Torna alla homepage

Sagarana La Lavagna Del Sabato 07 Maggio 2011

"NAZIONAL-POPOLARE" E REALISMO








 

 
 
 [In Italia] manca un'identità di concezione del mondo tra "scrittori" e "popolo"; cioè i sentimenti popolari non sono vissuti come propri dagli scrittori, né gli scrittori hanno una funzione "educatrice nazionale", cioè non si sono posti e non si pongono il problema di elaborare i sentimenti popolari dopo averli rivissuti e fatti propri [...].

In Italia, il termine "nazionale" ha un significato molto ristretto ideologicamente, e in ogni caso non coincide con "popolare", perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla "nazione", e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso: la tradizione è "libresca" e astratta, e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano.

In queste parole è concentrata una delle tesi più importanti di Antonio Gramsci sulla letteratura italiana. Gramsci parte dalla constatazione che gli intellettuali, e in particolare gli scrittori, italiani non si sono mai posti il problema di un rinnovamento della nazione italiana, perché completamente estranei alla nazione, intesa nel senso più ampio, cioè come popolo italiano, e perché, evidentemente per ragioni storiche (il ritardo con cui in Italia si è realizzata l'unità nazionale, e per di più dall'alto, come "rivoluzione passiva" e non dal basso, come movimento popolare), hanno formato sempre una casta sradicata dal popolo, caratterizzata da uno sterile cosmopolitismo.

Punto di riferimento centrale di Gramsci nel rivendicare la funzione sociale della letteratura è il magistero di Francesco De Sanctis, inteso, come osserva Asor Rosa, quale "modello di iniziativa culturale complessiva", in polemica con Croce:
Il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi [cioè del marxismo] è offerto dal De Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci): essa deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umane­simo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo.
I Quaderni del carcere di Antonio Gramsci furono pubblicati dalla casa editrice del PCI, gli Editori Riuniti, a partire dal 1947, in particolare il volume Letteratura e vita nazionale uscì nel 1950.
Il dissidio fra Togliatti e Vittorini era avvenuto da tempo, la linea del partito era ormai definita, e tuttavia, a parte il fatto che Togliatti conosceva già dal 1938 i Quaderni gramsciani, la lezione di Gramsci, o meglio: il modo in cui i dirigenti del partito recepirono e utilizzarono la lezione di Gramsci fu decisivo per rafforzare e conferire organicità e autorità agli indirizzi culturali del PCI.

La ragione di fondo del dissidio fra PCI e Vittorini, infatti, a parte l'aspirazione di quest'ultimo ad una maggiore libertà ed autonomia degli scrittori nei confronti del partito, mentre il partito tendeva ad un maggiore controllo sugli scrittori, stava nel fatto che "Il Politecnico" con le sue aperture alla cultura europea metteva in pericolo la linea di politica culturale nazionale che il PCI seguiva.

Una politica che, giova ribadirlo, è condizionata dal clima politico nazionale e internazionale. La "guerra fredda" e la contrapposizione frontale in Italia con la Democrazia cristiana e l'egemonia cattolico-clericale portano il PCI da una parte a rafforzare il rapporto con l'Unione Sovietica (e di qui le aperture al realismo socialista), dall'altra parte a sottolineare la propria continuità con la cultura italiana classica, ottocentesca, nel continuo tentativo di presentarsi come partito nazionale, per certi aspetti addirittura 'tradizionale' e 'conservatore', al fine di conquistare il consenso dei ceti medi.

Il 1949, l'anno in cui le Edizioni Rinascita pubblicano il volume Politica e ideologia, raccolta dei principali scritti di Zhdanov, può essere considerato l'anno di svolta: la sconfitta elettorale, il clima della guerra fredda inducono il Partito comunista ad irrigidire la linea di politica culturale, si ha un vero e proprio 'ritorno all'ordine'.

La battaglia a favore del realismo per i dirigenti della politica culturale del PCI si concretizzò in una battaglia se non contro almeno per il superamento del neorealismo (movimento troppo ibrido ed eterogeneo: ecco perché dopo il 1948 compare un'altra volta il termine "neorealismo", e di nuovo in un'accezione negativa) e per il ritorno ad un romanzo realista di tipo classico ottocentesco.
Da questo punto di vista due sono i romanzi significativi dopo il 1948: Le terre del Sacramento (1950) di Francesco Jovine e Metello (1955) di Vasco Pratolini.

Il primo, ambientato nel primo dopoguerra, ruota intorno alla lotta dei contadini del Molise che, ingannati da un astuto proprietario (o meglio: dalla moglie di lui) si vedono sfrattati dalle terre che avevano lavorato nella speranza di ottenere un contratto di enfiteusi. Centrale è la figura di Luca Marano, lo studente che guida la rivolta. Il movimento viene però represso e Luca ucciso ad opera delle prime squadre fasciste.

Qui la coralità viene assorbita dall' 'eroe', qui, come ha notato Luperini, protagonista non è la massa contadina, ma l'intellettuale piccolo-borghese, lo studente universitario che "sa" e "capisce", e essere 'organici' alle classi lavoratrici sembra significare porsi alla testa di contadini senza voce e senza volto, facendo dipendere il loro movimento dai propri capricci.

In Metello (primo di una trilogia sulla storia italiana dalla fine dell'Ottocento agli anni Sessanta si racconta la vicenda di un operaio, Metello Salani, che, nel periodo 1875-1902 a Firenze, lentamente acquista coscienza, realizza la propria 'formazione' sia sul piano sentimentale sia sul piano sociale e politico. Sul piano sentimentale, sposando la figlia di un anarchico e poi superando l'attrazione per una ragazza piccolo-borghese, con cui ha una breve relazione; sul piano socio-politico, partecipando ad uno sciopero di muratori nel 1902. Viene arrestato e, scontata la pena, trova ad aspettarlo la moglie con la quale si è riconciliato.

Entrambi i romanzi hanno una prospettiva storica, ed entrambi i romanzi hanno caratteristiche neorealiste: Luca Marano è un classico "intellettuale organico" alla classe contadina, Metello Salani rappresenta l'operaio che, dopo un processo di `formazione' (è questo l'elemento neorealista di fondo), acquista coscienza di sé, dei suoi doveri umani e di classe.
Ma la differenza basilare fra questi romanzi, da una parte, e la produzione postbellica (Cronache di poveri amanti, di Pratolini, o Speranzella, di Bernari, che esce nel 1949, ma si inserisce chiaramente nel filone corale postbellico; per non parlare poi dei racconti influenzati dai moduli narrativi emersi durante la Resistenza), dall'altra parte, sta nella struttura, soprattutto in Metello, di tipo classico, ottocentesco, con narrazione in terza persona e narratore onnisciente.
Metello, in particolare, che, a differenza de Le terre del Sacramento, ha un finale 'positivo' (la 'formazione' dell' 'eroe', la donna fedele che lo attende, ecc.), piacque ai critici ufficiali del Partito comunista.
Carlo Salinari ritenne che Metello segnasse il passaggio dal neorealismo al realismo, il superamento di tutto quanto di decadente e sperimentale ci fosse nel neorealismo, e il ritorno allo schema del romanzo ottocentesco.
E non a caso, infatti, Salinari cercava di unire la lezione di Lukàcs con quella di Gramsci ed esprimeva un giudizio negativo sulla letteratura del decadentismo novecentesco, perché questa letteratura aveva perduto i due elementi basilari della grande narrativa ottocentesca: un asse ideologico che sorregga l'opera e un personaggio che con la sua tipicità le dia un senso.
 
 
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 
 
(Tratto dal sito www.homolaicus.com)

 






    Torna alla homepage home