La Lavagna Del Sabato 31 Agosto 2013
LA RUSSIA E L’89: UN’INTERVISTA CON YURI AFANASIEV
Lucia Sgueglia
“Vista dalla Russia, la caduta del Muro non ci pareva un evento capitale. Anche per noi del Movimento Democratico che appoggiavamo il cambiamento, passò quasi inosservato, tra gli altri, enormi, problemi che Mosca doveva affrontare in quel movimento. Ma capivamo perfettamente che ciò che accadeva era effetto della glasnost”. Rievoca il sentimento di un’epoca Yurij Afanasiev, storico, fondatore dell’Università di scienze umanistiche di Mosca, nel 1989 Deputato del Popolo dell’Urss. Con uno sguardo amaro sull’oggi.
Davvero i fatti di Berlino non cambiavano nulla per la Russia?
Chiaro, il cambiamento ci fu e fu enorme, il mondo di oggi è l’effetto di quel crollo, non piu diviso in due. Fu il primo grande passo verso il crollo dell’Urss e la Russia indipendente. Ma ancora oggi non ne abbiamo pienamente compreso la portata. Lo stesso concetto di Russia come stato indipendente resta ambiguo, pensate alla guerra ideologica con i Baltici, quella reale con la Georgia. E non tutti i russi riconoscono il 9 novembre come un’eredità positiva. Per lo spirito imperial-nazionalistico risorgente, ad esempio, il crollo dell’Urss così come avvenne, fu uno “stupido regalo all’occidente”.
Lei è uno storico. L’89 vide un nuovo atteggiamento verso il passato sovietico – ora si poteva criticare Stalin.
Sì, fu una delle conquiste più importanti di Gorbaciov. E andò molto oltre le sue intenzioni: la perestroika restò fumosa, a pochi era chiaro cosa fosse esattamente. Fu invece la glasnost a realizzarsi, e fu proprio la glasnost alla fine a demolire il socialismo e l’Urss – il contrario di ciò che Gorbaciov voleva. Aprimmo gli archivi segreti, ma non solo; giornali come Ogoniok, Moskovskie Novosti, programmi tv come Vremya aprirono le “pagine nere” della storia pronunciando per la prima volta parole come “Repressioni di Massa”. Nell’89 ero nel direttivo di Memorial, la ong fondata da ex dissidenti reduci dai gulag: nella conferenza “Lenin e le repressioni staliniane”, ci chiedemmo se il Grande Terrore poteva essere compreso senza legarlo al precedente periodo. Significava riconsiderare tutta la storia sovietica non limitando il ‘male’ a un solo periodo – il vecchio dogma “cattivo Stalin contro buon Lenin”, il socialismo dal volto umano. Fu il culmine della presa di coscienza sulla nostra storia, la rivelazione di questa terribile verità.
Come si arriva all’oggi, la Russia che rivaluta Stalin?
Perché quel processo non fu completo. Anche la condanna pronunciata da Gorbaciov nell’89 al Congresso dei Deputati del Popolo contro il patto Molotov-Ribbentrop (io ero nella Commissione che preparò il documento con Yakovlev), era basata più sull’illegittimità giuridica che politica e morale. La linea ufficiale della Russia su certi fatti storici resta la stessa dell’Urss. Illuminante il lapsus di Putin qualche mese fa in Polonia: “Il parlamento del nostro paese ha già condannato il Patto”; ma fu l’Urss, non la Russia, a pronunciarsi in merito.
Cosa resta dell’89 nella Russia di oggi?
Una memoria sempre più divaricata nel popolo. Per tutti all’epoca era chiaro che dall’89 si era avviato un processo positivo di promozione della democrazia. Ne seguì un periodo transitorio, di passaggio. Ma ecco il punto: per alcuni era una transizione positiva, fase di libertà promettente. Al contrario, per i “Putiniani” l’89-95 è il tempo del caos, l’età oscura della Russia; e solo nel 2000 comincia il recupero: ricostruzione dello stato, ristabilimento dell’ordine, rafforzamento del potere. Per me entrambe le immagini sono errate. Credo che nell’89 sia iniziato un periodo di degradazione della storia russa. E ora ci troviamo al culmine. Perché i russi accettano questo arretramento? Per chiunque, democratico socialista nazionalista o patriota, è molto difficile ammettere di vivere una condizione di sconfitta. Sei immerso in questo processo di degradazione, perciò se qualcuno lo denuncia lo prendi come un attacco personale. Secondo un sondaggio, ora i russi vedono il periodo di Brezhnev come propria età dell’oro - stabilità, tranquillità per il futuro. E l’età brezhneviana è vista come risultato della vittoria nella seconda guerra mondiale, considerata il momento più alto nella nostra storia. Che fu opera di Stalin. Ecco come si arriva alla giravolta ideologica. Putin, razionalmente o intuitivamente, ha colto il link con questo effetto psicologico di massa, e vi ha aggiunto patriottismo, imperialismo, forza. L’entusiasmo e speranza di massa dell’89 russo, forse fu più eccitazione che un vero risveglio. Ricordate il 68 francese? Siate realisti, chiedete l’impossibile. Ecco, noi non abbiamo potuto avere l’impossibile, e alla fine siamo diventati realisti.
Tratto dal sito della rivista “Lettera 22”, Intervista realizzata il Martedi' 10 Novembre 2009. Yuri Afanasiev è uno dei più importanti storici della Russia.)
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