NAUFRAGIO Max Hastings (…) Gli equipaggi provenivano da molti paesi; anche se alcuni giovani inglesi scelsero di prestare servizio nella marina mercantile piuttosto che essere arruolati nelle forze armate, sarebbe difficile sostenere che questa rappresentasse un'opzione facile: alcuni marinai furono costretti ad abbandonare la nave per 2 o 3 volte. Michael Page descrisse così una simile esperienza, nel buio dell'Atlantico: Un attimo eravamo di guardia sul ponte o nella sala macchine, oppure comodamente addormentati nelle nostre cuccette; l'attimo dopo eravamo impegnati a raggiungere i nostri posti in affanno, nel buio che ci assaliva con raffiche di spruzzi gelati, e scivolavamo e cadevamo sul ponte di ferro bagnato che si inclinava sempre più velocemente verso il mare affamato ogni secondo che passava [...]. «Che succede? Che succede?» continuava a chiedere qualcuno con un grido acuto, pieno di stupore angoscioso [...]. Cercammo di sciogliere le corde irrigidite e caricare l'ingombrante equipaggiamento sulla scialuppa, in una specie di frenesia [ ... ] . La scialuppa fu abbassata, in un modo o nell'altro, e noi cercammo di salirci sopra. Qualcuno ci riuscì, qualcun altro no — avevano calcolato male la distanza prima di saltare. «Molla!» gridò qualcuno quando la scialuppa sembrò piena, e altri ripeterono il grido, al quale però risposero subito altre urla sopra di noi: «No, no, aspetta! Aspetta un attimo!» Un corpo più scuro precipitò nel buio e finì tra le onde sollevando uno spruzzo tremendo, per poi riapparire, mettersi a nuotare verso la scialuppa e aggrapparsi al parapetto [... ] . Un'ondata sommerse la scialuppa, inzuppando noi e riempiendola d'acqua; restammo a bocca aperta e cominciammo a sputare quell'acqua gelida [...]. Qualcuno sciolse subito la gomena [...]. Lo sa Dio se poteva salire ancora qualcun altro; noi ci allontanammo dal mercantile in un istante. Anche quelli abbastanza fortunati da sopravvivere a un naufragio spesso dovettero affrontare i rischi della permanenza sulle scialuppe, come accadde ai superstiti della nave carboniera inglese Anglo-Saxon. L'incrociatore ausiliario tedesco Widder affondò la Anglo-Saxon 810 miglia a ovest delle Canarie, la notte del 21 agosto 1940, poi mitragliò la maggior parte dei naufraghi in acqua. Solo una piccola lancia riuscì a fuggire, con il primo ufficiale C.B. Denny e altri sei uomini. All'alba fecero il punto della situazione, e scoprirono che sulla lancia c'era una piccola scorta d'acqua, un po' di gallette e un po' di cibo in scatola. Diversi uomini erano stati colpiti dal fuoco tedesco. Pilcher, il marconista, aveva un piede ridotto in poltiglia. Penny, un mitragliere di mezza età, era ferito al fianco e al polso. Per i primi giorni, navigando verso ovest, il morale sulla barca rimase alto. Il 26 agosto, tuttavia, agli uomini sembrava di andare a fuoco, e soffrivano la sete. Il piede di Pilcher era andato in cancrena – si scusò con gli altri per il fetore. Denny scrisse sul libro di bordo: «Speriamo di toccare terra [...] a Dio piacendo, e con la classica determinazione degli inglesi». In seguito, tuttavia, le loro condizioni peggiorarono rapidamente. Pilcher morì il 27. Denny perse il controllo. Penny, indebolito dalle ferite, una notte scivolò in mare mentre era al timone. Due giovani marinai, che non si piacevano, cominciarono a litigare. Il tredicesimo giorno che passavano in mare persero il timone. Questa fu l'ultima goccia per Denny, che espresse il desiderio di farla finita. Diede un anello con sigillo a uno degli altri, perché lo consegnasse alla madre, e poi lui e il terzo ingegnere si gettarono insieme in mare, e alla fine si allontanarono dalla lancia. La sera del 9 settembre, un cuoco che si chiamava Morgan si alzò all'improvviso e disse: «Vado in fondo alla strada a bere qualcosa», scavalcando il parapetto e lasciandosi alle spalle soltanto i due giovani marinai litigiosi. Toccò a Wilbert Widdicombe, ventun anni, annotare succintamente sul libro di bordo: «Il cuoco impazzisce; muore». Una volta, nei giorni seguenti, anche i due giovani saltarono in acqua. Dopo aver discusso, tuttavia, ci ripensarono e tornarono sulla lancia. Poco dopo, una tempesta tropicale placò la loro sete; mangiarono alcune alghe, portate alla deriva sulle onde, e alcuni granchi che vi si erano aggrappati. Dopo essere sopravvissuti a vari momenti di maltempo e a molti litigi, il 27 ottobre intravidero una spiaggia scintillante. I due naufraghi scesero a terra barcollando, su Eleuthera, nelle Bahama, dopo aver percorso 2.275 miglia. Dopo mesi di ricovero in ospedale e di convalescenza, nel febbraio 1941 Widdicombe tornò a casa – e morì da passeggero del cargo Siamese Prince, affondato dal siluro di un U-boat. Il suo compagno di sventura, il diciannovenne Robert Tapscott, prestò servizio nell'esercito canadese, sopravvisse alla guerra e poté testimoniare al processo al capitano della Widder, accusato di aver massacrato i naufraghi della Anglo-Saxon e di altre navi; il tedesco fu condannato a 7 anni di carcere. Gli orrori vissuti da Tapscott e dai suoi compagni si ripeterono centinaia di volte nel corso della guerra in mare, e spesso non sopravvisse nessuno per raccontare la propria storia. Brano tratto dal saggio storico Inferno – Il mondo in guerra (1939-1945), Neri Pozza editore, Vicenza, 2011. Traduzione di Roberto Serrai. Inglese, Sir Max Hastings scrive per il Daily Mail e il Financial Times. Ha ricevuto numerosi premi per i suoi libri e le sue inchieste – Reporter of the Year nel 1982 e Editor Of The Year nel 1988. Nel 2008 ha ottenuto la Medaglia Westminster per il suo contributo alla letteratura militare, e nel 2009 l’Edgar Wallace Trophy del Press Club di Londra. Ha presentato numerosi documentari televisivi ed è stato insignito di lauree honoris causa dalle università di Leicester e Nottingham. È stato promotore e presidente della Campagna per la protezione dell’Inghilterra rurale (2002-2007) e curatore e amministratore della National Portrait Gallery (1995-2004). Ha sessantasei anni e vive con la moglie nel West Berkshire.
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