fresche”. Così la grande questione di Foucault sull’ego
umano diventa una questione di biogenetica. Lo dice qualcuno che ha un’età in
cui l'Alzheimer è una minaccia quotidiana (e in proposito bisognerebbe fare uno
studio sul perché l’Alzheimer è così frequente nei circoli accademici). Si apre
così un altro punto di vista: “Io chi sono?” Dopo un trapianto di cuore, per
esempio. Mi sono sempre chiesto che cosa vuol dire avere il cuore di un’altra
persona. I bravi ricercatori dicono che il cuore è solo “una pompa meccanica”,
nient’altro. Ma a me farebbe comunque orrore portare dentro di me la “pompa” di
un altro essere umano.
Stiamo entrando in un periodo “post-umano”, difficile da definire. Pensiamo al
caso di Kasparov, il più grande giocatore di scacchi di tutti i tempi, che è
stato battuto da un computer: ha detto, in sua difesa, che è stato battuto da
una “mossa giocata da Dio”. Mi viene in mente una similitudine con un altro
grande giocatore, Maradona: anche lui era chiamato “la mano di Dio”.
L’avversario di Kasparov ha preso la forma di un computer divino… Posso
profetizzare che quando nel 2005 ci sarà la finale mondiale di scacchi, sarà
giocata da due computer. E sarà un’intelligenza elettronica a creare il
programma. Ora, per esprimere quel che penso di tutto questo voglio usare una
parola latina: tristizia. E’ una tristezza infinita, senza limiti, che
mi porta letteralmente alle lacrime. La creatività è finita. Il computer vince
sempre, perché non può fare errori. Invece bisogna capire la creatività immensa
dell’errore. L’errore umano è la fonte della speranza: là dove non è possibile
errore, non c’è speranza, non è possibile alcuna avventura dell’anima. Il
computer non è affatto un’estensione della mente umana, come il bastone, gli
utensili lo sono per le braccia: è una trasformazione, una mutazione.
La speranza è a fondamento delle due grandi eresie dell’ebraismo, il
cristianesimo e il marxismo: sono eresie della speranza, basate sulla promessa
che l’umanità può cambiare. Ma pensate alle bellissime chiese cristiane, tutte
vuote! Dov’è adesso il grande, lo straordinario errore della speranza? Non
possiamo certo dire “Spero nel capitalismo”! E anche la crudele illusione del
socialismo è stata annullata dalla forza dell’egoismo umano, dalla ricchezza
materiale che davvero può conquistare un individuo. Siamo in presenza di un
nuovo fascismo, un fascismo del profitto, molto più pericoloso di quello
classico. E’ il fascismo dell’egoismo intelligente, del controllo dei media. E’
un “sogno di California” per tutti, la programmazione di una California universale.
Pensate che solo dopo l’invasione televisiva di soap opera piene di sole
californiano gli inglesi hanno cominciato a dire che il loro clima è terribile.
Per loro è stato uno choc vedere tutti quegli umani che vivono nel sole. E da
allora quindici milioni di inglesi sono andati a cercare il sole. La dignità
umana è calpestata da questo nuovo fascismo. Invece, quello che resta sempre
inesplicabile è la creazione poetica, la creazione artistica. Nessuna teoria
estetica ha mai contribuito in modo risolutivo a una sua vera percezione.
Voglio raccontare un altro aneddoto (Heidegger diceva: “Se non sai pensare,
racconta un aneddoto” – è la storia della mia vita). Un bambino di sei anni
viene portato con la classe dalla sua maestra a fare un picnic davanti a un
antico acquedotto romano. Invitato a farne un disegno, rappresenta le colonne
dell’acquedotto con le calze, e in marcia. Per fortuna la maestra capisce che
ha di fronte a sé un genio: quel bambino era Paul Klee. Da allora, tutte le
colonne degli acquedotti sono in marcia. Quello che voglio dire è che solo
l’arte può cambiare la percezione delle cose, ed è già nella mente degli
artisti, fin da quando sono bambini. Anche Picasso a otto anni era già grande.
Questo è il principio dell’arte: l’imitatio, la mimesi della creazione
divina.
A questo punto, voglio suscitare la vostra attenzione su una nuova domanda. Una
domanda senza risposta, perché è la scienza ad avere risposte, la filosofia ha
solo domande. Ipotizzo la nascita di una grande arte atea, senza la possibilità
anche metaforica di un Dio. Finora non esiste, gli artisti sicuramente atei
sono rarissimi. Leopardi e Shelley lo sono certamente, altri sono atei segreti.
Tolstoj, Picasso cercano un dialogo con Dio, gli chiedono se può creare
un’altra Anna Karenina, o se sta aspettando nella stanza accanto. Dio è
l’avversario creativo, il nemico amato dei grandi artisti. La mia ipotesi è che
alcuni artisti marchino il transito verso un’arte atea: Beckett, i cui ultimi
testi sono immensi gridi di una bocca nera; Giacometti, le cui figure
rappresentano l’uomo dopo l’uomo, dopo la fame dei campi, di concentramento,
sono la memoria dell’uomo nell’uomo. In queste figure io vedo intensamente
un’aura di umanità perduta. Anche scrittori come Primo Levi e Paul Celan hanno
trovato una risposta diversa dalla classicità alla realtà della nostra
post-umanità. Ormai purtroppo, invece, gran parte della nostra cultura è
mussale. Al museo di Washington c’è una sala che contiene venti violoncelli di
Cremona che giacciono inutilizzati e refrigerati e che solo una volta all’anno
vengono presi in mano e suonati per un minuto. Questa è la voce del silenzio.
E’ il simbolo della perdita dell’errore, che invece è il nostro vero trionfo.
Pascal usa per l’arte una definizione crudele: dice che è “divertimento”.
Invece io spero che non sia così. Io per esempio non posso vivere senza una
dose quotidiana di arte, senza un po’ di Proust per esempio, ma so che la
grande arte è accessibile a una minoranza, e che ha un prezzo immenso. Pensiamo
al grande paradosso degli artisti che affermano “Io sono al di là del bene e
del male”. L’etica dunque non ha a che fare con l’arte? Io non sono d’accordo,
ma non sono un artista! Pensiamo ai difetti di alcuni grandi artisti:
all’antisemitismo feroce di Dostoevskij, al sadismo di Proust, che scrisse
alcune pagine della Recherche mentre assisteva alla tortura di
animali. Ma di fronte a una tale forza creativa la censura è assurda. Anche se
l’artista non può avere tutti i diritti, è vero che l’iperadulazione dell’arte
è al centro della nostra cultura. Recentemente, è stato venduto all’asta un
Renoir a quaranta milioni di dollari. Pensate a quanti bambini si potrebbero
nutrire con quei dollari. Ma io sono religioso in un senso molto preciso: penso
che la mente umana è troppo piccola per i grandi problemi. Perciò la dialettica
del paradosso umano è il più grande dei nostri poteri. Sarebbe terribile saper
trovare tutte le risposte. La possibilità di una nuova umanità chiamiamola pure
una post-umanità futura, è dunque l’ipotesi di questo saggio.
Intervento tecnico il 3
Aprile al Teatro Parenti di Milano in occasione della presentazione del suo
libro Grammatiche della creatività (Garzanti). Tratto da Stilos.
George Steiner è
ritenuto uno dei massimi critici viventi. Vive a Parigi ed è pubblicato in
Italia da Garzanti (Morte della tragedie; Vere presenze; Nessuna passione spenta; Dopo Babele).