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Sagarana La Lavagna Del Sabato 26 Gennaio 2013

IL CASO E LA MANO DI EDWIN JOHNS



Brano tratto dal romanzo 2666


Roberto Bolaño


IL CASO E LA MANO DI EDWIN JOHNS



 

(…) Quando si apri la porta, Morini fu il primo a vederlo. Edwin Johns aveva la carnagione pallida e i capelli lisci, che però cominciavano a diradarsi sopra la testa, e non era troppo alto ma era ancora magro. Indossava un dolcevita grigio e una leggera giacca di cuoio. La prima cosa che notò fu la sedia a rotelle di Morini, che lo sorprese piacevolmente, come se non si aspettasse quell'improvvisa
materializzazione. Morini, da parte sua, non poté evitare di guardargli il braccio destro, dove mancava la mano, e la sua sorpresa, stavolta nient'affatto gradevole, fu enorme perché dal polso della giacca, dove non avrebbe dovuto esserci nulla, spuntava ora una mano, evidentemente di plastica, ma cosi ben fatta che solo un osservatore paziente e accorto sarebbe stato capace di accorgersi che era artificiale.
Dietro Johns entrò un'infermiera, non quella che li aveva accolti, ma un'altra, un po' più giovane e molto più bionda, che prese posto su una sedia accanto a una finestra e tirò fuori un libro di piccolo formato, con molte pagine, che iniziò a leggere disinteressandosi completamente di Johns e dei visitatori. Morini si presentò come germanista dell'Università di Torino e come ammiratore dell'opera di Johns, e poi passò a presentare i suoi amici. Johns, che per tutto il tempo era rimasto in piedi senza muoversi, tese la mano a Espinoza e a Pelletier, che gliela strinsero con cautela, e poi si accomodò su una sedia, accanto al tavolo, e si diede a osservare Morini, come se in quella dependance ci fossero solo loro due.
All'inizio Johns fece un leggero, quasi impercettibile sforzo per intavolare un dialogo. Chiese a Morini se avesse acquistato qualcuna delle sue opere. La risposta di Morini fu negativa. Disse di no, poi aggiunse che le opere di Johns erano troppo care per le sue tasche. Espinoza notò allora che il libro da cui l'infermiera non staccava lo sguardo era un'antologia della letteratura tedesca del Novecento. Con il gomito fece cenno a Pelletier, e l'altro chiese all'infermiera, più per rompere il
ghiaccio che per curiosità, se fra gli autori ci fosse anche Benno von Arcimboldi. In quel momento tutti sentirono il verso o il richiamo di un corvo. L'infermiera rispose di sì. Johns si mise a storcere gli occhi e poi li chiuse e si passò la mano ortopedica sul viso.
“È mio il libro,” disse “gliel'ho prestato io”.
“È incredibile,” disse Morini “che coincidenza”.
“Ma naturalmente non l'ho letto, non conosco il tedesco”.
Espinoza gli chiese per quale motivo, allora, l'avesse comprato.
“Per la copertina. C'è un disegno di Hans Wette, un buon pittore. Quanto al resto,” disse Johns “non si tratta di credere o non credere alle coincidenze. Il mondo è tutto un caso. Secondo un mio amico sbagliavo a pensarla così. Il mio amico diceva che per chi viaggia in treno il mondo non è un caso, anche se il treno sta attraversando territori sconosciuti al viaggiatore, territori che il viaggiatore non rivedrà mai più in vita sua. Non è un caso neppure per chi si alza alle sei del mattino morto di sonno e va al lavoro. Per chi non ha altra scelta che alzarsi e aggiungere altro dolore al dolore che ha già accumulato. Il dolore si accumula, diceva il mio amico, è un dato di fatto, e quanto più grande è il dolore, minore è il caso”.
“Come se il caso fosse un lusso?” domando Morini.
In quel momento Espinoza, che aveva seguito il monologo di Johns, vide Pelletier accanto all'infermiera, un gomito appoggiato al bordo della finestra e l'altra mano che aiutava, con un gesto cortese, a cercare la pagina dov'era il racconto di Arcimboldi. L'infermiera bionda seduta sulla sedia con il libro in grembo e Pelletier, in piedi al suo fianco, in una posizione non priva di disinvoltura. E la cornice della finestra e le rose fuori e più in là il prato e gli alberi e il pomeriggio che avanzava fra le rocce e le gole e le rupi solitarie. Le ombre che si spostavano impercettibilmente all'interno
della dependance creando angoli che prima non c'erano, disegni incerti che apparivano all'improvviso sui muri, cerchi che svanivano come esplosioni senza suono.
“Il caso non è un lusso, è l'altra faccia del destino e anche qualcos'altro” disse Johns.
“Che altro?” disse Morini.
“Qualcosa che sfuggiva al mio amico per una ragione molto semplice e comprensibile. Il mio amico (forse è presuntuoso da parte mia continuare a chiamarlo così) credeva nell'umanità, e quindi credeva nell'ordine della pittura e nell'ordine delle parole, perché è con questo che si fa la pittura. Credeva nella redenzione. In fondo è persino possibile che credesse nel progresso. Il caso, al contrario, è la libertà totale a cui ci avvia la nostra stessa natura. Il caso non obbedisce a leggi e se anche obbedisse noi non le conosciamo. Il caso, se mi permette la similitudine, è come Dio,
un Dio che si manifesta ogni secondo sul nostro pianeta. Un Dio incomprensibile con
gesti incomprensibili rivolti alle sue creature incomprensibili. In questo uragano, in
questa implosione ossea, si realizza la comunione. La comunione del caso con le sue
tracce e la comunione delle sue tracce con noi”.
Allora, proprio allora, Espinoza e anche Pelletier sentirono o intuirono che Morini formulava a voce bassa la domanda che era venuto a fare, il busto teso in avanti in una posizione per cui ebbero timore che cadesse dalla sedia a rotelle.
“Perché si è mutilato?”.
Sul volto di Morini sembravano passare le ultime luci del parco. Johns lo ascoltò imperturbabile. Dal suo atteggiamento si sarebbe detto consapevole che l'uomo sulla sedia a rotelle era andato a fargli visita per cercare, come tanti altri prima di lui, una risposta. Johns sorrise e formulò a sua volta una domanda:
“Lei pubblicherà questo colloquio?”.
“Assolutamente no” disse Morini.
“Allora che senso ha chiedermi una cosa del genere?”.
“Vorrei sentirglielo dire” sussurrò Morini.
Con un gesto che a Pelletier parve lento e studiato, Johns sollevò la mano destra e la mise a pochi centimetri dalla faccia in attesa di Morini.
“Lei pensa di assomigliarmi?” disse Johns.
“No, io non sono un artista” rispose Morini.
“Nemmeno io sono un artista” disse Johns. “Pensa di assomigliarmi?”.
Morini scosse la testa e anche la sedia a rotelle si mosse. Per qualche secondo Johns lo fissò con un lieve sorriso delineato sulle labbra finissime ed esangui.
“Secondo lei perché l'ho fatto?” chiese.
“Non lo so, sinceramente non lo so” disse Morini guardandolo negli occhi.(…)






Brano tratto dal romanzo 2666 Adelphi editrice, Milano, 2011. Traduzione dallo Spagnolo di Ilide Carmignani.




Roberto Bolaño
Roberto Bolaño (Santiago, 1953 - Barcellona, 2003). Abbandonato il Cile all’indomani del colpo di stato che portò alla dittatura di Augusto Pinochet, Roberto Bolaño visse dapprima in Messico e poi in Spagna, dove si stabilì definitivamente. Dopo aver pubblicato diverse raccolte di poesie, ottenne la consacrazione presso critica e pubblico come autore di romanzi e racconti nei quali ebbe modo di dispiegare una scrittura e un’inventiva originali, maturate attraverso un lungo confronto con i classici e le avanguardie letterarie, in particolare con il surrealismo e l’opera di Jorge Luis Borges. Nel 1993 pubblicò La pista di ghiaccio, nel quale, affidando il racconto di uno stesso crimine a tre diversi personaggi, dimostrò la predilezione e il talento per la costruzione di strutture narrative complesse e centrifughe. Nel 1996 apparve La letteratura nazista in America, il più borgesiano dei suoi lavori: si tratta infatti di un falso manuale di storia della letteratura, una galleria di scrittori inventati, di opere mai scritte e di citazioni introvabili, tutti accomunati dall’appartenenza a quella cultura fascista e razzista che, bandita dall’Europa all’indomani della seconda guerra mondiale, sembrò trovare in America un nuovo e fertile terreno in cui proliferare. Ricorrendo ad allusioni o a figure reali della cultura latinoamericana, Bolaño utilizzò le armi dell’ironia e della comicità per mettere alla berlina cantori e fiancheggiatori delle dittature militari sudamericane. Negli anni successivi apparvero I detective selvaggi (1998), Amuleto (1999), Notturno cileno (2000) e Amberes (2002). Tra le raccolte di racconti si ricordano Chiamate telefoniche (1997), Puttane assassine (2001), Il gaucho insostenibile, pubblicato postumo nel 2003, 2666 (2009), I dispiaceri del vero poliziotto (2011).




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