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Sagarana La Lavagna Del Sabato 01 Marzo 2014

IL DUBBIO DELL'ALTRUISTA



Pancrazio Luisi


IL DUBBIO DELL'ALTRUISTA



«Ciao, Andrea. Giordano Felisi vuole stringere amicizia con te su Facebook». Oibò, chi era `sto Giordano Felisi? Non era la prima volta che riceveva ri­chieste di amicizia da persone che mai aveva visto o sentito nominare. In quei casi, pur essendo di manica larga, prima di dare la conferma, andava a vedere il profilo del richiedente, così giusto per non ritrovarsi «amico» di qualcuno con sgra­devoli inclinazioni.

Il profilo era decisamente povero di dati: la foto di un venticinque-trentenne, nato a..., vive a...; alla voce interessi: i nomi di alcune band musicali degli anni `90 e quello di Bob Marley. Davvero poco. Si soffermò per qualche minuto sulla fotografia del profilo: si vedeva la testa di un giovanotto precocemente invec­chiato, le guance un poco scavate ricoperte da un filo di barba nera, i capelli castani ricci e arruffati. Dagli occhi, uno sguardo alto e diretto, un'espressione di baldanza appena trattenuta. Boh, chi cavolo era costui? La lista dei suoi amici era piuttosto lunga, e non poteva certo guardare i profili di tutti. Cliccò su una deci­na di nomi: erano tutte persone normali, c'era persino un dottore! Certo, sui so­cial network sono tutti normali, tutte brave persone. Non si è mai visto, chessò, un Jack lo Squartatore presentarsi come tale nei social network...

Andrea decise di lasciare in sospeso la richiesta per qualche giorno. In fondo, non c'era alcuna fretta. Il bello della Rete è anche questo, pensò. Mica ce l'a­veva di fronte, in carne e ossa. Era tutto virtuale, che diamine! Certo che quel Bob Marley un poco l'aveva turbato: quanti ricordi, e poi il concerto a S. Siro nel giu­gno dell'81. C'era andato con la Cristina, una sua vecchia amica da poco scom­parsa. Andrea senti i tratti del viso contrarsi e una stretta alla bocca dello stomaco. Uscì da Facebook, e spense il computer.

Per alcuni giorni, quella richiesta d'amicizia fece capolino nella sua mente, andava e tornava occupando gli interstizi tra la fine di un'attività e l'inizio di un'altra: mentre si recava a scuola o durante il ritorno a casa in metropolitana; nel pomeriggio, finito di correggere i compiti oppure la sera mentre si apprestava a preparare la cena. "Giordano, Giordano..." diceva tra sé e sé ; poi, "Felisi, Feli­si..."; e poi, insieme nome e cognome "Giordano Felisi, Giordano Felisi..."

Il mistero si sciolse come sempre per caso. Mentre cercava il referto di un'e­cografia recente nel cassetto dove c'era di tutto (una cartella clinica, vecchie let­tere che oggi non si scrivono più, ricevute di prestazioni mediche buone per la prossima dichiarazione dei redditi, post-it, un quaderno con la copertina nera in­tonso...) s'imbatté in un mazzetto di vecchie foto legate con un elastico. Sfilò l'e­lastico e sparpagliò le foto sul letto. C'erano quella della quinta elementare col maestro in giacca e cravatta, quella della terza media con la professoressa di let­tere bionda e dal seno prorompente, quella scattata al mare, in colonia, con i ge­nitori che erano andati a trovarlo. Eppoi, eccola, quella della quinta liceo: rico­nobbe tutti i suoi compagni, e ne proferì i nomi, uno per uno. Se li ricordava tutti. «Bruno Felisi!», disse con un tono di voce più alto come se volesse comunicare la scoperta a qualcuno. Bruno stava in piedi, come gli altri della classe, in ter­za fila, sulla gradinata del cortile. Bruno Felisi, un tipo spassoso e gaudente, col bernoccolo degli affari. Tutti i giorni portava un sacchetto pieno di panini che ri­vendeva a 50 lire l'uno. Si poteva scegliere tra una michetta con dentro una misera fetta di prosciutto cotto oppure una michetta con due misere fette di salame. Andrea non aveva mai voluto comprare quella roba anche quando, per la fretta, dimenticava di portarsi da casa il panino o la focaccia che avrebbe divorato du­rante l'intervallo. Non si fidava.

Bruno Felisi, dunque, il padre di Giordano. Gli anni trascorsi, le circostanze, alcuni episodi che ora riemergevano nella mente: tutto tornava. Dopo il liceo, per sei-sette anni, aveva continuato a frequentarlo, di tanto in tanto. Bruno, dopo il primo anno di Fisica, aveva abbandonato gli studi, si era messo a fare il rappre­sentante di una casa farmaceutica ovvero l'«informatore scientifico», nome uffi­ciale di quella professione. Ad Andrea, che di scienza qualcosa sapeva, non era mai stato chiaro che cosa avesse di «scientifico» quella professione. In fondo, si trattava di visitare e convincere medici e farmacisti ad adottare prodotti della casa farmaceutica per la quale lavorava. Bruno si era sposato presto, e presto aveva avuto un figlio cui aveva imposto il nome di Giordano in omaggio a una cer­ta libertà di pensiero di cui andava orgoglioso. Qualche volta, quando andava a trovarlo, Andrea ci aveva anche giocato col piccolo, tenendolo sulle ginocchia o sollevandolo in aria con improvvise e rapide giravolte che suscitavano l'irrefre­nabile ilarità di Giordano. Poi, si erano persi di vista, come spesso accade in quel periodo della vita. Forse, la condizione di single di Andrea cozzava troppo con le esigenze e le problematiche di una coppia sposata e con prole.

Ora, miracolo della Rete e dei social network, si faceva vivo Giordano Feli­si, il figlio del suo vecchio compagno di scuola. Come poteva rifiutare la sua ri­chiesta di «amicizia»? Andrea accese il computer, entrò in Facebook e cliccò su «conferma». Il giorno dopo, lesse un messaggio di Giordano che ringraziava calorosamente e ricordava di essere il figlio di Bruno. Poi, in basso a destra dello schermo, si aprì la finestra delle chat:

– Ciao, come stai? – cominciò Giordano.
– Non c'è male. E tu, i tuoi come stanno?

– Con mio padre non ci vediamo da tre anni, con mia madre qualche volta. Vivo da solo, ospite di un amico.

– Ma tu cosa fai nella vita? Lavori, studi?

– Domani ti mando un messaggio. E un po' lunga la storia. Ti saluto.

La chat si chiuse così. Nella testa di Andrea i ricordi si accavallavano uno sull'altro incuranti di ogni scansione cronologica. Gli episodi più eclatanti del pe­riodo scolastico si intrecciavano con quelli posteriori di quando Bruno era sposato alle prese con i problemi della vita famigliare. Era quasi divorato dalla curio­sità, pensò persino di telefonare al vecchio compagno. Cercò la guida del telefo­no ma poi desistette.

Il giorno dopo trovò il messaggio atteso.

«Ciao Andrea, ho disperatamente bisogno di aiuto. Da due anni sono disoc­cupato e non sto neanche tanto bene di salute. Vivo ospite di un amico che nean­che lui se la passa bene. Se non pago entro una settimana ci tagliano luce gas e telefono. Non ho neanche i soldi per mangiare. Ti prego, aiutami, fai presto.» Il messaggio in realtà era parecchio più lungo; si dilungava in particolari riguardanti la famiglia con la quale aveva rotto da tempo ogni rapporto. Come poteva restare indifferente a quella richiesta d'aiuto? Era sinceramente dispiaciuto. Senza esi­tare, rispose immediatamente: «Va bene. Ci vediamo domani alle ore 16, al bar all'angolo di via Trilussa. Di quanto hai bisogno? Una curiosità: perché i tuoi non ti aiutano? Ti sei rivolto al servizio Sociale di zona? Magari ti danno una mano.» Pochi minuti e arrivò un altro messaggio: «Con mio padre, come ti ho già detto, non ho più rapporti da tre anni. Anzi, se dovessi sentirlo, non dirgli niente. Non voglio che sappia che ho chiesto aiuto a te. Quanto ai servizi sociali, sono una manica di banditi, si limitano a inserire i tuoi dati anagrafici nel loro Data Base, e poi chi s'è visto s'è visto. Me ne bastano duecento, per ora. Allora, ci vediamo domani alle 4, al bar che conosci. Grazie di tutto.»

Andrea rimase per un po' a meditare su quella vicenda. Non aveva dubbi, do­veva dare una mano a Giordano. L'unica perplessità si riferiva a quel «per ora». Poi, come se si fosse svegliato dopo un sogno, pensò che Giordano attendesse una ulteriore risposta di conferma. Si limitò a scrivere: «D'accordo, a domani».

Tornato da scuola, preparò un pranzo veloce e leggero. Finito di pranzare, prese una busta – ne aveva ancora un bel pacco acquistato una decina di anni pri­ma – e vi inserì quattro biglietti da 50. Mancava ancora una mezz'ora alle 15, quando sarebbe uscito per l'appuntamento con Giordano. Passò l'attesa sdraiato sul divano a sfogliare e leggiucchiare le poche pagine del «Manifesto».

Durante il tragitto, prima in tram, poi in metrò, si toccava spesso la tasca interna della giacca, per controllare che la busta fosse sempre lì dove l'aveva mes­sa. Arrivò puntuale, anzi, con qualche minuto di anticipo. Riconobbe Giordano (aveva la stessa faccia del suo profilo su Facebook, a figura intera sembrava an­cora più magro di come se l'era immaginato) sull'uscio del bar di via Trilussa. Conosceva bene quel quartiere per le tante volte che era andato a trovare Bruno. Gli diede e ricevette una vigorosa stretta di mano. Giordano mostrava un volto ri­lassato e l'espressione felice di che ha appena scampato un grave pericolo. Gli consegnò la busta, quasi furtivamente, e poi gli disse:

– Entriamo? Beviamo qualcosa?

Andrea ordinò due caffè. Presto uscirono dal bar, con un evidente imbarazzo reciproco ad alimentare la conversazione. Andrea avrebbe voluto chiedergli qualcosa di più su Bruno, suo padre, ma capì che Giordano non avrebbe gradito. Gli chiese soltanto:

– Ma tu, che mestiere fai?
– L'elettricista.

– L'elettricista? E non riesci a campare con questo mestiere? Con quello che guadagnano!

– C'è la crisi, lo sai. In questi due-tre anni, per la verità, qualche lavoretto l'ho anche fatto, in nero, si capisce. E così sono rimasto pure fregato perché mi sono messo con gente che poi non mi ha manco pagato.

Nel salutarlo, gli diede un buffetto sulla guancia, come farebbe un padre col figlio, e gli disse:

– Dai Giordano, tieni duro. Vedrai che ce la fai.

Fece una ventina di passi e si voltò all'indietro: voleva salutarlo ancora una volta agitando in alto la mano come si fa alla stazione quando parte un amico o un parente.

Per un mese o forse due non ricevette più messaggi da Giordano. Ogni tanto lo incrociava su Facebook, in qualche post nel quale esaltava il cantante tal dei tali o un meraviglioso concerto di una delle sue band preferite. La cosa non lo fe­riva più di tanto, anzi ne era quasi contento. Massi, quel silenzio poteva avere anche un risvolto positivo; poteva significare che Giordano aveva ripreso a guada­gnare, aveva trovato lavoro, chissà. Poi, un bel pomeriggio, sì, erano passati due mesi (poté verificarlo dalla data della richiesta d'amicizia), trovò finalmente un messaggio su Facebook di Giordano che diceva: «Ciao Andrea, come va? Mi dispiace disturbarti ancora una volta, ma ho di nuovo bisogno di aiuto. Non ho più un soldo. Non ho da mangiare e la mia salute è peggiorata. Ti prego, aiutami. Mi bastano anche 100 euro. Ti ringrazio in anticipo e scusami per il disturbo. Fam­mi sapere. A presto.»

Andrea restò come pietrificato per qualche tempo; guardava e riguardava il testo del messaggio senza leggerlo. Non ne aveva bisogno. Ci voleva poco a me­morizzarlo. Uscì da Facebook e spense il computer. Si sdraiò sul divano e ripre­se la lettura di un libro che aveva già letto una ventina di anni prima: La struttu­ra delle rivoluzioni scientifiche di Thomas S. Kuhn.







Racconto tratto dalla rivista “Il segnale” n° 96, Milano, 2013.





Pancrazio Luisi, scrittore italiano, è l’autore della raccolta poetica “Luoghi del silenzio”.





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