La Lavagna Del Sabato 19 Ottobre 2013 L’IDEOLOGIA Riccardo Terzi L’ideologia non è altro che il sistema di pensiero con cui leggiamo la realtà. E l’egemonia appartiene a chi riesce a far valere, nella coscienza di massa, la sua interpretazione del reale. Ciò che è avvenuto, in questi anni, non è la fine delle ideologie, ma un salto di egemonia, che è il risultato di un’offensiva culturale vincente delle correnti individualistiche e liberiste. In questo quadro, mi sembra del tutto fuori dalla realtà chi si immagina un mondo post-ideologico, dove c’è solo il calcolo razionale delle convenienze, e non c’è più nessuna battaglia da combattere sul terreno delle idee. È una prospettiva del tutto repellente, perché vorrebbe dire che l’umanità non è più capace né di pensiero, né di passioni. Ma penso che questi teorici del post-ideologico siano del tutto fuori strada, e attribuiscano all’intera società la loro personale aridità, il loro vuoto mentale. Insisto su questo punto, perché c’è tutta una corrente politica che ha preso nelle sue mani questa bandiera sgangherata della fine delle ideologie. Anche nel linguaggio corrente, si tende a liquidare come «ideologico» tutto ciò che oltrepassa la nostra capacità di comprensione. La fine delle ideologie non è altro che il rifiuto di scavare nella realtà profonda del nostro mondo. E questa realtà è segnata da una violenta competizione per l’egemonia, in cui riemergono con grande forza le grandi correnti religiose, le sedimentazioni della storia, le identità nazionali. Come si può capire tutto questo conflitto, se non si prendono in considerazione i fattori ideologici? La teoria della fine delle ideologie non è altro, nella sua sostanza, che la riproposizione arrogante della superiorità dell’Occidente. È il nostro mondo che si è liberato dei miti e che si è pienamente secolarizzato. Sono le altre culture che dovranno alla fine adeguarsi al nostro modello. Si dice fine delle ideologie, ma in realtà si immagina il trionfo definitivo dell’ideologia dominante, dove non c’è più spazio per nessun progetto alternativo. Più in generale, si può dire che l’ideologia è una componente ineliminabile della politica, proprio perché essa rappresenta il tramite tra la massa e il potere, il modo in cui si organizzano il consenso e la mobilitazione. Il territorio dell’ideologia non è quello della verità, ma solo quello dell’efficacia. Essa quindi sta in un intreccio che la unisce strettamente alla politica, e non è mai possibile separare le due dimensioni. La novità, in questo inizio di secolo, è che la politica non dispone più di risorse ideologiche proprie, e allora tende ad appropriarsi del grande deposito tradizionale delle credenze e delle identità religiose. La religione viene spinta direttamente nel conflitto politico, viene usata come un’arma della politica. Il fenomeno si verifica, in forme non molto dissimili, nell’Islam e nell’Occidente cristiano. Questa commistione di religione e politica ha effetti devastanti, perché in questa sovrapposizione si perde l’autonomia dell’uno e dell’altro elemento, si compromette la laicità della politica, da un lato, e anche, nello stesso tempo, l’autenticità spirituale della fede religiosa, che viene piegata alle convenienze del potere. Se il potere ricorre alla fede, e la fede si fa forte della sua alleanza con il potere, ciò significa che la democrazia si dissolve e che ad essa si sostituisce l’intolleranza dei fondamentalismi. La questione religiosa torna al centro della politica, ed è essenziale, quindi, avere una posizione, un orientamento chiaro intorno a questo problema. La religione va presa sul serio, come una dimensione dell’esperienza umana che oltrepassa la sfera degli interessi mondani, e perciò non si risolve mai interamente nella politica, ma rappresenta per la politica una sfida permanente, un voler andare oltre, un movimento che tende sempre a trascendere i dati della realtà e che non può mai trovare un appagamento. Questo è il senso del messaggio cristiano: una riconversione della propria vita, al di là degli equilibri politici del momento. Il moderatismo è il tradimento di questo messaggio, perché è l’adattamento, è la morale del quieto vivere, mentre tutta la predicazione evangelica è una sfida alla morale corrente e all’osservanza solo formale ed esteriore delle regole. È a questa religiosità esigente che noi dobbiamo saperci rivolgere, non per un patto politico, ma per una comune ricerca che guarda al di là degli equilibri consolidati. Religione e politica si possono incontrare solo nell’autonomia delle loro rispettive sfere. Se i due piani si confondono, ci troviamo sospinti all’indietro, verso una forma di clericalismo non più compatibile con la nostra moderna soggettività, con il nostro voler essere persone capaci di autonomia. Il principio della laicità è esattamente questo senso della distinzione, nel quale la religiosità non viene affatto negata, ma riconosciuta come una energia spirituale che può concorrere, nella sua autonomia, alla costruzione dello spazio comune, della comune convivenza. Sotto questo profilo, l’esperimento politico del Partito democratico può essere di qualche interesse e fecondità, a condizione che sia davvero capace di produrre una sintesi e una visione più alta della politica, al di là dei vecchi steccati. In ogni caso, questo tema del rapporto tra religione e politica è un nodo cruciale da affrontare e da chiarire. Ora, il limite della politica attuale, nelle sue diverse forme, è proprio quello di eludere e di aggirare tutte le questioni teoriche, pensando che si tratti solo, con spirito pragmatico, di adattarsi alle circostanze. Pensiero e azione vanno ormai su due piani del tutto separati. Chi pensa non agisce, e chi agisce non pensa. In questa separazione sta forse il segno più evidente del nostro smarrimento e del nostro declino. E la politica diviene un affare di piccole oligarchie rampanti, mentre le grandi domande sul senso della nostra vita e del nostro futuro restano senza risposta. Per questo, il primo passo da fare è quello di restituire alla politica la sua dimensione ideale e culturale, in un rapporto diretto con il vissuto concreto delle persone e con le loro domande di senso e di identità. Tratto da La pazienza e l’ironia, scritti 1982-2010, Ediesse edizioni, Roma, 2011, Riccardo Terzi, Segretario nazionale dello Spi Cgil. É nato a Milano l'8 novembre 1941. Dal 1975 al 1981 ricopre l'incarico di segretario Provinciale dell'allora Partito Comunista Milanese. Esponente di spicco nella cultura della sinistra italiana collabora con diverse riviste, tra cui "Gli argomenti umani" ed è membro della Commissione nazionale per il progetto dei Ds. Il suo ingresso nel sindacato risale al 1983. Dal 1984 entra nella Cgil Lombardia per essere eletto poi segretario generale regionale. Incarico che ricoprirà dal 1988 al 1994. Successivamente e fino al 2003 viene chiamato dalla Cgil nazionale per diventare responsabile delle politiche istituzionali della confederazione. Torna in Lombardia per ricoprire l'incarico di segretario generale regionale Spi-Cgil, fino al 2006, quando, viene eletto segretario nazionale allo Spi-Cgil con delega all'ufficio Studi e ricerche. home |