La Lavagna Del Sabato 06 Luglio 2013 AUTOBIOGRAFISMO FITTIZIO: LE GIOVINEZZE DI DANIEL ABAGIU Irina Turcanu
Se ti rechi in un giardino con fiori, sei contento di ciò che vedi, ma la gioia sarà maggiore se dovessi ritrovare un fiore in un campo incolto, laddove meno te lo aspetti. A me piace scoprire i fiori della letteratura nei campi incolti della realtà. Li raccolgo, li sistemo in mazzolini e li offro agli altri, perché ne possano gioire anche loro. La gioia non condivisa con gli altri, mi pare incompleta, insoddisfacente. Questa è letteratura per me: un modo di condividere le cose che mi piacciono con altri che apprezzano le stesse cose. È un modo di comunicare con i parlanti di una stessa lingua. E non mi riferisco ovviamente alle lingue nazionali. Cezar Paul-Badescu
In Romania, gli scrittori scrivono romanzi. Banale, n’est pas? In Romania solo gli scrittori scrivono romanzi. Già meno banale, vero? Ciò significa che vi è un iter da seguire, certi studi da compiere, un determinato praticantato e poi, divenuti scrittori, si scrivono i romanzi. Inutile negarlo, altrove, la prassi – buon costume in tutto il mondo – non sempre viene rispettata. Lanciato il sasso, però, ritiro la mano, perché non sono le cattive abitudini l’argomento, bensì quelle belle. Quelle messe in atto dagli scrittori, quando decidono di coinvolgerci con una storia appassionante. Più precisamente: Cezar Paul-Badescu, quindi Le giovinezze di Daniel Abagiu, atteso nella versione in italiano, per la fine del 2013. È interessante notare, sin da subito, una componente del romanzo in oggetto, alquanto rara nel panorama letterario romeno, spesso collegato al periodo ceausista e ai tumulti che l’Epoca d’Oro ha prodotto nella popolazione del tempo. Coincide, anche qui, il tempo della narrazione con quello dittatoriale, ma l’elemento non ha nulla di esistenziale nello svolgimento dell’azione. È il narratore stesso a dare una precisa indicazione sulla questione: «per alcuni, parole come compagna o compagno potrebbero essere fonte di repulsione o indignazione. Per me, no. Dalla mia prospettiva, il comunismo è stato qualcosa di terribile; davvero, ma questo solo su piano generale – sociale, politico, economico, nazionale, etc. Ma per me, come individuo, non è stato qualcosa di mostruoso. Sono nato nel ’68, quindi il comunismo è stato l’ambiente dove sono apparso e sono cresciuto, l’aria che ho respirato. Siccome non sono entrato in contatto con altre realtà, quei tempi, con tutti i loro presupposti, rappresentavano per me la normalità. Poi, agli anni ’70, ’80 è legata la mia infanzia e adolescenza. Come potrei essere altrimenti se non malinconico?». A impreziosire definitivamente il testo è l’ironia, anzi l’auto-ironia, dell’autore, la quale potrebbe avvicinare la scorrevolezza e l’intensità della scrittura di Paul-Badescu a quella di impronta dostoevskiana, con l’aggiunta di una freschezza d’eccezione. È un’abilità che appartiene a pochi, quella di strappare un sorriso al lettore mentre il discorso verte su questioni essenziali. Essendo una peculiarità di Cezar Paul-Badescu, anzi una dote, quella di giocare, mescolare, spostare il reale nella finzione e viceversa, serve conoscere chi è lo scrittore. Le biografie ufficiali lo descrivono come classe ’68, laureato in Lettere, a Bucarest, specializzato in “Teoria della letteratura e letteratura comparata”. Redattore per la rivista letteraria Dilema, ha collaborato con diverse testate nazionali e internazionali, mentre nel 2000, è insignito con la medaglia “Mihai Eminescu” da parte del presidente della Romania, per i suoi meriti culturali. Le biografie ufficiali, però, tacciono la sua adolescenza – la giovinezza – lasciando al lettore la possibilità di manifestarsi in un atto di fede. Credere o non credere che il giovane Daniel Abagiu è il giovane Cezar Paul-Badescu, così come l’autore stesso lascia trasparire. La domanda, certo, ha il sapore della curiosità e poco cambia conoscere la risposta una volta intrapresa la lettura del romanzo. Ma si sa, è colpa della curiosità se scopriamo nuove cose, quindi, ho chiesto lumi allo scrittore, domandandogli chi è Daniel Abagiu e chi è Cezar Paul-Badescu che racconta le vicende di Daniel. Ecco la risposta: “Daniel Abagiu è un personaggio, e Cezar Paul-Badescu che racconta le vicende di Daniel, è un altro personaggio. Il nome di Daniel Abagiu l’ho sentito alla radio, è un corrispondente della radio pubblica in Romania, e mi è piaciuta la risonanza masturbatoria. (In romeno, il nome Daniel Abagiu, letto tutto attaccato, contiene la parola “labagiu” – letteralmente, segaiolo –, la quale ha due significati: 1. Qualcuno che si masturba; 2. Un fallito, loser.) Daniel Abagiu non è affatto un eroe, al quale la letteratura debba erigere una statua, come è solita fare coi suoi eroi. Paragonato a quelli che ci mostrano i loro muscoli gonfiati dagli steroidi, è un loser. Dunque, è un tizio qualunque, è uno di noi. In quanto al nome dell’altro personaggio, Cezar Paul-Badescu – questo, a causa delle circostanze, l’ho sentito nominare più spesso. Nel libro Cezar Paul-Badescu sostiene di essere Daniel Abagiu. Perché non credergli?”. Fatta luce sulle due identità protagoniste, realtà e finzione, de “Le giovinezze di Daniel Abagiu”, ci si ritrova non ancora del tutto soddisfatti, perché leggendo si ha la sensazione che le demarcazioni siano volutamente sfumate, come dei colori ricchi d’acqua, su una tavolozza, che non sanno resistere dal contaminarsi a vicenda. È un effetto voluto? “Per risponderti quanto è realtà e quanto è finzione in ciò che scrivo, ti darò un esempio. Il testo Una cavalcata all’alba, tratto da Le giovinezze di Daniel Abagiu, parte da una notizia della stampa: il caso di un americano, John Wayne Bobbitt, al quale la moglie gli ha tagliato il pene nel sonno e poi gettato fuori dalla finestra; l’organo è stato recuperato, rimesso a posto da un chirurgo plastico, dopo di che John Wayne Bobbitt si è lanciato nell’industria dei film XXX; alla fine, ha rinunciato alla pornografia e ha dato vita a un culto religioso, dal nome John Wayne Bobbitt Church Without An Organ. La notizia sul giornale era di quattro, cinque righe. Il mio testo conta circa nove pagine di libro. Nove pagine che parlano pure loro di una storia reale”. La curiosità prude le punte delle dita e, preso il libro, lo sfoglio fino alla pagina che reca in alto il titolo Una cavalcata all’alba. Prima, però, leggo l’avvertenza in Annessa, la quale spiega: In apparenza, il testo seguente non c’entra più nulla con la storia di Danutz [n.d.t. diminutivo di Daniel] – non si narrano più vicende sue, e il personaggio principale non può più essere identificato con me così facilmente. La storia però è sempre la mia storia. […] Ecco, però, il brano citato: Ogni volta che la cameriera gli passava accanto gli dava un colpo sulla patta con il martelletto giocattolo. Era un martelletto di plastica, con soffietto, di quelli che fanno “piff”. La gran trovata di questo bar erano le cameriere con i pattini ai piedi. Nessun altro bar sexy era come questo. Era come se fluttuassero tra i tavoli! Con i balconi spingendo coraggiosamente e le gonnelle svolazzanti nel vento sopra i loro culetti rubicondi e in tensione, queste ragazze valevano i soldi. Ruzzavano da una parte all’altra come delle giovenche inseguite da focosi torelli. Loro le inseguivano solo con lo sguardo… “Pfii”! Maledetta cameriera! Gli aveva messo gli occhi addosso. Ed era figaaa, un sacco! Faceva giri larghi intorno ai tavoli, si fermava ogni tanto da un cliente, portava un’ordinazione, e ogni volta che gli passava accanto lo colpiva con il martelletto. Lui, con atteggiamento naturale, era appoggiato al bancone e sorbiva la birra. E, ovviamente, sorbiva con gli occhi lei. […] […]Gli passava accanto quando meno se lo aspettava, e gli tirava un colpo, così come per caso. Nemmeno lo guardava. (L’aveva guardato lei, certo, abbastanza, e l’aveva ammirato… specie ora, quando aveva cosa mostrare!)[…] […]”Pif! Pif! Pif” – la cameriera si era fermata davanti a lui e si dava da fare nel suo mestiere. Egli si lasciò andare, sulla schiena, sopra il bancone, e iniziò a sentir ronzii nella testa, come se si fosse sdraiato sulle acque. Così, non ti fermare! “Pif! Pif! Pif!” Presto le dighe saranno distrutte e i torrenti spazzeranno tutto sulla loro via. Presto, molto presto. Sentì un forte bruciore, come se la mazza si fosse trasformata in un ferro rovente e gli premeva contro il ventre. Lo svegliò un urlo disumano. Era il suo. Sopra, a cavalcioni, ci stava sua moglie piena di sangue e con un coltello in mano. Gli sventolò davanti agli occhi, trionfante, un pezzo di carne e poi lo gettò oltre le spalle, attraverso la finestra aperta. Fatto di cronaca narrata, annesso a un romanzo sulla formazione. Ritagliare la realtà, come un fotografo della parola. Ma anche, come racconta in un’intervista, un rimedio per vincere l’insonnia durante una permanenza in Germania. Camaleontico, nella sua scrittura, sia stilisticamente sia come forma, cosa significa scrivere per Cezar Paul-Badescu? “L’atto vero e proprio di scrivere rappresenta un modo di scoprire me stesso e, al contempo, una sorta di autoterapia. (Vero, a un certo punto, ho sconfitto l’insonnia scrivendo un romanzo.) Quando se ne va da me, il libro è un invito per i lettori ché seguano l’esempio e scoprano se stessi. In tanti mi hanno detto che la cosa funziona.” I lettori… Nel caso de Le giovinezze di Daniel Abagiu, il pubblico è quello romeno. Cosa significa essere scrittori oggi in Romania? Chi dà ancora retta agli scrittori? “Nessuno dà più retta agli scrittori – e fanno bene! (Purtroppo, in tanti danno retta ai politici – e fanno male!) Le persone dovrebbero dar retta solo alla propria coscienza, essere indipendenti, pensare con la propria testa. Gli scrittori posso essere i loro partner di dialogo, nel migliore dei casi, amici.” Irina Turcanu: Sono nata in Romania, nel ’84, e sono emigrata in Italia nel 2001, un’esperienza inizialmente traumatica. A Piacenza mi sono diplomata presso il liceo scientifico e a Milano ho ottenuto la mia laurea in Filosofia, che tra l’altro quel benedetto pezzo di carta non mi è ancora stato consegnato dalla segreteria, fatto che mi fa sentire una perenne studentessa. Scrivo da quando ho 11 anni, per la lettura ho atteso i 16 e con loro l’ansia di aver perso tempo senza leggere, tempo prezioso che mai potrò recuperare. Forse il timore si è trasformato in paranoia ed è per questo che ho seguito un corso on line di lettura veloce, in cui ti insegnavano a sopraffare la vocina nella testa che ti racconta le lettere. Mi guadagno la pagnotta collaborando con un quotidiano e alcune riviste, mentre dalla pubblicazione del primo romanzo non ricevo un centesimo. Lo chiamarono compromesso. Confido nel secondo che uscirà a breve. www.irinaturcanu.jimdo.com irina_turcanu@ymail.com home |