La Lavagna Del Sabato 01 Maggio 2010 IL CORAGGIO DELLE PAROLE E DEL SILENZIO Intervista a Mia Lecomte Filippo La Porta
Soprattutto Berardinelli si è interrogato spesso su quanta parte della nostra esperienza la poesia riesce ancora ad esprimere, trattandosi di un genere esposto come tutti all’usura del divenire storico (negli anni ‘30 Wilson parlava già del verso come tecnica in via d’estinzione). La poesia italiana contemporanea riesce a nominare zone del vissuto che altrimenti resterebbero inesplorate o si affida preferibilmente a oscurità e gergalismi di maniera (o magari si rifugia in un estenuato citazionismo)?
Forse bisognerebbe partire dall’esperienza, più che dalla poesia. Cos’è diventata per noi l’esperienza? In che misura esiste, sotto quali vesti, attraverso quali mezzi? Le stesse domande sono conseguentemente applicabili alla poesia, italiana o meno, che dovrebbe comunicarla e rappresentarla. È un problema antropologico: di esistenza e consapevolezza. In che misura l’uomo è ancora consapevole di esistere? In che misura esiste ancora una poesia consapevole dell’uomo? La forma è implicita e conseguente, ogni incarnazione ha la propria.
Rispetto ai prosatori e romanzieri coevi i poeti italiani d’oggi ti sembrano più vitali, più interessanti, più originali, meno colonizzati da modelli importati, meno insidiati dal midcult e meno esangui?
Dal mio modesto osservatorio, ricevo comunque in visione tanti testi. Tutti più o meno uguali. Prosa e poesia. Basta leggerne poche righe. Quasi sempre cose piccole, autoreferenziali, rattrappite sul proprio ombelico. Prevedibili e pavide. Perché generalmente si cerca di non rischiare niente, al massimo una dignitosa mediocrità. Quasi nessuno osa fare cose molto: belle, e conseguentemente a volte anche brutte. Quasi sempre impera il poco. Spesso mancano, in poesia e prosa, lo slancio gratuito, irresponsabile, generoso, anche a discapito di se stessi. C’è al contrario molto amore per la propria incolumità, garantita da un conformismo che si barrica dietro scuole e teorie. Manca una reale necessità. A capofitto, senza rete.
I nuovi poeti italiani assomigliano a intrepidi cavalieri jedi contro il potere (ovvero lingua della realtà contro lingua dell’irrealtà), lungo una linea identificata da Galaverni con la tradizione Dante-Leopardi-Montale, oppure ti sembrano più verosimilmente autori impegnati ad autogestirsi e autoamministrarsi alla meglio in un sistema editoriale sempre più intasato (i poeti in Italia sono 2 milioni!)?
I poeti italiani sono molti, sì, e forse purtroppo non sono sempre i migliori a garantirsi la pubblicazione, una reale visibilità. Proprio perché la lotta è proprio per la visibilità. La poesia, e la letteratura in generale, costituiscono oggi la strada “più nobile” per mettersi in vista, un campo “illustre” per quel tipo di homo scaenicus contemporaneo, che si ritiene superiore alle chiappe delle veline ma ne invidia il protagonismo. Troppi scrivono, e sembrano mancare i criteri di valutazione. E allora si fa quel che si può, ognuno con i propri mezzi. Combattendo, aggirando o blandendo il sistema editoriale e la schizofrenia delle sue regole, volte perlopiù a costruire il “caso letterario” quando basterebbe cercare con competenza e correttezza quello che già c’è, a vantaggio oltretutto anche delle proprie egoistiche tasche.
Che senso ha oggi il concetto di sperimentalismo in poesia e in quale direzione si esercita? Ad esempio ha una relazione con le ricerche della neoavanguardia o già quelle erano una stanca replica di cose fatte 50 anni prima e con una diversa “necessità”?
Non credo nello sperimentalismo “a tavolino”, e neanche ai “concetti” come chiave di volta della poesia. Il problema, se così si può chiamare, della poesia contemporanea, credo sia proprio un eccesso di intelligenza, soprattutto nei più giovani. Che eccellono nell’oratoria, nella consapevolezza e nel nozionismo critici, e sono sofisticati ed esperti maneggiatori dei media con cui sono cresciuti, dal blog al talk show. Ma certe cose avvengono spontaneamente, naturalmente, non si possono pianificare. L’uomo-vita-poesia è più importante delle proprie opinioni, se ne frega: avviene. Nella vera poesia c’è solo vera poesia, io credo, non vero pensiero; e si sente come un fatto fisico, oppure non è niente. Se mi sto occupando da anni della poesia della migrazione italofona è proprio per cercare di comprendere cosa sia l’avanguardia – nel senso di qualcosa che ci viene incontro dal futuro culturale e biologico di noi stessi – della poesia italiana, e da dove stia arrivando, con la dirompenza e la paura che implica ogni rivoluzione che si rispetti.
Ritieni che il linguaggio della poesia sia una lingua speciale, separata (in cui prevarrebbero allusività, metaforicità, connotazione, etc. secondo le famigerate funzioni di Jacobson), o pensi che sia composta della stessa materia della lingua quotidiana? E ancora, su questa stessa linea: condividi il dogma tipico di certa modernità novecentesca di una poesia anticomunicativa e antisemantica?
Ancora una volta: il linguaggio della poesia nasce con la poesia, non credo sia pianificabile, né addirittura dogmatizzabile. Ogni vero poeta modula onestamente il proprio, come un uccello, che si distingue per i suoni che emette, per citare un’immagine di Brodskij. Più che di linguaggio, se mai parlerei di una predisposizione congenita a una tramatura pre-linguistica, che riesce ad armonizzare il coraggio delle parole e del silenzio.
Nel mio articolo sui poeti migranti accennavo alla possibilità di una prosa che andasse verso la poesia, nel senso di far proprie certe tecniche di intensificazione, accelerazione e rallentamento, etc. proprie del metro poetico. Ti sembra una strada praticabile?
È un’ipotesi interessante. Forse più praticabile naturalmente in prosa da un poeta, abituato a calibrare più rigidamente le conseguenze musicali di ciò che pronuncia, piuttosto che da un narratore, per cui l’esito delle parole si costruisce in accumulo. Dipende comunque da ciò che si sta raccontando, perché credo che in prosa sia fondamentale il racconto, la storia – interiore, esteriore, immobile, agente…– la volontà, il piacere di raccontare. Mia Lecomte è nata nel 1966 e attualmente vive a Roma. Poeta, autrice per l'infanzia e di teatro, ha pubblicato: il saggio Animali parlanti. Le parole degli animali nella letteratura del Cinquecento e del Seicento (Firenze 1995); i libri per bambini La fiaba infinita e La fiaba impossibile (Torino 1987), Tiritiritère (Bergamo 2001), Come un pesce nel diluvio (Roma 2008); il volume fotografico Luoghi poetici (Firenze 1996, realizzato con il fotografo Sebastian Cortés); e le raccolte poetiche Poesie (Napoli 1991), Geometrie reversibili (Salerno 1996), Litania del perduto/Litany of the lost (Prato 2002, testo a fronte in inglese. Con incisioni dell'artista canadese Erica Shuttleworth), Autobiografie non vissute (Lecce 2004), Terra di risulta (Milano 2009). Membro onorario per l'Italia, con Milo De Angelis e Gabriela Fantato, dell'Associazione francese "Confluences poétiques", le sue poesie sono state pubblicate all'estero e in Italia in raccolte antologiche tra cui Italian poets in translation (John Cabot - Un.of Delaware 2008), e riviste come «Poesia», «Semicerchio», « La Mosca di Milano», «Confluences poétiques» (Francia), «Gradiva» e «Journal of Italian Traslation» (Usa), «Arquitrave» (Colombia), «Oroboro» (Brasile). Svolge attività critica ed editoriale nell'ambito della comparatistica, e in particolare della letteratura della migrazione: dirige la collana Cittadini della poesia, dedicata alla poesia della migrazione italofona, è curatrice dell'antologia Ai confini dei verso. Poesia della migrazione in italiano (Firenze 2006) e con Luigi Bonaffini di A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy (Los Angeles c.s.), e ha tenuto conferenze sull'argomento in Università italiane e straniere, come la State University of New York, e negli Istituti di cultura italiana di New York e São Paulo (settimana della lingua, ottobre 2004). Traduttrice dal francese, è curatrice tra le altre della raccolta poetica La casa del respiro del poeta cileno francofono Luis Mizon (Milano 2008). È redattrice del semestrale di poesia comparata «Semicerchio», del quadrimestrale di poesia internazionale «Pagine» e di alcune riviste letterarie online. Collabora a «Le Monde Diplomatique», inserto mensile del quotidiano «il manifesto». home |