La Lavagna Del Sabato 20 Febbraio 2010 LA LEGGENDARIA FONDAZIONE DI LISBONA Tratto da A Lenda da Fundação de Lisboa in As Lendas da Nossa Terra di Gentil Marques, 1955, citato da Alexandre de Carvalho Costa in Lendas, historietas, etimologias populares e outras etimologias respeitantes às cidades, vilas, aldeias e lugares de Portugal Continental, Lisboa, 1973 – Traduzione e commento a cura di Maria Serena Serra, in L’Odissea di Omero e I Lusiadi di Camões: Tradizione e innovazione, Pisa, 2009 Maria Serena Serra
Narra la leggenda che in tempi remoti la città di Lisbona non esisteva e tutta la costa aveva un nome strano e simbolico: Ofiusa, ossia terra dei serpenti. E i serpenti avevano la loro regina. Una strana regina, per metà donna e per metà serpente, signora dallo sguardo enigmatico e dalla voce quasi infantile. A volte saliva su un alto monte e gridava al vento perché potesse udire la sua voce:
-Questo è il mio regno! Io ne sono l’unica regina…nessun altro! Nessun uomo porrà qui i suoi piedi! I miei serpenti non gli lasceranno un attimo di respiro! Ma la regina si ingannava.
Un giorno, venuto da lontano, un eroe leggendario chiamato Ulisse, famoso per le sue abilità guerriere, approdò sullo stesso luogo su cui oggi si erge la città di Lisbona. Appena mise piede in terra, rimase stupito. I suoi occhi non si stancavano di ammirare le meraviglie di cui la natura si mostrava tanto prodiga. Riunì i suoi uomini e annunciò:
- Qui edificherò la città più bella dell’Universo! Le darò il mio nome…sarà Ulisseia, capitale del Mondo!
Ma subito comprese che l’impresa non sarebbe stata tanto facile. Molti dei suoi uomini morivano per i morsi dei serpenti…altri scomparivano. Nel frattempo, il nemico sconosciuto e occulto era in cerca di Ulisse. Il guerriero iniziava a perdere le speranze. Non era un codardo. Quasi amava il pericolo. Ma un pericolo visibile, palpabile. Non uno stillicidio come quello, così inglorioso. Un giorno gli giunse la triste notizia che uno dei suoi più cari amici era morto in circostanze molto strane. Ulisse salì su un’altura da cui dominava tutto il paesaggio e gridò forte, a pieni polmoni:
- Per tutti gli dei dell’Olimpo io vi sfido, nemico traditore e villano. Sono abituato alla lotta, ma viso a viso, con combattenti che non si nascondono nell’ombra! Mostratevi! Voglio vedervi!
Ma chiamava invano. Il nemico continuava a falciare vite e non si faceva mai vedere. Solo i sibili dei serpenti – sinfonie di rumori strani che inondavano la notte – mantenevano Ulisse in continua tensione nervosa. Un nemico simultaneamente presente e occulto era il problema cui Ulisse non riusciva a trovare soluzione. Il suo coraggio era enorme. Ma il suo valore lo era di più. E non riusciva a trovare una soluzione: come sterminare ciò che non si conosce? Quella sera il sole stava tramontando quando il guerriero salì su un’altura gridando nuovamente:
- Ah! Potrei fare tutto ciò che vuoi, nemico invisibile! Ma non abbandonerei mai questa terra senza lasciarvi la più famosa città edificata finora! Hai sentito bene cosa ti ho detto?
Udì un terribile e profondo silenzio. E, all’istante, sbucò una strana donna, che aveva qualcosa di serpente. Ulisse rimase a guardarla sorpreso e ascoltò la sua voce attraente ma incisiva:
- E se io mi opponessi ai tuoi disegni? Se ti dicessi, visitatore, che la tua volontà non vale nulla entro i miei domini?
Con crescente sorpresa, Ulisse chiese:
- Ma chi siete, signora? Per questa luce che illumina i miei occhi, vi giuro che non ho mai visto niente di simile a voi! Chi siete?
Serenamente, ella rispose:
- Sono la regina di questa terra! La regina di Ofiusa, il regno dei serpenti!
Il volto di Ulisse si animò in un sorriso. Il primo, dacché il nemico aveva iniziato ad attaccarlo. Ma non era un sorriso felice. Aveva qualcosa di enigmatico che gli dava uno strano sapore. Si avvicinò alla donna che gli parlava. La scrutò bene in viso, con una minuzia quasi eccitante, e dichiarò:
- ora comprendo perché siete così! Avete, in verità, la grazia felina dei serpenti…il vostro parlare è dolce…il vostro sguardo è intenso…
La donna sorrise. E la sua voce tornò a farsi insinuante:
- Notate il mio sguardo intenso? Ma io non sono come credete, nobile navigante! Per giorni e notti ho atteso la vostra resa. Siete stato coraggioso…ho imparato ad ammirarvi!
Ulisse si piegò a un complimento:
- Grato per le vostre parole, signora…nel mio paese le donne non sanno parlare così!
Lei lo guardò intenzionalmente:
- Qui, nella mia terra…si sente la mancanza di un re!
Il guerriero sorrise:
- Potete spiegarvi meglio?
Lo sguardo di lei era fisso in quello di lui come in un incantesimo.
- credete sia necessario, nobile navigante? Non avete già compreso il mio desiderio?
Senza smettere di fissarla, Ulisse, giovane e valoroso guerriero, le parlò un po’ spiazzato:
- Preferirei foste voi ad esporre il vostro piano.
Gli sorrise apertamente:
- Bene. Penso che possiate edificare qui questa città che avete sognato, ma ad una condizione. Rimarrete a vivere qui per sempre!
Egli, con il suo spirito di indipendenza, tentò ancora di opporsi:
- E se non potessi accettare la vostra condizione?
La regina fece un gesto evasivo:
- Che voi accettaste o no, nobile navigatore, cambierebbe poco.
Silenzio. Non riuscì a risponderle. La regina, consapevole del proprio trionfo, continuava a incantarlo nel suo sguardo enigmatico. Vinto, Ulisse mormorò:
- Bene…accetto.
A partire da quel giorno, tutto si modificò in quella terra strana e bella dove Ulisse era approdato. Sbarcarono uomini, mezzi, materiali. Con grande sforzo si costruirono edifici, si aprirono giardini, strade. I serpenti non attaccavano più gli operai. Adesso le donne–serpente si riunivano a cantare mentre gli uomini lavoravano. Canti fattucchieri che avevano un non so che di magico…
Qualche tempo passò e Ulisse, l’irrequieto Ulisse, non voleva più restare lì. La sua terra lo chiamava. E nonostante quella città avesse il nome di ULISSEIA, consacrandolo come proprio signore, la verità è che il destino di Ulisse era un destino di avventura. Aveva nostalgia del mare e sete di nuove battaglie. Ma partire non era facile. C’era un grande, enorme ostacolo quasi impossibile da superare: la regina dei serpenti che lo adorava e lo voleva con sé.
Come ben si sa, in tutti i tempi sono esistiti coloro cui piace svelare segreti che non gli appartengono. E così, arrivò all’orecchio della regina che Ulisse voleva lasciarla. Disperata, lo ammonì gravemente:
- Non ti lascerò mai partire!Guardami bene…nei miei occhi puoi leggere l’amore…o la morte!
Egli vide bene quanto erano veritiere le sue parole, e pensò che doveva mentirle per portare avanti il proprio progetto di fuga. E sorridendole il più dolcemente possibile, replicò:
- Ma chi ti ha raccontato simili fandonie! Nessuna idea del genere mi è mai passata per la testa. Non vedi come sono felice con te? Guarda com’è bella la città che abbiamo edificato!
Il dialogo continuò tra dubbi e false carinerie.
- Ulisse, non mi mentire! Sarebbe peggio per te! Il mio odio sarà tanto grande quanto il mio amore!
- Tu vaneggi! Non sono forse qui re e signore? Perché dovrei voler partire?
- Mi hanno detto che hai saudade della tua terra!
- Ti hanno mentito!
- E con che intenzione?
- Con quella di dividerci! Noi due, insieme, siamo una muraglia invincibile.
- Dici bene! Uniti, nessuno riuscirà a sconfiggerci! Ma ti vedo, a volte, così pensieroso con lo sguardo perso nell’Oceano…sento che desideri nuove avventure…
- Che idea! Io preferisco leggere l’amore nei tuoi occhi. Non voglio odio.
- Nel frattempo, sento che stai fuggendo da me.
- Questa è una tua convinzione! Senti, stasera faremo una bella passeggiata, come nei primi giorni del nostro amore. Ti va?
- Sì, Ulisse! Ma non scordarlo: il mio amore è grande ma il mio odio può esserlo anche di più!
Le sorrise. Arrivò qualcuno e la conversazione rimase sospesa. Lentamente, la regina andò calmandosi…
Ulisse preparò tutto per quella notte. Voleva fuggire e perciò gli occorreva un piano ben organizzato. Chiamò dunque il più fedele dei suoi compagni e gli disse:
- Mi serve il tuo aiuto…
Il fedele compagno gli rispose con la solennità dei grandi momenti:
- Puoi contare su di me sempre! Disponi della mia vita se ti occorre.
- Non chiedo tanto..mi serve solo che tu faccia in modo che gli altri ti confondano con me.
- È facile, siamo della stessa statura!
- Sì, ma non dimenticare che si tratta di ingannare una donna…e il cuore delle donne è ben difficile da ingannare!
Il compagno di Ulisse abbassò il tono di voce:
- Comprendo…vuoi fuggire da lei stanotte!
Ulisse sorrise felice.
- Proprio così. Ho già un piano. Andrai a prenderla e farai qualche passeggiata con lei, che mi aspetta. Intanto, io fuggirò.
- Che gli dei ci proteggano!
All’inizio, tutto andò come Ulisse aveva previsto. Il suo fedele compagno, ben mascherato, andò a prendere la regina dei serpenti e la portò a passeggiare lungo il fiume, al chiaro di luna. Ma parlava solo lei, poiché egli temeva che potesse riconoscergli la voce. Inebetita dall’amore, la regina diceva:
- Costruiremo un Impero immenso. E la tua Ulisseia – la nostra Ulisseia – sarà a capo del mondo! Che dici? Ma non parli? Non dici nulla? Perché?
La donna serpente iniziò a inquietarsi.
- Guardami! Voglio vedere i tuoi occhi! Tu mi nascondi qualcosa!
Egli tentò di allontanarsi, Ma la regina gli scoprì il volto e, rendendosi conto dell’inganno subito, gridò furiosa:
- Ah, villano! Sono stata tradita, ingannata! Ma tu morirai e anche lui! Muori! Questo è il tuo castigo. Ricevi il mio veleno!
Il compagno di Ulisse cadde a terra dopo un urlo. Lei gli si curvò sopra:
- Dimmi la verità: dov’è Ulisse?
Nel delirio, il giovane compagno di Ulisse, che stava dando la vita per la libertà dell’amico, balbettò:
- È fuggito via mare…sarà già lontano…
La regina pregò a denti stretti:
- Maledetto! Mille volte maledetto! Devo raggiungerlo, costi quel che costi!
E narra la leggenda che, in uno sforzo superiore alle sue possibilità, la regina tentò di allungarsi sulla città per raggiungere il mare. Ma quell’inutile tentativo – Ulisse era già lontano – la portò alla morte. E come simbolo dello sforzo fatto rimasero le sette colline di Lisbona, disegnate dalle contorsioni finali della povera Regina dei serpenti. Spaventati, questi fuggirono. Ma lì, nell’antico regno del veleno e della morte, rimase edificata, tra le sue sette colline, la più bella città di allora.
Corre l’obbligo di notare, in questa leggenda, alcuni particolari che, se considerati nella loro valenza simbolica, spingono a considerare l’arrivo di Ulisse a Ofiusa indice di un principio ordinatore, cosmogonico diremmo, che trasforma appunto il caos archetipico in cosmo.
Tale caos iniziale è sottolineato da una peculiarità: a Ofiusa regna una regina dalle strane fattezze, metà donna e metà serpente. Questi due elementi sono fortemente indicativi di una caoticità latente.
La presenza femminea, in primo luogo, rimanda all’archetipo del matriarcato, tipico delle civiltà mediterranee arcaiche. Pur senza addentrarci nelle diatribe riguardanti le teorizzazioni sulla ginecocrazia, è comunque assodato che l’esistenza del matriarcato rimane un’ipotesi convenzionale, fondata su un’esigua base d’indagine e connotata per queste ragioni da una forte instabilità [1].
In seconda istanza, la presenza dei serpenti. Il serpente, nelle società matriarcali africane, viene considerato signore delle donne e della fecondità. La natura si mostra feconda a Ulisse, prodiga di meraviglie, e quando l’eroe giunge in questa terra rimane stupito da tanta bellezza. A ciò aggiungiamo la considerazione che, sia nella cultura greca che in quella egizia, il serpente è colto nella sua doppiezza: è temuto in quanto ha il potere di ricondurre il cosmo nel caos iniziale dell'indifferenziato, ma è anche apprezzato e venerato poiché rappresenta l'altra faccia dello spirito, il vivificante, l'ispiratore della vita.
Il binomio donna – serpente, dunque, e la crasi, potremmo dire, che di questi due elementi si verifica nella regina, caratterizza il caos che precede l’arrivo di Ulisse, anzi, lo personifica in sé. In Ofiusa c’era vita prima che Ulisse vi approdasse, una vita organizzata secondo un ordine presunto – il matriarcato -, e connotata da una fecondità di natura caotica – il serpente - simbolo al contempo di fecondità e di caos.
La presenza di Ulisse che decide di edificare una città introduce in queste dinamiche ancestrali un ordine nuovo, ma non basta. È necessario infatti che la regina soccomba affinché il cosmo possa sopraffare definitivamente il caos e instaurarsi definitivamente.
L’eziologia affonda le proprie radici in un’epoca antica. Ma proprio da questa storia – e dalle sue varianti, spesso in contrasto tra loro - prende l’avvio una fortunata tradizione che, lungo il corso dei secoli, testimonia il legame a doppio filo che unisce il grande eroe Odisseo alla capitale del Portogallo.
[1] Per una visione d’insieme riguardante gli studi sul matriarcato: Johann Jakob Bachofen, Il matriarcato, Torino, Einaudi, 1988; Joseph Campbell, Le figure del mito, Red/Studio Redazionale, 1991; Joseph Campbell et alii, I nomi della Dea, Astrolabio, Milano, 1991; Robert Graves, I miti greci, Longanesi & C., 1983.
Maria Serena Serra è laureata in Letterature e Filologie Europee all'Università di Pisa. L'autrice può essere contattata all'indirizzo mail serra.m@libero.it. home |