La Lavagna Del Sabato 09 Febbraio 2013 MACURAP Loretta Emiri
La prima volta che mi recai in Rondônia fu per coordinare un incontro di gruppi di appoggio agli indios. Incipiente era la lotta intrapresa dalle etnie presenti nello stato per il diritto a un’educazione che fosse specifica e differenziata. Per affiancare gli indios in questo settore della loro organizzazione, durante l’incontro alcune persone decisero di costituirsi in “Gruppo di Studi dell’Educazione Indigena”. Tornai in Rondônia su invito di tale gruppo, che voleva essere attualizzato in merito alla legislazione dell’educazione scolastica indigena e all’andamento della problematica a livello nazionale. La riflessione sviluppatasi portò il gruppo di studi a decidere di organizzare, di lì a cinque mesi, quello che sarebbe stato il primo incontro di maestri indigeni di Rondônia.
Gli eventi ai quali partecipai furono entrambi patrocinati dalla chiesa cattolica, attraverso un missionario italiano discreto e tenace, già avanti negli anni, che ricordo con affetto. Gli incontri si realizzarono in cittadine all’interno dello stato. Degli spostamenti in pullman e camionetta mi è rimasto il ricordo di sobbalzanti, polverose, interminabili ore trascorse percorrendo rosse strade di terra battuta. Vedevo scorrere immense e brulle proprietà rurali recintate con filo spinato. In prossimità delle piccole isole di foresta ancora rimaste scorgevo cataste di imponenti tronchi riuniti. Qua e là, sparpagliate, intravvedevo povere casette di contadini, che i latifondisti scacciavano sempre più lontano. Agli occhi mi si offrivano i miserabili resti di quelle che, fino a pochi anni prima, erano state foreste e terre indigene.
Quando realizzai il terzo viaggio in Rondônia fu per partecipare al primo incontro di maestri bianchi operanti in aree indigene. Tenutosi nella capitale, Porto Velho, venne organizzato da tutte le realtà in qualche modo legate all’educazione indigena nello stato. Vide quindi lavorare insieme il governo locale e federale, la chiesa, l’università; i loro rappresentanti, fra l’altro, presenziarono numerosi all’incontro stesso, che contò anche con l’insperata partecipazione di sei maestri indigeni. Era l’ottobre del 1990.
In quattro coordinammo l’incontro e, in un primo momento, valutammo negativamente l’eterogeneità dei partecipanti. Di sicuro non avremmo potuto approfondire le tante questioni specifiche che sarebbero state sollevate dai maestri indigeni e non indigeni, funzionari e rappresentanti vari. Inoltre, come far sentire ognuno a proprio agio e attivamente partecipe dell’evento? Ridimensionammo il piano di lavoro iniziale. Funzionari e rappresentanti istituzionali erano così interessati ed entusiasti che concedemmo loro dei tempi, formali e brevi, per esprimersi tutti. Attraverso esercitazioni scritte ed orali emerse l’insufficiente formazione professionale dei maestri non indigeni, la maggior parte dei quali sapevano a malapena leggere e scrivere; la presa di coscienza dei loro limiti contribuì a farli scendere dal piedistallo su cui credevano di trovarsi rispetto agli indios. Come in situazioni analoghe, io feci il possibile per dare voce e spessore alla partecipazione dei maestri indigeni, che avrebbe potuto essere soffocata dalla superiorità numerica e dalla padronanza linguistica dei bianchi presenti.
In un primo momento taciturni e riservati, ben presto gli indios divennero la rivelazione dell’incontro. La presenza fisica, di per sé, contribuì a rendere più accessibili concetti legati, per esempio, alla diversità culturale, all’alterità. Lo spontaneo, ingenuo modo di dire e fare degli indigeni suscitò l’empatia del gruppo nei confronti loro e dei popoli cui appartenevano. Quelli che erano stati curiosi e ben intenzionati funzionari e rappresentanti istituzionali si trasformarono, quindi, in alleati, in persone su cui gli indios avrebbero potuto contare per portare avanti le loro rivendicazioni. Uno dei giovani indigeni sprigionava simpatia da tutti i pori; appartenente al popolo macurap, di lui conservo l’indirizzo e la memoria del contagiante sorriso.
I tre giorni dell’incontro passarono in fretta. Durante la verifica finale emersero considerazioni lusinghiere. Tutti si erano sentiti accolti. Buone erano state le relazioni interpersonali. Si era respirata un’atmosfera serena. Variate ed originali, le dinamiche di gruppo applicate vennero definite spettacolari. L’eterogeneità, sia dei partecipanti che dei membri della coordinazione, aveva contribuito ad arricchire notevolmente l’incontro. Abbattuti i recinti di filo spinato, le varie istituzioni avevano saputo lavorare insieme e questo fu il risultato ritenuto più importante da tutti i presenti, indistintamente.
Era notte fonda quando mi accompagnarono all’aeroporto. Vi avrei trascorso alcune ore a causa dell’albeggiante orario di partenza. Qualcuno si offrì di restarmi accanto, ma dissi che a farmi compagnia sarebbero stati i ricordi ancora palpabili dell’incontro. Il luogo mi era ormai familiare. Detti la solita occhiata all’artigianato indigeno esposto in un box per vedere se c’era qualche pezzo originale; che non fosse, cioè, di quelli confezionati per i turisti. Poi feci il rituale acquisto di cioccolatini alla noce-del-brasile e al cupuaçu. Infine mi sistemai nell’angolo più discreto dell’aeroporto; emozionata, lasciai che persone, situazioni e riflessioni dell’esperienza appena vissuta sedimentassero dentro di me.
Accingendomi a scrivere questo brano, avevo pensato di contenerlo in una paginetta, mettendoci dentro solo il disarmante sorriso del maestro macurap. Non direi, come qualcuno sostiene, che determinati brani si scrivono da soli. Però è certo che ho sentito l’esigenza di riunire i materiali in mio possesso, dai frammenti dell’esperienza personale ai cenni su Rondônia e la sua storia. Se non lo avessi fatto, sarei rimasta con la sgradevole sensazione di aver occultato sfaccettature di una stessa verità.
I sopravvissuti di alcuni gruppi indigeni, fra cui i macurap, sono conosciuti come indios del Rio Mequens. Alla fine degli anni settanta, un progetto di colonizzazione trasformò terre indigene in appezzamenti per contadini fatti accorrere da tutto il Brasile. Servendosi di sgherri armati di carabine e revolver, nel 1981 un certo Milton Santos scacciò decine di macurap dalla terra che restava loro, allegando che ne era il legittimo proprietario. Nel 1982 un documento della FUNAI, l’ente governativo di assistenza agli indios, stabilì che un’area di circa duecentoquarantamila ettari fosse riservata ai gruppi macurap e tupari. Nel 1983 nella zona si istallò una industria del legname e un anno dopo una trentina di indigeni morirono di morbillo. Nel 1985 le imprese erano nove; la Polizia Federale le costrinse a ritirarsi, ma gli amministratori continuarono a gironzolare nell'area per cercare di appropriarsi del legname sequestrato, che era essenzialmente mogano di prima qualità. A questo punto si verificò la vergognosa, e all’epoca consueta prassi, che vedeva funzionari dell’ente governativo di assistenza agli indios difendere gli interessi economici degli invasori. Álvaro Villas-Boas, allora presidente della FUNAI, inviò nell’area una commissione per liberare i macchinari sequestrati, e per chiarire a quale tronco linguistico e gruppo appartenessero gli indigeni; in un suo documento ne aveva messo in dubbio identità e provenienza, insinuando che potesse trattarsi di oriundi dei paesi limitrofi. E pensare che nel remoto 1720, durante una spedizione lungo il fiume Guaporé organizzata dalla Corona Portoghese, il viaggiatore Antonio de Mello Palheta già aveva costatato la presenza degli indios del Rio Mequens.
All’entrata della proprietà rurale, un’insegna nuova recava la scritta “Fazenda Catuva”; avvalendosi di incartamenti dubbiosi, tre individui se ne dicevano padroni; armi alla mano, i bravacci da loro assoldati minacciavano le trecento famiglie di contadini che lì vivevano già prima che l’area cominciasse ad essere recintata con il filo spinato. Il missionario comboniano padre Ezechiele Ramin era arrivato in Rondônia un anno e mezzo prima; italiano di trentadue anni, era abituato ad esprimere i suoi pensieri in forma chiara e diretta; coerente con l’opzione fatta per i più poveri, sua era divenuta la causa dei sem-terra e degli indios. Il ventiquattro luglio del 1985, insieme al presidente del Sindacato dei Lavoratori Rurali di Cacoal, il missionario si recò alla fattoria Catuva per suggerire ai contadini e le loro famiglie di abbandonare il luogo. Sulla via del ritorno li aspettava l’imboscata. Seppur ferito, il sindacalista riuscì a scappare. Padre Ramin fu ritrovato accanto alla vettura crivellata di colpi, quindici proiettili avevano martirizzato il suo corpo, la camicia era inzuppata di sangue, al collo aveva un ornamento indigeno. Alla messa celebrata a distanza di sette giorni dalla morte, molti indigeni erano presenti per rendere omaggio a padre Ramin che, pur avendo lavorato più direttamente con i sem-terra, aveva sempre appoggiato anche loro. Dopo la celebrazione eucaristica un corteo sfilò per le vie di Cacoal; era aperto da un contadino che impugnava una croce su cui era stata posta la camicia di padre Ramin, tutta fori di proiettili e sangue. Il corteo procedeva silenzioso, assordanti erano le riflessioni soffocate dentro ognuno dei partecipanti. Così uguale a quella di altri stati brasiliani, la storia recente di Rondônia è una, molteplici le sue sfaccettature. Foreste e popoli abbattuti, contadini usati e gettati, terre minacciate e recintate, crimini brutali e impuni. L’anelito di giustizia passa anche attraverso il sangue di un bianco e il sorriso di un indio.
Glossario
Cupuaçu: frutto dal profumo intenso e squisito sapore.
Sem-terra: lavoratore rurale senza terra. Il brano “Macurap” č uno dei capitoli del libro inedito Amazzone in tempo reale. Loretta Emiri č nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si č stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yănomamč-Portuguęs e il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver. In italiano ha scritto Amazzonia portatile, Quando le amazzoni diventano nonne, e gli inediti Amazzone in tempo reale, A passo di tartaruga. Dell’inedito Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore piů č la curatrice. Č membro del CISAI – Centro Interdipartimentale di Studi sull’America Indigena dell’Universitŕ di Siena. home |