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Sagarana La Lavagna Del Sabato 7 Settembre 2013

LO SPETTRO DEL NICHILISMO



Simone Regazzoni


LO SPETTRO DEL NICHILISMO



(…) Una trasformazione inedita del mondo è all’opera: la si chiami postmodernità, nichilismo o ipermodernità, poco importa. Sappiamo che questa trasformazione è radicale e irreversibile, e investe la totalità dell’esistenza decostruendone i fondamenti come l’onda di un sisma. Ci sono due modi per rispondere alla trasformazione o decostruzione in atto: uno reattivo, intriso di nostalgia per un orizzonte di valori perduti; uno affermativo, che guarda all’avvenire.

 

Vintage filosofico, intellettuali reduci e l’orologio di Bruce Willis

 

La risposta reattiva consiste nel prendere le distanze dalla trasformazione in atto, con l’intento di ricostruire le fondamenta del mondo perduto: la Morale, il Padre, la Comunità, la Verità, la Realtà – e altre buone cose di pessimo gusto (i grandi ideali moderni) che costituiscono la cifra di un tono vintage adottato recentemente dall’intellighenzia cosiddetta colta incapace di elaborare il lutto per il crollo dell’ancièn regime della modernità.

Si tratta di una modalità di risposta pasoliniana: in quest’ottica la trasformazione viene letta come una catastrofe o, al limite, un’apocalisse da esorcizzare. Questa risposta ha uno statuto particolare: essa definisce oggi la posizione intellettuale stessa, che è già la propria parodia in stile Grande Lebowsky in quanto involontariamente comica. Per questo mettere in discussione la risposta pasoliniana significa criticare i limiti stessi di un discorso intellettuale che, oscillando tra invettive moralistiche e lamentatio, si mostra totalmente incapace di rispondere alla complessità della trasformazione in atto.

Ora, se la risposta pasoliniana è in tutto e per tutto simile ai sermoni di John Goodman nel Grande Lebowsky è perché la caricatura del reduce del Vietnam che crede ancora di combattere si adatta perfettamente ai reduci intellettuali che credono ancora di combattere la battaglia della modernità, contro l’avanzare del nichilismo inteso come svalutazione dei valori supremi. Accade così che il piano elevato e spirituale, metafisico, si rovesci nel suo doppio comico, basso e volgare, cosicché un discorso sul destino delle nostre anime (our souls) può trasformarsi, come vedremo, in un discorso sul valore dei buchi del culo (assholes).

Non è allora un caso – bensì un esempio eclatante del fenomeno dell’ironia involontaria nel discorso etico contemporaneo – se in Cosa resta del padre? Massimo Recalcati risponde alla domanda chiave del suo testo con una ispiratissima elegia della merda che non è altro che una variazione su una famosa sequenza di Pulp fiction di Quentin Tarantino in cui il capitano Koons dona a un Bruce Willis bambino, Butch, l’orologio che il padre morto di dissenteria in Vietnam aveva custodito nel buco del culo.

Leggiamo Recalcati: “Quel che resta del padre è dunque solo della merda: un frammento di corpo, un pezzo staccato, un residuo della vita (…). La merda del padre è quel che ne resta, quel che resta dell’Ideale paterno, quel che resta del Padre dopo la sua morte. È il patrimonio, l’eredità che si trasmette di padre in figlio”.

E adesso ascoltiamo il capitano Koons: “Questo orologio che ho qui fu visto e acquistato dal tuo grande bisnonno durante la Prima guerra mondiale. (…) Tuo padre l’aveva ancora al polso quando è stato abbattuto sopra Hanoi. L’hanno catturato e messo in un campo di prigionia vietnamita. Sapeva che se quelli avessero visto il suo orologio gliel’avrebbero confiscato, e portato via. Per come la vedeva tuo padre, quest’orologio era tuo di diritto, che fosse dannato se quei musi gialli mettevano le manacce sui beni di suo figlio. Così l’ha nascosto nel solo posto dove sapeva di poterlo fare: nel sedere, per cinque lunghi anni ha tenuto l’orologio infilato nel sedere. Poi è morto di dissenteria, mi ha dato l’orologio. Ho nascosto questo scomodo pezzo di metallo nel sedere per due anni. Poi, finalmente, sono stato rimandato a casa dalla mia famiglia. Adesso, giovanotto, consegno a te l’orologio.

Ecco il limite della risposta reattiva: essere già il proprio doppio parodico. E non accorgersene. Guardare alla postmodernità in un’ottica reattiva o pasoliniana è un po’ come guardare l’architettura della Bigness – l’architettura dei grandi edifici – e il suo regime di complessità con gli occhi pieni di nostalgia per i borghi rurali. Rem Koolhaas ha sintetizzato così la rottura radicale dell’architettura della Bigness rispetto al resto del tessuto urbano: “ Il suo messaggio implicito è: fanculo il pasolinismo.

 

Heidegger e il deserto di Las Vegas

 

La risposta affermativa consiste nel prendere atto, senza nostalgia, che la guerra dei padri è già stata combattuta, è stata persa, e in più era una pessima guerra. La trasformazione che attraversa il mondo è irreversibile: si tratta di trovare nuovi e inediti modi di abitare il nostro tempo, senza nostalgia per l’orizzonte di valori perduti – e anzi imparando a dimenticare.

Ma “il deserto cresce”, sentenzia preoccupato l’intellettuale reduce citando Heidegger (anche se in realtà la formula è di Nietzsche). Suona così l’incipit dell’ Uomo senza inconscio di Recalcati: Il nostro tempo è il tempo nel quale, come si esprimeva Heidegger, ‘il deserto cresce’ ”. Assumiamo pure l’immagine del deserto; ma aggiungiamo: l’idea che il deserto sia semplicemente un inabitabile spazio di morte e desolazione è solo un luogo comune. Il deserto è un’altra dimensione della vita. Per dirla con le parole di Superman in Batman: il ritorno del Cavaliere oscuro: “Persino nei deserti c’è abbondanza”. Si possono costruire magnifiche città, in mezzo al deserto o ai suoi margini, come insegnano Las Vegas e Los Angeles.

Nel 1972 Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour scrissero Imparare da Las Vegas, libro che sconvolse il panorama internazionale dell’architettura poiché proponeva – contro le rigidità e il purismo del Movimento Moderno – di imparare dalla malfamata città del Nevada, dalla “Sin City” capitale del vizio, della corruzione e del nulla, diventata poi uno dei simboli del postmoderno.

L’etica dell’eroismo risponde in modo affermativo a ciò che accade: è un alla crescita del deserto e alla sua abbondanza. Non vuole resisterle eroicamente: ambisce a portarla fino in fondo, preparandosi ad abitare il deserto. In poche parole, quelle di Baudelaire, si tratta di dire: “Non avete diritto di disprezzare il presente”. E non è un caso se Foucault in merito all’atteggiamento di Baudelaire abbia parlato di “eroicizzazione ironica del presente”.

Al di là delle intenzioni con cui Foucault usava questa formula, credo che essa si presti ottimamente per definire la prospettiva dell’etica dell’eroismo: si tratta di eroicizzare, con il giusto senso dell’ironia, qualcosa all’opera nello spazio del nostro tempo.

Ora, dire a ciò che accade, dire sì al deserto, non significa essere rassegnati e passivi rispetto a ciò che accade, subirlo senza intervenire, bensì fronteggiarlo, accettarne la sfida, radicalizzarlo e coglierne le inedite potenzialità.

Quale sfida? La sfida del nichilismo, di cui il deserto evocato da Nietzsche è la rappresentazione.

Continuamente tirato in ballo, lo spettro del nichilismo come dissoluzione di tutti i valori viene esorcizzato, ma non affrontato. L’etica dell’eroismo affronta lo spettro del nichilismo come svalutazione dei valori supremi attraversandolo: il che significa che è un al nichilismo come compimento attivo del nichilismo. Non è sufficiente infatti limitarsi a prender atto della svalutazione dei valori: occorre portarla a compimento, assumendo attivamente questo processo in corso. Su questo punto il commento di Heidegger a Nietzsche è efficace: “La svalutazione dei valori non finisce con una progressiva perdita di valore da parte dei valori, al modo di un rigagnolo che si perde nella sabbia, il nichilismo si compie nella estrazione dei valori, nella eliminazione attiva dei valori”.

È solo a questo punto che si opera una trasvalutazione per cui ciò che nel precedente sistema di valori veniva escluso come il Male assume una dimensione inedita e può essere posto al cuore dell’etica stessa.







Brano tratto dal saggio Sfortunato il paese che non ha eroi. Adriano Salani Editore, Milano, 2012.




Simone Regazzoni

Simone Regazzoni ha conseguito il dottorato in filosofia presso le Università di Genova e Parigi, insegna attualmente presso l’Università Cattolica di Milano. Ha tradotto e curato testi di Derrida, Levinas, Vernant, e pubblicato per il Melangolo il volume La decostruzione del politico. Undici tesi su Derida, e per Ponte alle grazie La filosofia del dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo.





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