Torna alla homepage

Sagarana La Lavagna Del Sabato 04 Giugno 2011

LA DISSOLUZIONE DEL SISTEMA DEMOCRATICO IN ITALIA



Alberto Asor Rosa


LA DISSOLUZIONE DEL SISTEMA DEMOCRATICO IN ITALIA



 

 

Capisco sempre meno quel che accade nel nostro paese. La domanda è: a che punto è la dissoluzione del sistema democratico in Italia? La risposta è decisiva anche per lo svolgimento successivo del discorso. Riformulo più circostanziatamente la domanda: quel che sta accadendo è frutto di una lotta politica «normale», nel rispetto sostanziale delle regole, anche se con qualche effetto perverso, e tale dunque da poter dare luogo, nel momento a ciò delegato, ad un mutamento della maggioranza parlamentare e dunque del governo?
Oppure si tratta di una crisi strutturale del sistema, uno snaturamento radicale delle regole in nome della cosiddetta «sovranità popolare», la fine della separazione dei poteri, la mortificazione di ogni forma di «pubblico» (scuola, giustizia, forze armate, forze dell’ordine, apparati dello stato, ecc.), e in ultima analisi la creazione di un nuovo sistema populistico-autoritario, dal quale non sarà più possibile (o difficilissimo, ai limiti e oltre i confini della guerra civile) uscire?
Io propendo per la seconda ipotesi (sarei davvero lieto, anche a tutela della mia turbata tranquillità interiore, se qualcuno dei molti autorevoli commentatori abituati da anni a pietiner sur place, mi persuadesse, – ma con seri argomenti – del contrario). Trovo perciò sempre più insensato, e per molti versi disdicevole, che ci si indigni e ci si adiri per i semplici «vaff…» lanciati da un Ministro al Presidente della Camera, quando è evidente che si tratta soltanto delle ovvie e necessarie increspature superficiali, al massimo i segnali premonitori, del mare d’immondizia sottostante, che, invece d’essere aggredito ed eliminato, continua come a Napoli a dilagare.
Se le cose invece stanno come dico io, ne scaturisce di conseguenza una seconda domanda: quand’è che un sistema democratico, preoccupato della propria sopravvivenza, reagisce per mettere fine al gioco che lo distrugge, – o autodistrugge? Di esempi eloquenti in questo senso la storia, purtroppo, ce ne ha accumulati parecchi.
Chi avrebbe avuto qualcosa da dire sul piano storico e politico se Vittorio Emanuele III, nell’autunno del 1922, avesse schierato l’Armata a impedire la marcia su Roma delle milizie fasciste; o se Hinderburg nel gennaio 1933 avesse continuato ostinatamente a negare, come aveva fatto in precedenza, il cancellierato a Adolf Hitler, chiedendo alla Reichswehr di far rispettare la sua decisione?
C’è sempre un momento nella storia delle democrazie in cui esse collassano più per propria debolezza che per la forza altrui, anche se, ovviamente, la forza altrui serve soprattutto a svelare le debolezze della democrazia e a renderle irrimediabili (la collusione di Vittorio Emanuele, la stanchezza premortuaria di Hinderburg).
Le democrazie, se collassano, non collassano sempre per le stesse ragioni e con i medesimi modi. Il tempo, poi, ne inventa sempre di nuove, e l’Italia, come si sa e come si torna oggi a vedere, è fervida incubatrice di tali mortifere esperienze. Oggi in Italia accade di nuovo perché un gruppo affaristico-delinquenziale ha preso il potere (si pensi a cosa ha significato non affrontare il «conflitto di interessi» quando si poteva!) e può contare oggi su di una maggioranza parlamentare corrotta al punto che sarebbe disposta a votare che gli asini volano se il Capo glielo chiedesse. I mezzi del Capo sono in ogni caso di tali dimensioni da allargare ogni giorno l’area della corruzione, al centro come in periferia: l’anormalità della situazione è tale che rebus sic stantibus, i margini del consenso alla lobby affaristico-delinquenziale all’interno delle istituzioni parlamentari, invece di diminuire, come sarebbe lecito aspettarsi, aumentano.
E’ stata fatta la prova di arrestare il degrado democratico per la via parlamentare, e si è visto che è fallita (aumentando anche con questa esperienza vertiginosamente i rischi del degrado).
La situazione, dunque, è più complessa e difficile, anche se apparentemente meno tragica: si potrebbe dire che oggi la democrazia in Italia si dissolve per via democratica, il tarlo è dentro, non fuori.
Se le cose stanno così, la domanda è: cosa si fa in un caso del genere, in cui la democrazia si annulla da sè invece che per una brutale spinta esterna? Di sicuro l’alternativa che si presenta è: o si lascia che le cose vadano per il loro verso onde garantire il rispetto formale delle regole democratiche (per es., l’esistenza di una maggioranza parlamentare tetragona a ogni dubbio e disponibile ad ogni vergogna e ogni malaffare); oppure si preferisce incidere il bubbone, nel rispetto dei valori democratici superiori (ripeto: lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, la difesa e la tutela del «pubblico» in tutte le sue forme, la prospettiva, che deve restare sempre presente, dell’alternanza di governo), chiudendo di forza questa fase esattamente allo scopo di aprirne subito dopo un’altra tutta diversa.
Io non avrei dubbi: è arrivato in Italia quel momento fatale in cui, se non si arresta il processo e si torna indietro, non resta che correre senza più rimedi né ostacoli verso il precipizio. Come?
Dico subito che mi sembrerebbe incongrua una prova di forza dal basso, per la quale non esistono le condizioni, o, ammesso che esistano, porterebbero a esiti catastrofici. Certo, la pressione della parte sana del paese è una fattore indispensabile del processo, ma, come gli ultimi mesi hanno abbondantemente dimostrato, non sufficiente.
Ciò cui io penso è invece una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale «stato d’emergenza», si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d’autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d’interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l’Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale.
Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole. Le ultime occasioni per evitare che la storia si ripeta stanno rapidamente sfumando. Se non saranno colte, la storia si ripeterà. E se si ripeterà, non ci resterà che dolercene. Ma in questo genere di cose, ci se ne può dolere, solo quando ormai è diventato inutile farlo. Dio non voglia che, quando fra due o tre anni lo sapremo con definitiva certezza (insomma: l’Italia del ’24, la Germania del febbraio ’33), non ci resti che dolercene.
 
(Tratto da Il Manifesto, aprile 2011)
 
 
 
UN COMMENTO DI SABINA GUZZANTI
L’articolo di Asor Rosa pubblicato su il manifesto è di qualche giorno fa ma è sempre meglio non stare sulla notizia a mio parere.
Chi liquida l’articolo dicendo Asor Rosa ha detto una grande sciocchezza, come una rappresentante del PD che ho visto ieri a porta a porta (volto nuovo vecchie formule che non hanno mai funzionato), nega l’evidenza che la sua posizione sia invece stimolante e condivisa. Come avrebbe potuto altrimenti il duemilionesimo articolo sul berlusconismo far nascere una discussione?
La posizione del professore di cui preciso non sono mai stata una ammiratrice, in realtà torna alle posizioni che in tanti abbiamo avuto fin dal 94 condivise e ispirate anche da tutte le persone che abbiamo considerato oneste, autorevoli, buone, come Bobbio, Sylos Labini, Vittorio Foa.
Ora al di là delle polemiche su se si tratti di invocare un golpe o la liberazione, la domanda più interessante che pone, è se vogliamo dire basta o no. quante manifestazioni “ora basta” e ” se non ora quando” e nell’aria invece qualcosa di inafferabile, una sorta di perversione. che sia il piacere di vedere invece fin dove ci si può spingere, che sia masochismo, che sia il narcisismo di ciascuno che prevale su tutto o la scarsa convinzione in quello in cui si crede di credere. qualsiasi cosa sia la sensazione è di essere nell’angelo sterminatore di Bu˜nuel. siamo asfissiati, ma non usciamo. basterebbe aprire la porta e andare e non lo facciamo.
Questo aprire la porta non è necessariamente un golpe, non è necessariamente una piazza stracolma, non è per forza un vaffanculo, può essere qualsiasi cosa. può essere Napolitano che dice basta, può essere uno speaker del TG che si risveglia in diretta, potrebbe essere un gesto violento o un gesto burocratico, ma magari basterebbe anche uno sbadiglio ben inquadrato durante una barzelletta.
Il punto non è come: è la decisione di uscirne che manca. c’è ma non arriva fino in fondo. c’è ma sul più bello cede. come se pensassimo che in realtà ci stiamo divertendo o qualcosa di simile. O come se non avessimo nessuna fiducia di poter ricostruire quello che è stato distrutto. come dopo uno stupro, le ferite che devi curare non si vedono e la vergogna prevale sullo spirito di sopravvivenza.
Sotto questo profilo non è vero che sia assurdo che Berlusconi cada per gli scandali sessuali quando si è macchiato di colpe più gravi. Siamo un paese violentato, che non ha ancora la forza di ammettere che quello che è successo è capitato proprio a noi.
Detto questo l’idea che debbano essere la polizia o i carabinieri è assurda e pericolosa e infatti mi conferma che Asor Rosa non è il mio tipo.
 




Alberto Asor Rosa
Alberto Asor Rosa




    Torna alla homepage home