il brano finale del racconto
dello scrittore colombiano Luis Fayad
(...) “I rumori gli arivarono da diverse parti,
all’inizio deboli e appartati e senza possibilità di essere identificati.
Leonzio si guardò intorno, ma prima di trovarne l’origine li udì più lontani e
subito dopo smise di udirli. Una pausa lo stava facendo pensare a un’illusione
dell’udito, quando i rumori si ripeterono, ancora lontani, ma questa volta più
chiari e prolungati e con un’eco finale che come un segno di familiarità,
permise a Leonzio, uscendo di casa, di differenziarli dai rumori della strada.
Venivano in gruppo, e tuttavia davano l’impressione di voler essere ascoltati
separatamente, e lasciavano la sensazione di abbandono, di essere anime di
rumori che andavano libere, penando senza corpo. Erano rumori smarriti che
nessuno ormai voleva, rumori avanzati che quando era stato il loro momento non
erano arrivati a nessuno ed erano rimasti a vagare nella regione dei rumori
persi. Nessuno li aveva sentiti. Leonzio distinse la musica di una radio che
qualcuno per dimenticanza aveva lasciato accesa, la caduta di un bicchiere o di
qualche altro oggetto di cristallo mal posto, che forse un terremoto aveva
gettato per terra, una scala di legno che di notte restituiva i passi del
giorno, il suono di un telefono in un ufficio vuoto, il cigolio del cardine di
una porta che sicuramente era stata mossa dal vento, la caduta di una trave in
una casa in rovine e, tra i rumori, riconobbe anche un trillo in una gabbia e
voci che erano rimaste senza destinatario. Sentì una condoglianza fatta a voce
molto bassa, un saluto che qualcuno aveva inviato al marciapiede opposto, dove
passava un amico che non lo aveva sentito, una chiamata d’aiuto, forte ma
inutile, l’annuncio di un venditore di giornali prima dell’alba, richieste e
proteste di un amante congedato e di un uomo che chiedeva l’elemosina e frasi
di quelle che si dicono nella moltitudine e si perdono tra voci più forti.
Senza sapere in quale, tra le molte voci Leonzio credette di scoprire il tono
della sua. Allora pensò, senza sorpresa, che anche alcune delle sue stavano
errando in quella regione, solitarie e smarrite perché nessuno le aveva
ricevute, e cercò di individuarle in mezzo ad altri rumori, voci e mormorii
lontani che smisero di interessarlo. Quando riuscì a sentirle chiaramente
ricordò l’occasione in cui le aveva pronunciate. Il giorno prima il suo capo e
lui erano usciti insieme dai loro rispettivi uffici e si erano incontrati in
strada. Leonzio aveva approfittato della coincidenza e mentre camminava accanto
a lui gli aveva detto che da parecchi giorni voleva chiedergli un colloquio. Il
capo lo stette a sentire e diede segno di prestare attenzione mentre rispondeva
al saluto di un conoscente che gli passava accanto. Subito dopo Leonzio gli
aveva detto ‘Voglio parlarle del mio futuro’, ma questa volta il capo si era
del tutto distratto e non lo aveva sentito, e si era allontanato felice con il
suo amico”.