La Lavagna Del Sabato 05 Maggio 2012 ERESIE CORROSIVE RIFLESSE SULL'ACQUA Lo scrittore è scomparso domenica dopo una breve malattia a Lisbona. L'esplorazione del sottile diaframma tra vero e finzione si alterna nei suoi libri ai toni ironici del polemista. Contraddizioni, forse soltanto apparenti, di una complessa avventura intellettuale Remo Ceserani
Antonio Tabucchi ha lasciato la comunità di noi mortali nella sua malinconica, amatissima Lisbona, «fatta di luce e marmi, e dell'acqua per rifletterli», come scriveva Baudelaire in un poème en prose, ripreso da Tabucchi in un enigmatico racconto: Anywhere out of the world. Quei marmi e quei riflessi d'acque sono solo in parte diversi da quelli proiettati dai palazzi che fiancheggiano gli altri due fiumi cari ad Antonio: l'Arno che forma una grande ansa sui lungarni pisani e la Senna con le sue ampie giravolte parigine. In quei liquidi paesaggi cittadini e nei loro riflessi andranno cercate le motivazioni profonde del lavoro di scrittore di Antonio, quelle che hanno a lungo suscitato l'ammirazione e le perplessità interpretative dei suoi lettori e dei suoi critici (gli ammiratori, secondo uno schema che è comune a molti scrittori italiani, sono molto più numerosi all'estero che in patria - proprio mentre scrivo questo articolo, ricevo due messaggi di costernazione e dolore da due lontanissimi ammiratori di Tabucchi: uno dalla Pennsylvania e l'altro da Tokio). Angosce e ossessioni I suoi critici sono stati chiamati a sbrogliare, faticosamente e per ora con discutibile successo, una serie di problemi: è vero che Tabucchi è un autore dal respiro breve, più adatto per i racconti che per i romanzi, come dimostrerebbero le prime raccolte (Il gioco del rovescio, Donna di Porto Pim, Piccoli equivoci senza importanza), forse i primi romanzi brevi, come Notturno indiano e Il filo dell'orizzonte, forse le due ultime raccolte, come Si sta facendo sempre più tardi e Il tempo invecchia in fretta? È vero che si possono distinguere due fasi nella carriera di scrittore di Tabucchi, una prima fase sperimentale e raffinata (che ha suscitato ammirazione fra i critici più esigenti) e, dopo Sostiene Pereira e La testa perduta di Damasceno Monteiro, una fase di minore tensione letteraria e di corteggiamento dei gusti di un pubblico più ampio e internazionale? E che posto dare, in quel troppo facile schema, a un romanzo iniziale, meno sperimentale e però assai intenso, come Piazza d'Italia? E dove collocare il «romanzo portoghese» di Tabucchi (uscito in italiano in una traduzione non sua) Requiem, che sembrerebbe parlare soprattutto di Lisbona e dell'amatissimo Pessoa, ma parla anche, e molto, del suo paese natale, della sua famiglia, delle sue angosce e ossessioni? E poi, che dire del Piccolo naviglio, di Donna di Porto Pim, dei Volatili del beato Angelico, dell'Angelo nero, di Sogni di sogni, di Tristano muore, dei Racconti con figure, degli scritti d'impostazione saggistica e di polemica politica e culturale? E, a proposito di questi ultimi, spesso pubblicati su grandi giornali stranieri come «Le Monde» e «El País», cosa pensare? L'impegno rivendicato E poi, una volta accertato, nei racconti, in Notturno indiano, nel Filo dell'orizzonte, il modo originale con cui sono trattati i temi della problematicità di ogni forma di conoscenza, della soggettività estrema di ogni rappresentazione del reale, del gioco del rovescio, della mobilità del filo dell'orizzonte, dell'indeterminatezza di ogni distinzione epistemologica tra realtà e finzione, come conciliare tutto questo con le prese di posizione politico-sociali, tutte basate su sicurezze ideologiche ferme, su principi morali saldissimi, sulla rivendicazione dell'impegno conoscitivo e del ruolo legislativo di ogni vero intellettuale, sulla presenza, in libri come La gastrite di Platone, Gli zingari e il Rinascimento, L'oca al passo di certezze morali esposte in uno stile di denuncia sferzante che ricorda i modelli di grandi intellettuali come Hugo, Zola, Sartre, Orwell, il nostro Pintor (e molto meno l'ombroso, sfuggente, e pur carissimo Pessoa)? Bisognerà continuare a interrogarsi su queste, forse solo apparenti, contraddizioni, e cercarne le origini in un'avventura intellettuale molto più complessa di quanto possa a prima vista apparire. Sfoghi di umor nero Il percorso di Tabucchi non ha seguito la facile linea (coincidente con quella di tanti altri intellettuali italiani e non solo) che lo ha portato dalla piccola Pisa colta e provinciale, addirittura dal borgo di Vecchiano e dalla combriccola degli amici di Avane, alla grande Parigi, capitale intellettuale europea. Una volta giunto lì, e divenuto un tipico intellettuale francese, egli d'improvviso, imitando le mosse del cavallo e ispirato da qualche incontro fortuito sui banchi dei bouquinistes del quartiere latino (e da un incontro con una giovane bella e intelligente portoghese, Maria José de Lancastre, che sarebbe diventata ottima lusitanista e sua compagna di vita), ha scartato in direzione di Lisbona, e poi da lì ha seguito sempre percorsi molto personali e idiosincratici, che lo hanno portato a Genova, Goa, Creta, Tokio, Berlino, al Bard College di Annandale, a New York e in tanti altri luoghi: sfondi di incontri ed esperienze personali (Viaggi e altri viaggi) e sfondi dei suoi racconti. In realtà, i suoi interventi di argomento etico-politico nascondono un temperamento solo apparentemente aggressivo, e semmai sono uno sfogo di umor nero, un sentimento disperato di scontentezza di come vanno le cose nel mondo, un desolante rifiuto di molte degenerazioni della nostra società. Vengono messe in discussione, forse con un attaccamento nostalgico alle tradizioni anarchiche delle sue terre, anche le istituzioni della sinistra, che vengono trattate con spirito corsaro. E poi va tenuto conto della qualità sempre molto alta della sua scrittura, sempre fluida, sempre eticamente controllata. In L'oca al passo egli prende decisamente le difese del linguaggio letterario, inteso come strumento fondamentale di analisi della realtà e di scavo del «profondo delle cose», d'altra parte sa bene che le cose hanno una logica loro, diversa e sfuggente rispetto a quella di chi le rappresenta. In quel testo Tabucchi parla della grande tradizione comica e burlesca, allinea i nomi di alcuni scrittori del canone espressionista italiano, da Dante a Gadda, da Belli a Porta. E però il suo stile, nei testi d'argomento etico-politico, non è tendenzialmente comico ed espressionistico, è semmai corrosivo e satirico, come in Machiavelli e Swift, ironico e quasi lunatico come in Pirandello e Nanni Moretti, tendenzialmente eretico, come in Camus e Pasolini. C'è contraddizione fra questi atteggiamenti e i suoi esperimenti narrativi? Non so. Un libro-chiave nella carriera di scrittore di Tabucchi è Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori, in cui affronta il tema della fragile distinzione fra realtà e finzione e dà ragione della presenza ricorrente nei suoi libri, accanto alle memorie autobiografiche e alle rappresentazioni di cose ed eventi, di trame complesse, situazioni ambigue, allusioni, enigmi, rebus insolvibili, sogni notturni, incubazioni, allucinazioni diurne, ossessioni letterarie. Personaggi all'osteria A un certo punto egli racconta, a proposito della versione cinematografica di una storia di Donna di Porto Pim girata dal regista Toni Salgot sulla costa cantabrica, di avere un giorno fatto visita al set e di avere perso il senso della distinzione tra finzione e realtà, quando ha visto un giovanotto scendere verso la spiaggia in bicicletta e con un lungo bastone in spalla. Si tratta di un episodio emblematico: «Quando mi è passato vicino l'ho riconosciuto perfettamente. Era il giovane Lucas Eduino, il baleniere della mia storia. E sulla spalla non portava un bastone, ma un terribile arpione da baleniere con la punta di acciaio che scintillava al chiar di luna. In quel momento ho capito tutto. Ho capito che stava per succedere l'irreparabile, è stato più forte di me e gli sono corso dietro. Lucas, ho gridato, ti prego, non lo fare, te ne pentirai per tutta la vita, guarda che la storia che stai seguendo non è vera, me la sono inventata io, te lo giuro, ho sempre fatto credere che me l'avesse raccontata un vero baleniere, ma me la sono inventata di sana pianta, la tua storia non esiste!». Affiora qui il tema, decisamente pirandelliano, del rapporto fra il Tabucchi narratore e i suoi personaggi. Questi vengono a bussare alla sua porta, o ad abitare i suoi sogni notturni. Si travestono da Fernando Pessoa, grande esperto in travestimenti, o impersonano l'immagine fantasmatica del padre, come avviene in Requiem. Essi addirittura prendono la penna e rivendicano, scrivendo al regista portoghese Fernando Lopes, autore di una versione cinematografica del Filo dell'orizzonte, di essere stati la vera origine della storia di Spino, il protagonista del libro, e di avere raccontato la propria vita un giorno a Tabucchi, durante una cena in un'osteria genovese. Lettere senza risposta I personaggi prendono la parola evitando i filtri predisposti dal narratore, pronunciano monologhi, «sostengono» le loro tesi e danno la loro versione dei fatti, raccontano «autobiografie altrui», scrivono lettere che non hanno risposta e che servono proprio, assumendo ogni volta un proprio tono di voce e una propria interpretazione del mondo, a costruire se stessi e la propria vita, sfuggendo ai vincoli imposti dall'autorità dello scrittore. Tratto da Il Manifesto del 27 Marzo 2012 Remo Ceserani è stato professore di letterature comparate in varie università di tutto il mondo, spesso in qualità di professore ospite. Si ricordino in particolare i lunghi periodi a Pisa e, più recentemente, a Bologna. Ceserani è inoltre autori di numerosi lavori riguardanti la teoria letteraria e la critica tematica, fra i quali Raccontare il postmoderno (1999) e Il materiale e l'immaginario (1978, con Lidia De Federicis), opera in dieci volume con intento didattico. Dal semestre autunnale 2007 Ceserani è professore ospite al Politecnico di Zurigo, dove ha proposto il corso Il postmoderno in Italia. home |