La Lavagna Del Sabato 17 Marzo 2012 HANNO TUTTI UNA TEORIA PRÊT-À-PORTER SUL BUON GOVERNO Gabriella Montanari
A due mesi dalle elezioni presidenziali, basta scendere in strada o entrare in una brasserie del centro o della banlieue di Parigi, per rendersi conto che, nell’anno 2012 d.C., i francesi sono ancora in attesa del Messia. Sopra e sotto i ponti della Senna, lungo i cunicoli della metropolitana e delle catacombe, nelle piazze ombreggiate da obelischi e statue equestri, ovunque, si respira un’aria di mistica attesa. Un occhio al cielo e l’altro al borsellino sempre più leggero, i cugini d’oltralpe scrutano al di là degli orizzonti dei sondaggi, scommettono su vincenti e piazzati, scongiurano con rituali ed esorcismi la caduta di stile ellenico. Fornai, enarchi, coiffeurs e banchieri hanno tutti una teoria prêt-à-porter sul buon governo e improvvisano, sulle terrazze dei boulevards, tavole rotonde sui candidati alla presidenza e sull’aumento ingiustificato del prezzo della baguette. Nelle classi di prima elementare i bambini interrogano le maestre su chi salverà la Francia dalla disoccupazione di massa, dall’insolvibilità dello Stato e dalla perdita di competitività sui mercati esteri. Non si può negare l’evidenza: nell’ex Gallia di Asterix et Obelix la res publica è ancora affar serio... I francesi, ipocondriaci della politica e contaminati dal virus del dibattito, passano il loro tempo ad auscultarsi, a tastarsi il polso reciprocamente e a sottoporsi a regolari check-up per diagnosticare i loro mali e quelli dello Stato. L’ottimismo dei Lumi non è che un fioco ricordo che ha lasciato il posto, tanto ai vertici della funzione pubblica quanto alle catene di montaggio della Renault, al dubbio dilagante. Una cosa però è certa: i più non hanno perso la fede, ancora credono o sperano nella venuta del Salvatore che, se anche non potrà far rivivere al paese i fasti delle corti del Re Sole o di Napoleone I, gli assicurerà un dignitoso avvenire in Europa. Tuttavia, il disincanto e la sfiducia nelle istituzioni non smettono di conquistare animi e terreno. Il popolo francese ha da sempe professato il culto dell’uomo provvidenziale. Il Presidente della Repubblica vanta poteri di cui non gode alcun altro capo di Stato europeo. La funzione presidenziale è circondata da un alone di sacralità alla cui formazione hanno concorso l’eredità monarchica e l’affermazione perentoria del principio di laicità. A guardar bene è impossibile non scorgere, dietro la figura del Presidente della Repubblica, l’ombra del re ghigliottinato... E la religione, cacciata fuori dalla porta dell’Eliseo con la legge di separazione tra Stato e Chiesa, non è forse rientrata dalla finestra sotto forma di fervore collettivo attorno alla missione presidenziale? A chi ancora dubitasse della connotazione sacramentale dell’elezione del capo di Stato, basti sapere che, giuridicamente parlando, il candidato “riceve l’unzione del suffragio universale diretto”. Come un cresimando (e, si spera, non come un morituro), l’uomo scelto per governare il paese viene consacrato con l’olio del popolo, benedetto e quasi trasfigurato in re taumaturgo animato dalla volontà di potenza. Qualcosa a metà tra il carolingio Pipino il Breve e il superuomo di Nietzsche. Nel 2007 da questa ceremonia ne uscì consacrato, con tutti i crismi, Nicolas Sarkozy. Oggi, allo scadere di un quinquennio che forse non spetta a noi italiani (lesmacaroni, lesritals) giudicare, il Presidente in carica formula ufficialmente la sua candidatura ad un nuovo mandato, sentendosi, con tutta evidenza, forte di un bilancio di governo ai suoi occhi più che decoroso. Perché mai, si starà chiedendo, un 60% d’ingrati connazionali persiste nel dichiararsi insoddisfatto e deluso dalla sua performance? Questa volta Sarko, alias ‘Le Petit Nicolas’, non si limita a promettere ai borghesi delle Rives Droite e Gauche grandi pulizie di primavera nelle focose periferie parigine, infestate da plebaglia ed extracomunitari. Questa volta gioca la carta dell’eroe predestinato a proteggere il paese dalle conseguenze della crisi congiunturale e a salvarlo dal rischio di retrocessione in zona PIIGS, o GIPSI che dir si voglia. Bulimico d’azione e di propositi, autoritario e sprezzante dall’alto dei suoi 165 cm tacco incluso, Sarkozy è l’Iper-Presidente, l’Armageddon che avrà anche conquistato il cuore della nostrana ‘Reine’Carlà, al cui palmarèsmancava solo l’uomo con il fascino del potere dell’arma nucleare, ma non certo quello dei sudditi... Allora in cosa, o meglio, in chi sperare? A che santo votarsi alle urne di aprile e maggio prossimi? I bookmakers danno per favorito il socialista François Hollande, vincitore delle primarie dello scorso ottobre dopo la sorprendente ed inattesa (non certo per lui ma per i milioni di francesi pseudo-ignari) caduta agli inferi del lussurioso DSK. Hollande, alias ‘Flamby’, criticato dagli avversari per la sua ossessiva tendenza al compromesso e al dialogo e per la mancanza di “tono muscolare”, si candida per una “presidenza normale”. Interessante ed audace ossimoro... Da Marsiglia Sarkozy si autoproclama “candidato del popolo contro le élites”(ben inteso, quelle stesse che siedono comodamente sulle poltrone dei suoi gabinetti ministeriali) e da Bourget l’avversario gli fa eco con un ironico “sì, il popolo di quelli coi soldi”. Ma questo benedetto popolo che immagine ha di loro? Ormai tutti parlano di Sarkozy il Pompiere, che appicca lui stesso il fuoco per poi vantarsi di essere stato il primo a spegnerlo, e di Hollande il Muratore che, mattone dopo mattone, erige il suo muro con lentezza e perseveranza. Ma come? Il mercato politico francese non offre altre valide alternative? Alcuni dei candidati hanno già gettato la spugna o preso partito per l’uno o l’altro dei papabili all’Eliseo. Altri, tra cui gli esponenti della sinistra radicale e della destra populista, decideranno se cedere o meno alle lusinghe e alle promesse dei candidati, bisognosi dei voti anche più estremi. Intanto, mentre i grandi d’Europa si sentono autorizzati ad ingerire nelle faccende domestiche dell’Esagono, il francese medio continua a bere Perrier-citron, a non sorridere (Cocteau docet) e ad andare ai concerti dell’ormai settantenne Johnny Hallyday. Forse una buona lettura lo aiuterebbe ad ingannare l’attesa in maniera più edificante... A proposito di letture, una leggenda metropolitana vuole che Sarkozy faccia sfoggio sulla sua scrivania delle opere di Céline, le cui citazioni abbondano sulla bocca del Presidente tanto quanto i tic nervosi. Quanto a Hollande, al pover’uomo è stata recapitata una lettera che, oltre ad un’esplicita minaccia di morte accompagnata dallo schizzo di una tomba e da una pallottola, riporta un breve estratto dall’opera di Boris Vian che suona come una, nemmeno tanto oscura, profezia: “Un’ape di rame caldo lo fulminerà sul podio della sua arroganza”. Infine, in casa Le Pen, mentre il pirata dall’occhio di vetro declama ai quattro venti i versi antisemiti di Robert Brasillach, lo scrittore collaborazionista fucilato durante la Liberazione, la figlia dichiara la sua passione per Baudelaire pur assicurando di non essere una drogata affetta da sifilide. Vai a capire il nesso... Malgrado il quadro generale non proprio all’altezza dell’antica grandeur, resta intatta la fiducia nella capacità della Francia di scendere in piazza a battersi per un ideale. Male che vada le basterà canticchiare il ritornello de “L’Opportuniste” di Dutronc e “retourner sa veste toujours du bon côté” Tratto dal blog www.storie.it – Le Mag Gabriella Montanari, classe '71, secondo fonti certe è originaria di Lugo di Romagna, ma pare sia ancora in cerca di patria. Passata per la facoltà di lettere dell'università di Bologna, le arti ornamentali e il fumetto a Roma, la Confindustria a Ravenna e l'euroburocrazia a Bruxelles, ancora esita su quel che farà durante i suoi secondi quarant'anni. Della scrittura, in particolare la poesia, ha più volte provato a liberarsi, senza successo. Pittrice, scultrice e fotografa tra l'India e la Cina, si è momentaneamente accampata a Parigi dove collabora con riviste letterarie francesi ed italiane, traduce dall'inglese e dal francese (le anime affini) e scrive (di sé e delle anime affini). home |