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Sagarana La Lavagna Del Sabato 17 Aprile 2010

EMIGRAZIONE DELL'IMMIGRAZIONE



Carmelo Cambareri


EMIGRAZIONE DELL'IMMIGRAZIONE



 

A emigrati e emigranti.
 
Le migrazioni, lunghi spostamenti regolari periodici e stagionali lungo rotte precise e ripetute, sono sempre seguite da migrazioni inverse, da un ritorno alle zone di partenza, alle origini. Sono indotte da cause relative alla riproduzione, all'ambiente o, più semplicemente, al pane. Le rane temporarie, migrano tornando, poi, nelle stesse acque degli anni precedenti. Le migrazioni degli insetti coinvolgono spesso due generazioni successive: la prima compie il viaggio di andata, quindi depone le uova e muore; la seconda compie il viaggio di ritorno. Le tartarughe marine compiono grandi spostamenti per raggiungere le spiagge in cui deporranno le uova, le spiagge dove loro stesse sono nate. Sorprendentemente, ricordano con grande precisione la rotta per raggiungere il luogo natìo, nonostante i circa trent'anni impiegati per raggiungere la maturità. Gli anatidi, migrano per poter compiere la muta, per ringiovanire. Molti uccelli montani migrano tra vetta e valle, hanno una concezione verticale della vita. Le balene grigie percorrono più di 800.000 chilometri nell'arco di una vita, un'andata e ritorno terra-luna. Gli elefanti percorrono migliaia di chilometri, per poi far ritorno e morire nel territorio originario.
Sembra che il fenomeno delle migrazioni sia iniziato nell'Era Terziaria in cui già esisteva un'alternanza stagionale e si sia stabilizzato nell'Era Quaternaria, anche in seguito alle glaciazioni. In riferimento alle migrazioni degli uccelli, il viaggio di andata viene denominato viaggio post-nuziale o passo, quello di ritorno viaggio pre-nuziale o ripasso. L'aspetto più affascinante e misterioso delle migrazioni degli uccelli è la capacità di orientamento. Le rotte sono determinate da meccanismi quali posizione e movimento del sole, azimut, posizione di catene montuose e sistemi fluviali, di luna e stelle, direzione dei venti, campo magnetico terrestre, e chissà cos'altro. Sembra poi che gli uccelli possiedano una sorta di carta geografica mentale dei territori disegnata memorizzando riferimenti territoriali e dati olfattivi. Talvolta, però, le luci delle città e il cambiamento della superficie terrestre condizionano e modificano le rotte migratorie.
Per l'essere umano, si parla di soggetto di migrazione, in quanto appunto soggetto di un progetto migratorio, anche quando tale progetto  sia parte di un movimento collettivo provocato da cause esterne. Le cause, implicano in alcuni casi una ricerca di carattere esistenziale e culturale, immateriale. Spesso a spingere il singolo migrante alla migrazione sono la ricerca dell'emancipazione dal contesto familiare, della libertà di espressione, della crescita culturale, la curiosità intellettuale.
Vengo da una terra dove lo sport nazionale è l'emigrazione. La mia stirpe paterna pratica l'emigrazione da generazioni. Ovviamente non si emigra per ragioni di carattere sportivo. Si emigra per il pane. Anch'io a ventisette anni, seguendo la tradizione, emigrai. Anche il mio uccello emigrò. Mi trasferii a Torino dove mi aspettava un lavoro da impiegato bancario e molto altro. Feci le valigie e tagliai nettamente con il passato. La mia nuova vita iniziò due giorni dopo.
Emigrai all'inizio della crisi economica globale. C'era crisi. La crisi. Abitavo a Grugliasco, paese industriale/residenziale alle porte di Torino, al numero uno di via Roma, terzo piano scala C di un condominio moderno, con il cane nero Billy e il cugino nero Mico, scapolo emigrante impiegato cinquantenne. Condomini allineati, abitati da famiglie di emigranti, emergevano dal fumo delle fabbriche malate. Il cane morì! Billy, un piccolo meticcio tredicenne dal quoziente intellettivo canino molto alto, era il soggetto 'alfa' di quel micro-branco. Vecchio, si trascinava verso l'aldilà con forza, usciva due volte al giorno e abbaiava a tutto ciò che suoi vecchi occhi gli permettessero di vedere e il suo vecchio naso di annusare. Al mattino spostava nove croccantini dalla ciotola sputandoli sul tappeto del bagno e pretendeva di uscire su ogni balcone dell'appartamento, punto alto dal quale abbaiando rivendicava la propria supremazia.
Mico, l'altro cane, era il secondo di sei figli concepiti dal fratello di mio nonno. Era nato e cresciuto nel dopoguerra da agricoltura biologica a Taurianova, sperduto bucolico paesino collinare dell'hinterland calabrese. Mico affondava le proprie radici nella terra scura e fertile. Trascorse i primi diciassette anni della sua vita lavorando con il padre e i fratelli nei campi, in condizioni di semi-povertà. Lavoravano la terra, seminavano e raccoglievano, pascolavano. Emigrarono tutti! Mico poi Rosa poi Rosina poi Rosetta, poi Rosario e infine Gianni. Mico rinacque in città. Emigrò a Torino all'età di diciassette anni il ventotto dicembre millenovecentosettanta nel pieno dell'industrializzazione. Viveva dalla sorella di sua madre, tra i primi paesani a emigrare a Torino. Il primo gruppo di paesani emigrò negli anni sessanta. Vivevano tutti in una stalla, in condizioni disumane e lavoravano raccogliendo ferro nelle discariche. Si narra che un giorno, alla discarica, due di loro trovarono contemporaneamente un bel pezzo di ferro e, contemporaneamente, si avventarono tirandone con forza le estremità ognuno verso di sé. Erano talmente sporchi, la loro faccia talmente nera da non riuscire a riconoscersi se non quando uno dei due parlò. Compare Nino racconta che emigrò a Torino con una valigia di cartone piena di pane biscottato non avendo nient'altro con cui riempirla. Sentii dire che qualcuno, giunto a Torino, non capiva a cosa diavolo potesse servire la vasca da bagno e così decise di riempirla di terra e adibirla a coltivazione casalinga di pomodori. I primi paesani emigrati rubavano biciclette, attività tutt'oggi svolta con diligenza dagli immigrati marocchini. Negli anni settanta la città subì una fortissima schiacciante e prepotente immigrazione. Tutti si spostavano in città dove le numerose nuove fabbriche davano impiego a lavoratori e lavoratrici, operai e operaie. Su tutte la Fiat. Mio nonno Vicenzinu raccontava che, recatosi a Torino in cerca di un alloggio per sistemare mio zio, gli annunci affissi erano sempre gli stessi: 'Affittasi non a calabresi”. Oggi qualcuno dice che Torino sia la più grande città della Calabria. I calabresi sono ovunque, nelle strade, nelle case, ma non nell'aria. In quel periodo Mico faceva l'operaio, il comunista e il sindacalista. Sacrificava parte della paga per pagare delle cambiali, debito contratto da suo padre per l'acquisto di un trattore. Tuttavia, Mico era felice. Scopriva ciò che fino ad allora aveva solo immaginato. Studiò, crebbe e sudò. Oggi lavora nel pubblico impiego come impiegato in un comune alle porte di Torino e rincasa alle sedici circa con la sua Fiat Punto rossa. Piegato ma non spezzato da una vita che toglie e non dà, si rade la barba e si lava la criniera brizzolata ogni mattina solo dopo aver acceso la radio. Da tempo, ha mandato a fanculo gli ideali e si è rassegnato alla monotona e vuota vita moderna. Il suo passatempo preferito è passare l'aspirapolvere, attività che svolge con diligenza e puntualità paranoica. Soffre di emicrania, è basso, preciso e risparmia la carta igienica. Dopo cena, si sdraia sul divano, poggia i piedi su una sediolina dedicata e mentre mastica e sputa i pezzi di uno stuzzicadenti, colleziona tutte le puntate televisive di telegiornali e format politici, rigorosamente a volume altissimo. Mico odia Berlusconi.
La sera alle sette circa, cenavamo con cibi scaduti e minestroni, poltiglie composte dai frutti che Mico coltivava in un piccolo appezzamento di terra, formaggini e carne. Mico cucinava, Billy abbaiava accanto al tavolo per reclamare un boccone e alla fine io lavavo e pulivo il tutto. Le parole erano poche. Talvolta ci intrattenevamo con interessanti discussioni e analisi filosofiche sull'emigrazione, le origini e il conflitto d'interessi. Quanto bastava per soddisfare il minimo fabbisogno serale di comunicazione. Arrivavo la sera, con la linea cinque, alle diciotto. Partivo al mattino con la linea cinque, alle setteetrenta, percorrevo via Cernaia e raggiungevo il primo semaforo rosso alle ottoeventiquattro. Ingresso al lavoro ore ottoeventotto, due minuti in anticipo.
Lavoravo in Piazza San Carlo, al centro di Torino. A Torino il 99,9% della popolazione era composto da immigrati di prima o seconda generazione. L'unico torinese rimasto era la Gran Madre. Torino era fredda e grigia, ordinata e chiusa, rigorosa e rigida. I portici erano lineari, privi di anima, i palazzi, allineati in pianta romana, perpendicolari, ortogonali e minacciosi, erano eleganti e perfetti, ti osservavano. Non mi piaceva. Come i palazzi, anche la gente appariva fredda, priva di anima, ordinata, chiusa e rigorosa. La gente non mi piaceva. Di sera non uscivo. Andavo al lavoro vestito da cameriere, broker e bancario allo stesso tempo. Al quarto piano le porte dell'ascensore si aprivano. Mi tuffavo nell'ufficio, ambiente sporco e buio al centro di un nobile complesso d'epoca, costituito da un open space suddiviso in isole, unione di quattro scrivanie. Di certo non si trattava delle Eolie. Vivevo sull'isola con un omone  astigiano integerrimo e affabile, una quarantenne calabrese sapiente e disordinata, un’altra metà calabrese, intelligente e cortese. Sull'altra isola un quarantenne bonaccione purosangue piemontese e una bianca fanciulla proveniente dalle valli circostanti. Luci artificiali, analisi funzionale di dettaglio, system test, debugging, presentazioni, riunioni e verbali, punti e virgole occupavano buona parte della giornata.
Ricordo una delle conversazioni serali con Mico. Mi disse che il fatto che io non riuscissi a integrarmi gli sembrava strano. Provò a paragonare la sua emigrazione alla mia. Vedeva il bicchiere mezzo pieno, dal lato giusto. Mico aveva ragione e, anche se non me rendevo conto, mi insegnò molto. Mi disse che avrei dovuto fare come lui, vivere, praticare l'amicizia, cogliere ogni opportunità e, soprattutto, non pensare al passato. Io ribattei sostenendo che le due emigrazioni non potevano essere paragonate, proprio a causa del passato. I nostri passati erano diversi. Mico emigrò per fame, io per fama. Per Mico Torino era fantastica, era benessere, era luce poiché veniva dopo anni di miseria, fame, buio. Per me Torino era smog, freddo, grigio, poiché venivo da sole, mare e colori. Provavo un sentimento di rabbia per la discriminazione subita. Mi sentivo africano, marocchino, emigrato. In realtà, dato il mio aspetto arabeggiante, venivo spesso scambiato per marocchino e gli arabi mi parlavano in arabo, uno mi chiese una sigaretta. Il lavoro mi alienava e, in buona sostanza, vivevo una doppia vita, forse tripla. La prima era quella lavorativa, la seconda quella extra-lavorativa e la terza quella passata. Pensieri e profonde riflessioni assalivano la mia mente. Il semplice fatto di essere nato a sud rappresentava un handicap, la distanza da Torino era un handicap, tutto era un handicap. Cercavo, dentro me, cercavo la risposta a domande ricorrenti; mi chiedevo chi ero, dov'ero, cosa volevo e com'ero. Rispondevo alle domande non rispondendo e lasciavo che fosse il tempo a sistemare le cose, attraversando una fase difficile di transizione e crescita. Tuttavia, col tempo, smontavo ogni dubbio, portavo a compimento il mio viaggio post-nuziale, il passo.
I migranti vedono ciò che altri non possono vedere, sentono ciò che altri non possono sentire. Tartarughe o balene, calabresi o marocchini, hanno un termine di paragone e, in un certo senso, praticano la teoria della relatività. I migranti volano. I migranti adempiono alla vocazione essenziale dell'animo umano, il nomadismo, la ricerca e la scoperta, il divenire. I migranti sono i migliori.




Carmelo Cambareri č nato a Reggio Calabria ventinove anni fa e vive a Torino dove occupa un posto fisso da impiegato bancario. Nel tempo libero, pratica la continua ricerca dell’io mediante la scrittura. I temi narrati, afferenti a questa sete auto-analitica, spaziano da tematiche sociali a argomenti di carattere generale. La prima produzione letteraria ‘Emigrazione dell’immigrazione’ rappresenta l’incipit di una serie di racconti brevi attualmente in fase di realizzazione.




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