La Lavagna Del Sabato 26 Giugno 2010 COSÌ LAVORANO I VINTI DELLA TERRA Le grandi migrazioni di massa sono come le maree e i terremoti che nessuno riesce a regolare. C'è chi viene danneggiato e chi ci guadagna sopra Giorgio Bocca
Siamo qui per lavorare è la frase che riassume pensieri e sentimenti degli immigrati poveri nel nostro Paese, il 'fin de non recevoir' alle nostre profferte di amore, eguaglianza, solidarietà. Grazie per le buone parole, ma siamo qui per fare le badanti, raccogliere i pomodori, spaccare le pietre o fondere i metalli. Dite che ci integreremo con voi, che finiremo per avere i vostri diritti e il vostro benessere? Forse tra 50, fra cento anni, per ora tiriamo la carretta, stiamo in guardia, viviamo nelle nostre comunità, ci fidiamo solo dei nostri amici e parenti.
Questo è oggi lo stato dell'immigrazione nel nostro Paese, l'ultima immigrazione di massa dopo le invasioni e le conquiste millenarie. ? un bene o un male? Diciamo che è un fatto naturale, come le correnti marine o i terremoti, con il cattivo e il buono che ci portano, ci piacciano o meno. Sulle migrazioni in genere, su questa di massa in particolare, si esercitano tutte le retoriche e gli opportunismi possibili. Anche se alla resa dei conti sono riedizioni della schiavitù: i poveri e i vinti della Terra lavorano per i vincitori e i ricchi. In questa riedizione aggiornata della schiavitù gli svizzeri tedeschi sono dei maestri: nelle grandi stazioni turistiche della valle del Rodano come dell'Engadina gli schiavi di giorno non si vedono, stanno chiusi nei loro alloggi, solo di sera escono furtivamente, appaiono nelle case e per le strade a trasportare pesi o a raccogliere immondizie. Nei luoghi deputati della ricchezza la vista degli schiavi non è gradita. Sono un bene o un male le immigrazioni? Sono un fatto naturale che si ripete nel bene come nel male. In tutte assieme ai migliori e coraggiosi arrivano i peggiori e sventurati. La criminalità marocchina o rumena riproduce con delitti diversi quella di noi italiani nel gangsterismo del Nord America. In cui accadevano le stesse cose di oggi in Campania o a Duisberg, che i gangster calabresi o campani di recente importazione si ammazzavano con quelli irlandesi o londinesi delle precedenti
Sulle migrazioni di massa ci sono pareri diversi. Non piacciono a chi viene danneggiato, piacciono a chi ci guadagna sopra. Il loro grande guaio comune è che sono di lunga, lunghissima digestione, che occorrono molti decenni, a volte secoli, perché si chiudano le loro ferite e si ricostituisca una civile normalità. Ci fu al principio del secolo breve, come chiamano il Novecento, la grande illusione del comunismo, la speranza nella rivoluzione delle rivoluzioni che avrebbe eliminato le differenze tra i ricchi e i poveri, i vincitori e i vinti. Finita nell'inferno stalinista quella grande speranza, siamo tornati a considerare queste invasioni di massa come le maree o i terremoti, come fenomeni naturali che pochi lodano, molti deprecano e nessuno riesce a regolare, come si conferma con il popolo dei naviganti e dei naufraghi che nessuno al mondo può trattenere da affrontare la fame e la sete e il mare impietoso. E il fallimento della grande rivoluzione ha segnato anche la fine dei miti e dei riti della classe centrale, la classe operaia che si faceva carico delle sofferenze del mondo. Cose di altri tempi. Oggi come oggi la grande migrazione è un'opportunità per i ricchi di fare altri soldi o di permettersi altri comodi, e per la maggioranza dei comuni cittadini, né santi né eroi, di viverla come una sgradevole necessità, come un prezzo da pagare a questo famoso progresso, a questa conclamata modernità di cui tutti parlano come necessità, come obbligo. Che non è proprio il massimo della libera scelta Articolo tratto di L’Espresso on-line, Giugno 2010 Giorgio Bocca home |