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Sagarana La Lavagna Del Sabato 08 Dicembre 2012

LA CONCORDANZA DEI TEMPI



Maurizio Bardoni


LA CONCORDANZA DEI TEMPI



 - Jeronimo Tognotti Ithalma, eminente linguista ed emerito professore d’italiano, confessa che i più recenti non-avvenimenti della sua affatto turbolenta vita, lo hanno indirizzato verso una reinterpretazione più oculata del suo passato, prossimo e remoto, senza trascurare l'imperfetto e il trapassato prossimo.

Detti eventi del suo ieri più recente, o  anche di quello intermedio o lontano, oppure la loro già citata assenza, lo hanno spinto sul cammino della riflessione sul suo futuro, senza dimenticarsi, ovviamente, dell’indispensabile e più imminente futuro anteriore.

Convogliandosi spontaneamente verso un'inedita e fors’anche sgradevole, quanto attualmente necessaria, fuga dalla realtà propriamente detta, per quanto riguarda l'intero suo possibile condizionale: semplice e composto.

A rispetto della vasta gamma di congiuntivi (presente, passato, imperfetto e trapassato,) che sono ancora e da sempre i suoi preferiti, non si è ancora pronunciato, ma si riserva una futura decisione rapida e indolore.

I suoi numerosi allievi universitari, comprensibilmente in tensione per il responso a venire, consci che la vita del professore è forse giunta ad una svolta decisiva, hanno dichiarato in blocco compatto:

“Speriamo che questa sia la volta buona e che il vecchiaccio finalmente si esploda le cervici.”

 

L’editore rimase in silenzio, con lo sguardo fisso, per qualche lunghissimo secondo... finché l’eco delle ultime parole, da lui appena lette con voce baritonale, si spegnesse del tutto, nello stanzone freddissimo e quasi senza mobili. Poi eruppe:

- Bravissimo, Gastão! Tu scrivi implacabilmente abbestia, con quelle mitragliate piuccheperfette al cloroformio che solo tu sai così placidamente sparare a raffica!

(Pausa greve; in cui Gastão si chiese cosa significasse quello che aveva appena udito e l’altro preparava quello che stava per dire)

Solo che io non leggo più, per quanto, lo confesso, io non abbia mai letto molto.

(Altra pausa, con reciproci sospiri, foriera di tempeste a venire.)

E purtroppo non solo io, Gastão, i brasiliani, l’America Latina, anzi guarda: in un certo senso, direi sia il mondo occidentale che orientale, tutti e cinque i continenti emersi dalle fottute acque degli oceani, insomma, pure tutti gli esseri umani, non leggono nemmeno se li torturi, diciamo, leggevano poco prima, figurati ora.

- Prima? Prima di che cosa?

- Prima del computer, Gastão, prima dell’internet, in un certo senso prima che il dannato mondo cibernetico ed informatico ci scaraventassero in questo marasma di realtà virtuale... parlo di noi e degli altri editori, naturalmente.

Ma ti sei mai chiesto chi cazzo è che si compra dei libri, al giorno d’oggi?

- Ma gli e-books non si leggono dal computer?

- Sì, ma la gente che teoricamente potrebbe ancora leggere, in un certo senso, passa già ore davanti al computer, dopo, per rilassarsi, secondo te, vorrebbe trascorrere ulteriori ore davanti ad un monitor?

No, Gastão, quelli cercano piuttosto di fare qualcos’altro, fanno il footing, il jogging, giocano a squash, vanno in mountain bike... in buona sostanza, tutto quello che si possa esprimere in inglese, in un certo senso, capirai che il leggere è diventato demodé, proprio come la lingua francese...

- E allora noi, dal punto di vista letterario, voglio dire, che dobbiamo fare?

- Niente, noi siamo quasi rovinati, migliaia di case editrici hanno già chiuso, chiuderemo anche noi…

- Ma io ho il mio pubblico, non posso piantarlo in asso…

- Non ce n’è bisogno, Gastão, il tuo di pubblico ti ha già dimenticato da un pezzo, te lo garantisco io, ha altre cose da fare. Ma come faccio a spiegartelo?

Ecco: a cosa serviva la ruota durante la glaciazione?

A niente, ecco perché l’hanno inventata dopo, in un certo senso, quando i ghiacci si erano già sciolti.

La nostra situazione è la stessa, ma al contrario, nel senso che la glaciazione è arrivata dopo, cioè ora, insomma: la ruota, cioè i tuoi racconti, in un certo senso ora non servono più a niente, a nessuno.

Sì, lo so che faccio sempre degli esempi che, invece di semplificare, in un certo senso, complicano la vita del già disgraziato vivente, ma la vita è così, Gastão, la vita è proprio così.

- Così come?

- Complicata. Sì, la nostra vita è neuropatologicamente complicata, un mulinare di congetture magnanime troppo spesso non corroborate dalla magmatica eppur teoricamente semplice liturgia dei fatti, un vortice di turbolenze radioattive che schizzano tutto attorno tempi e modi verbali inesistenti.

E non a caso.

Insomma un vulcano di lave incandescenti che non si possono certo mantenere ferme... come si possono congelare, bloccare, in una foto, in una descrizione, in un libro?

Come potrebbero essere semplici gli esempi della vita?

Comunque guarda: nel mondo virtuale, che oggi è l’unico che conta, si è salvata solo la geografia, perché invece: storia, filosofia, religione, storia dell’arte, matematica eccetera eccetera, si sono già fottute, con rispetto parlando, ovviamente.

Solo la geografia si è salvata.

D’accordo, anche per schiantare la nostra geografia stanno facendo di tutto, intendiamoci, si stanno impegnando al massimo, ma trasformare il mondo in un deserto, in un certo senso, è un po’ più difficile che farlo cogli scaffali delle librerie.

Ce la possono fare, ne sono convinto, ma hanno bisogno di più tempo.

Potrebbero riuscirci colle glaciazioni, ci stanno studiando: hai presente le scie chimiche?

Dicono che stanno cercando di manipolare il tempo atmosferico, che l’ultimo terremoto corredato da una bella tsunami, in Giappone, ne è stato il primo risultato.

- Mnnnhghhh.

Ho sbadigliato io, magari per scaricare la tensione.

- Bravo! Ecco cosa volevo sentirti dire!

Tu Gastão sei un tipo ganzo abbestia, pieno di idee, d’iniziative, di roba bollente, in un certo senso. Insomma, che cazzo te ne frega a te? Dai retta a me, non ti preoccupare proprio per la letteratura, il mondo intero sta andando a puttana, la letteratura lo ha preceduto solo di poco, vedrai, vedrai... sentirai che botta!

 

Secondo Tenzin Gyatso  (detto il Dalai Lama) ogni uomo, inteso come umanità, ha una precisa responsabilità nei confronti del genere umano e del pianeta terra, perché esso è la sola nostra casa.

Non abbiamo altro luogo, nell'universo, in cui rifugiarci. Ognuno di noi quindi non può venir meno alla propria responsabilità di operare non solo in difesa della razza umana, ma anche degli insetti, delle piante, degli animali che, con noi, abitano questo pianeta.

Secondo lui, noi esseri umani abbiamo in dote l'intelligenza, una visione che ci consente di vedere al di là del presente: 

“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell'Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”

 

Dopo 180.000 anni di nomadismo, sulla terra, una persona su 4 vive come si viveva 6000 anni fa, senza energia elettrica e tagliati fuori da quello che succede nel cosiddetto mondo civilizzato.

Un miliardo e mezzo di persone, più di tutta la popolazione dei cosiddetti ‘paesi ricchi`.

È tutta gente che non solo non conosce la parola ‘editore’, ma non sa nemmeno leggere.

Quelli che leggevano prima, invece, ora stanno smettendo.
 

Fuori pioveva, dentro anche, ma erano piogge differenti, bagnavano tutte e due, certamente, ma quella interna bagnava l’interno, cioè l’anima, se mai fosse esistita, la mia.

Questo è stato il mio ultimo dialogo coll’editore Tonhão Bertolani Pires della Pirovano’s & Bertolani’s di S.Paulo, che aveva pubblicato gli ultimi miei ventisei libri di racconti.

Un piccolo ma grande editore, che sta crescendo a vista d’occhio, attualmente sfiora già i centotrenta chili.

Lui non lo dice, certo non per timidezza, ma gli editori come lui, di piccola portata ma che stanno già raggiungendo la media, hanno semplicemente cambiato paradigma.

Non falliscono che a parole, nei fatti non ci pensano neanche.

Per esempio ora, zitti-zitti, si stanno arricchendo alle spalle degli scrittori esordienti, gli fanno sborsare barchette piene di soldi, per poi fargli comprare i loro stessi libri.

Secondo loro, non solo in ogni persona si nasconde uno scrittore, ma in ogni scrittore si può celare anche un sostanzioso conto in banca.

Li acchiappano con dei sottili trucchetti, gli fanno credere che i loro manoscritti sono dei capolavori di nicchia, poi glieli stampano e glieli fanno comprare per poi eventualmente vendere agli amici.

Ovviamente non li leggeranno mai, gli amici, ma li comprano, che a qualche cosa serva ancora l’amicizia, pure nel terzo millennio.

Insomma la nicchia c’è sempre, nascosta da qualche parte, ma costa e se la devono fare da soli.

Gli scrittori diventano tanti oppure troppi, fa niente, la qualità della letteratura scivola sempre più verso il basso, non ci sono problemi.

Quello che conta veramente è che si faccia girare il denaro... e che sia quello degli altri.

 

Insomma era l’alba di una nuova era, anche se certo assai meno luminosa della precedente, speravo non troppo buia: giovedì della scorsa settimana.

L’inizio di un qualcosa che ancora non riesco a scorgere e forse è meglio così.

Sto cercando di essere razionale.

Di pensare ad impiegare il tempo al meglio, ora che ce ne ho d’avanzo.

Di far fruttare al massimo il poco denaro che ho, ora che ne ho meno.

Questi primi piccoli passi, miracoli già di buona portata, dovrebbero essere i miei nuovi obbiettivi, a partire da oggi, cioè da ora, oppure da lunedì prossimo.

Però l’orologio, come il calendario, mi sembrano cose senza senso, ora.

A cosa servono?

Non che li abbia mai consultati molto spesso, anche prima, perché lo scrivere era diventato da anni il mio motore, il mio riferimento, la mia maniera di collocarmi, idealmente, nello spazio e nel tempo.

In più mi metteva sia il pane che il salame sul tavolo, un bicchier di vino rosso, per campare, materialmente, come tutti.

Ora i miei pensieri non possono smettere di vagare, così da un momento all’altro, si sentono un po’ soffocare, sanno di avere poche speranze di venir formattati sul monitor di un computer, di fissarsi, in un secondo momento, su un foglio.

 

L’intenzione segreta di Gastão la conoscevano tutti.

Lavorare il meno possibile e farsi bastare i soldi, che erano già pochi,  fino alla vecchiaia e conseguentemente, se proprio non si poteva rimandare oltre,  fino alla morte o fino alla fine del mondo, (o a quella delle due cose che si fosse verificata per prima).

Non che la vita non gli piacesse, gli garbava e anche forte, ma non come la vivevano gli altri, non come avrebbero voluto che la vivesse anche lui.

Non che fosse pigro, almeno lui si sentiva sufficientemente fornito di energia... ma sprecarla nel lavoro era una tortura.

Era sempre pagato male e provocava disaccordi e liti, noia, stanchezza eccetera.

No, no. Secondo lui, esistevano solamente tre tipi di persone.

Quelli che non lavoravano perché erano ricchi.

Quelli che lavoravano, sì, perché ne avevano bisogno, ma in fondo nella vita non sapevano fare altro e allora progressivamente lavoravano sempre di più, fino a schiattare.

Poi il terzo tipo, cioè il suo: quelli che avrebbero avuto bisogno di lavorare, sì, ma il lavoro non riusciva proprio a piacergli.

Era abbastanza vago, però, in questa sua teoria che stava ancora perfezionando, sul come facessero a campare questi signori del terzo tipo.

Lui scriveva, sì, ma questo prima della morte della letteratura, o di quella che il suo editore gli aveva descritto come tale.

Se la vita viene intesa come una storia, un percorso fatto di esperienze, secondo lui non si poteva farne a meno, ma intanto il mondo se ne stava fregando e buonanotte.

 

La vita è un romanzo, di genere poliziesco, col finale a sorpresa e tutto: la morte.

D’accordo, la morte è una sorpresa da poco, è una cosa prevedibile.

Però noi umani, chissà perché, ci illudiamo sempre di sfuggirgli.

Chi è il nostro assassino noi non lo scopriamo mai, o solo quando è troppo tardi, per questo il giallo è il tipo di romanzo che ci intriga di più.

La nostra immaginazione lavora sui confusi indizi del mistero della vita, ancora irrisolto, soprattutto per quelli che credono di dominare lo spazio ed il tempo.

Non ci accontentiamo di sopravvivere, come gli altri animali, pretendiamo di essere felici ed è proprio quello che ci frega.

Per questo e per altre ragioni, l’ansia potrebbe essere la rappresentazione grafica di ogni istante che passa, tra la nascita e la morte.

La fretta di arrivare ai nostri obbiettivi, di liberarci di quello che non ci piace, di vedere che cosa succede nel domani che nel frattempo è già diventato ieri.

E dell’oggi, spesso, ce ne dimentichiamo proprio.

 

Oggi ci sono forse troppe opzioni, anche questo genera ansia, si ha l’illusione di poter scegliere, ma col passare degli anni si realizza che più che altro si viene manipolati dal mercato, anche se dovremmo essere noi, invece, a manovrarlo.

Se nel 18º secolo esistevano 20 tipi di impieghi differenti, nei quali si potesse far carriera, oggi si supera il numero di 20.000.

Il tempo che si trascorre in un impiego diventa sempre minore.

In 30 anni il numero dei divorzi è 13 volte superiore.

Viviamo l’ideologia della scelta, che una volta non era nemmeno auspicabile.

Dovremmo essere proprietari della nostra vita e dovremmo dipendere solo da noi stessi per trovare la famosa felicità.

Questa idea della libertà è la casa attuale di molta ansia.

Il bombardamento di notizie e di informazioni genera ulteriore ansia.

 

A Gastão piaceva leggere, oziare, guardare dalla finestra, poi qualche cosa, ma pochissima roba e assai accuratamente scelta, alla televisione.

La gente lo considerava un rinunciatario, uno che non voleva rischiare, eppure vivendo come stava vivendo lui, rischiava più di tutti.

 

“La vera lotta di ogni giorno è contro l’ansia, un nemico invisibile, ma non per questo meno presente in ogni secondo della nostra esistenza.

La cosa più difficile è proprio quella che dobbiamo fare: mantenere la calma, saper aspettare, goderci il presente, che purtroppo o per fortuna, è l’unica cosa che abbiamo.

L’attesa in genere indebolisce, ma può anche fortificare, dipende un po’ dal nostro metodo, se ne abbiamo uno.”

Ho registrato questo pensiero sul mio piccolo portatile con microfonino incorporato.

Magari un giorno la letteratura mondiale sarebbe guarita, allora avrebbe potuto essermi utile.

Ora mi pare che tutti mi guardino in maniera diversa.

Il mondo attorno va sempre più veloce ed io sono capace solo di frenare. Guardarmi attorno e riflettere su quello che sta succedendo.

 

Intorno al 6000 a.c. il mezzo più rapido di trasporto a lunga distanza era la carovana di cammelli con una velocità media di dodici chilometri all’ora.

Solo nel 1600 a.c. si è aumentata la velocità massima a circa trenta chilometri all’ora, con l’invenzione della carrozza.

Tanto impressionante è stata questa invenzione e così difficile da superare questa velocità massima, che 3500 anni più tardi, quando ha iniziato a funzionare in Inghilterra la prima carrozza postale, nel 1784, questa raggiunse la media di 16 km all’ora.

La prima locomotiva a vapore, fabbricata nel 1825, raggiunse una velocità massima di venti chilometri e i grandi velieri di quest’epoca navigavano a meno della metà di questa velocità.

Si è dovuto aspettare fino al 1880 circa per riuscire, grazie ad una locomotiva più avanzata, ad ottenere una velocità di 150 km all’ora.

Bastarono 58 anni per quadruplicare questo limite, quando nel 1938 gli aviatori superarono la barriera dei 600 km all’ora.

In altri 20 anni si è duplicato questo limite. Negli anni sessanta i jet hanno raggiunto velocità prossime ai 6000 km e capsule spaziali hanno sorvolato la terra a più di 35.000 km all’ora.

Per non parlare della velocità della comunicazione e dell’informazione, che sono diventate tanto rapide che spesso sono quasi contemporanee, al momento della diffusione o spedizione che sia.

 

La base di tutto il suo ragionamento era che, invece, bisognava fare le cose con calma.

Tutto questo da sempre, ma ora più che mai.

Meno si correva e più si sapeva dove si stava andando.

E poi la conseguente ed insensatamente esagerata stanchezza anche era una cosa da potersi e doversi dosare.

Tutto gli piaceva di più, se la sua mente era fresca, cioè non stanca dopo una giornata di lavoro.

Notava che una pagina di un libro qualsiasi, letta in giardino il sabato mattina, verso le undici di una giornata di sole, era incredibilmente più bella della stessa pagina letta il lunedì sera, dopo una giornata di assurdo lavoro, dopo una cena divorata.

Quella stessa pagina diventava di una stupidità quasi stressante, non riusciva a concentrarsi su una singola frase, il tutto girava minacciosamente senza alcun significato.

Certo che ora le sue pagine scritte, di cui andava fiero prima, gli parevano tutte a quella maniera: inutili e senza senso.

Sentiva sempre di più, ora, quella che prima non conosceva che attraverso le parole degli altri: l’ansia.

 

La selezione naturale ha favorito la sopravvivenza di persone ansiose.

Quando i nostri antenati dovevano lottare per sopravvivere, i tranquilli correvano troppi rischi, morivano più facilmente.

Così sono sopravvissuti i più ansiosi e preoccupati.

 

E se ci guardiamo attorno, oggi, come potremmo non preoccuparci?

Quello di cui abbiamo bisogno è un sistema di vita che tiene conto della ragionevole e normale preoccupazione, ma non si fa schiacciare dall’ansia.

La colpa e la responsabilità sono due cose diverse e vanno tenute rigorosamente separate.

Chiudersi in se stessi e rimuginare è sempre stato un veicolo per arrivare più presto alla pazzia.

La compagnia è essenziale, non solo per la bellezza della conversazione e l’utilità dello scambio d’idee.

Avere un cane e magari un gatto, se abbiamo spazio per poterli far stare bene.

Lasciamo perdere pesci rossi e tartarughine acquatiche, la vita che possiamo offrirgli sarà sempre sacrificata.

Poi gli amici, pochi ma buoni, non sposarsi, magari non fare nemmeno dei figli, ma avere una compagna.

 

Non aveva mai pensato di mettere su famiglia, perché ‘prima non lo sai e dopo scopri che sei condannato vita natural durante a fare lo schiavo’.

La vita moderna e la famiglia con sono compatibili, tanto meno se ci sono dei figli.

Però erano le donne che scartavano lui, giocando d’anticipo, giacché Gastão era tutto fuori che un buon partito e le donne, prima di ogni cosa, sono delle madri potenziali, cercano il buon partito, per via della continuazione della specie.

Se il buon partito non è disponibile alcune cercano cercano d’innamorarsi, ma restano deluse poi dall’impatto con la dura realtà.

Altre aspettano e diventano zittelle di fatto già a trentanni, spaventando d’acchito ogni eventuale e raro pretendente.

Il quarto tipo erano quelle che toccavano a lui, cioè quelle che capivano, appena oltre i venti anni, che le altre tre schiere, molto più numerose, erano idealiste e nichiliste allo stesso tempo, vale a dire poco pratiche.

Invece a loro bastava che il principe azzurro non fosse né un delinquente, né un mollusco troppo sognatore, uno che potesse piacergli un po’, insomma.

Con il quale fosse possibile abituarcisi e che potesse essere capace di condurre una vita finanziariamente appena dignitosa, una persona intelligente e magari anche un po’ imbranata.

Forse uno che non seguisse le mode, che avesse inventato una maniera di vivere alternativa, che passasse in diagonale tra le schiere di quelli che non se la sentivano mai di prendere iniziative proprie e non collaudate da altri milioni di pecore.

Ora, però, Gastão non si sentiva più fiero di essere uno che non seguiva le mode, perché il suo essere diverso, da qualche tempo, gli sembrava aver perso ogni fascino, insieme alla praticità.

 

Nel cervello umano, così come negli altri animali, esistono i cosiddetti neuroni specchio, che si attivano quando ci si incuriosisce vedendo un altro umano fare qualcosa.

L’istinto d’imitazione genera un impulso irresistibile, non si sa perché, ma dobbiamo copiare le azioni degli altri.

Specialmente se si vedono tante persone fare quella stessa cosa.

È un meccanismo di autopreservazione, non sempre funziona come dovrebbe, ma se si prende l’esempio di un gruppo di animali che fuggono dal fuoco, chi di loro che non ha visto il fuoco segue lo stesso e subito gli altri prima di vederlo, perché aspettare potrebbe essere letale, potrebbe essere troppo tardi.

Una volta l’ansia era determinata da fattori esterni, malattia o catastrofi naturali di vario tipo, ma nell’epoca moderna è imposta da noi stessi.

Le cose che causano preoccupazione, oggigiorno, sono molto meno legate alla sopravvivenza.

Quando il maggior pensiero degli uomini, intesi come umanità, smise di essere il loro destino dopo la morte (paradiso, purgatorio e inferno), loro cominciarono a creare valori e morali propri.

Questo causò una grande ansia.

L’uomo, inteso come umanità, ha più paura di perdere che voglia di vincere.

In cambio di una soluzione rapida il cervello umano accetta anche un danno maggiore.

Ecco l’ansia come manifesto invisibile, ma sempre presente in ogni sua azione o reazione, ozio o movimento che sia, dell’uomo inteso come umanità.

 

La competizione esiste anche tra gli animali, ma è una cosa occasionale, come per esempio per conquistare una femmina della stessa specie.

Per l’uomo però diventa ragione di vivere, filosofia di vita, in maniera del tutto artificiale e indotta dalla società, nella quale si è perso di vista da tempo quali siano i mezzi e quali gli scopi, nella quale l’apparenza conta più del contenuto, che spesso sotto non c’è nemmeno più.

 

Ecco perché Adele era difficile notarla.

Non che fosse brutta, ma era poco appariscente e in un mondo in cui la facciata conta più di ogni cosa, Gastão era influenzato nelle sue scelte, anche se non se ne rendeva conto.

Alla mensa universitaria, dove pranzava abusivamente ogni giorno feriale, quando la vide per la prima volta, il suo sguardo le scivolò sopra senza neanche registrarla.

Ma qualcosa di lei gli era rimasto inconsciamente dentro, perché la seconda volta la riconobbe.

La quinta volta ci fu un violento scontro di vassoi, magari involontario, ma desiderato da entrambi i lati, che li portò ad attaccare discorso.

Tutti e due arrossirono.

Lei portava un cappellino rosso e blu che doveva essere l’unico al mondo e che lui trovò assai piacevolmente fuori moda.

Si sedettero l’uno di fronte all’altra, ad uno dei lunghi tavoli, insieme a centinaia di studenti e ad una percentuale probabilmente minore di abusivi.

Un barbuto magro e un calvo grasso, al loro lato, stavano animatamente parlando della famosa `decrescita´.

Secondo il primo bisognava arrivare ad un crollo economico mondiale, per prendere in esame un così radicale cambiamento.

Il grasso invece tendeva a considerare impossibile che gli americani potessero permettere all’economia mondiale di arrivare ad un crack totale e generale, ma avrebbero mitigato gli effetti della guerra cambiaria e continuato a sfruttare il cittadino del globo terracqueo.

Prima di tutto sostituendo la valuta di carta straccia sfornata ad ogni bisogno, con qualcosa di equivalente ma più funzionale e più facilmente manipolabile, come la moneta unica mondiale o addirittura i microchip.

La gente avrebbe continuato a lavorare di più per guadagnare sempre di meno, i poveri sarebbero aumentati a dismisura e anche i ricchi sarebbero cresciuti di numero, ma molto meno dei poveri e di conseguenza con relativamente meno valori materiali a disposizione, giacché divisi in un gruppo più esteso.

La borghesia si sarebbe finalmente estinta.

- Visto? Il mondo sta cambiando.

Sussurrò allora lei, facendogli l’occhiolino.

- Beh, sì. C’è un bel venticello di primavera.

Sentì rispondere alla sua stessa voce.





Maurizio Bardoni
Maurizio Bardoni è un professore d'italiano che vive e lavora, il meno possibile, a Porto Alegre, nel sud del Brasile. Nato a Lucca, nel giugno del 1959, se ne è scappato appena se ne è accorto. Padre neuro-psichiatra, morto d’infarto nel 1996, madre insegnante elementare in pensione, un fratello designer, l’altro commercialista, entrambi più giovani di lui. Ha viaggiato abbastanza per convincersi che vuole viaggiare ancora. Conosce diverse lingue, ma alcune solo di vista. Secondo una delle sue bizzarre teorie, la lingua sarebbe uno dei modi più usati dagli umani per comunicare. Vive dal novembre del 1994 nel Rio Grande do Sul, e anche qui ha percorso in lungo e in largo lo stato per dare lezioni della sua prima lingua. La sua storia è stata densa di spostamenti e viaggi, pendolarismi di vario tipo, con ogni mezzo di trasporto, ma raramente in elicottero. Ha vissuto due anni a Berlino, gli ultimi del Muro, il quale poi è crollato, magari per caso, ma proprio quando lui se n'è tornato in Italia. Insomma la sua storia è quella di un emigrante alternativo, cioè uno di quelli usciti dall'Italia non solo per mancanza di soldi, forse più per rendersi conto di quello che c’era fuori.




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