UNA STORIA ERETICA Branko Ćopić Villa grande, da tutte le parti circondata da mura e aperta solo verso il mare, sorge vicino ad una sassaia screpolata e ripida. Faccio fatica a vederla, nascosta tra pini e cipressi. L’hanno costruita nei tempi di quella Jugoslavia vecchia, marcia, antipopolare e via dicendo ... Davanti alla villa, un piccolo terrazzo ricoperto da un pergolato di edera e come orlato da una ringhiera di ottone. Sotto di essa, una decina di gradini più in giù, una spiaggia in miniatura, piscina e un molo basso per le barchette. A destra dalla villa, circa un centinaio di metri più lontano, comincia l’arco della grande spiaggia di sabbia. Lì dietro essa, nella vegetazione verde e rigogliosa, fanno capolino i tetti e splendono le mura di numerose case di villeggiatura1. Nel terrazzo della villa, ombreggiato e fresco, una piccola compagnia se ne sta in silenzio, annoiata: il ministro Stef Jovanovic, sua cognata, il vice ministro con la moglie, il generale Stevo Navala, poi un un pezzo grosso di qualche istituzione importante, e un altro pezzo grosso indefinito di cui nessuno sa con certezza di cosa si occupi (e il quale tace sempre saggiamente, con un’aria importante), alcune vecchiette e degli anziani e, infine, un assessore all’ufficio personale, il quale osserva severamente e con l’aria sospetta cipressi, mare, barchette e una nuvoletta che si addensa in aria sopra lo spazio della villa. La cognata del ministro (una studentessa che va all’università in macchina) e la moglie del viceministro sono appena tornate dalla città. Hanno fatto una passeggiata in modo orgoglioso, rendendo onore alla vecchia città e al sole sopra di essa e, sventolando i capelli, sono tornate indietro in macchina, facendo scappare alcuni che strisciavano a piedi lungo la strada (i loro nasini, naturalmente, stavano in su come si deve). Adesso entrambe sono sedute in un angolo, non lontano dal ministro, e si raccontano le loro avventure di stamattina. – E chi era quello, quel ciccione bruttino che ti ha salutato vicino alla fontana? – s’interessa la cognata, tra l’altro in età da marito da molto tempo. – Quale ciccione? – inarca il sopracciglio la moglie del vice. – Ah, lui è colonello, è ancora scapolo. – Aaa, un compagno carino, simpatico – strascica le parole la cognata e chiede: - E quel ragazzo bello? Ti ricordi, ti ha fatto un cenno con la mano dal bastione? – Quello? – sussurra acidamente la moglie del vice. Uno studente, amico di mio fratello. – È proprio un insolente – corruga la fronte la cognata. Guarda in un modo così arrogante e ha un’aria un po’ ... Ce n’è di gente poco educata. Si permettono troppa libertà. – Troppa, troppa – concorda la vice.
Non lontano da loro, la grande spiaggia fa rumore, appladuisce e urla. Il generale Navala scende dalle scale silenziosamente, nuota in modo per finta noncurante, dietro il muro, e poi getta un’occhiata sulla villa e, dando dei tonfi nell’acqua, scappa verso la grande spiaggia. Lì lo riconoscono ancora prima che esca dall’acqua e lo accolgono esultando allegramente. – Ah, eccolo, eccolo!
– Oh, finalmente ci si rivede! Vieni qui!
Già dopo un minuto quel generale importante e svogliato com’era in terrazzo si trasforma in un ragazzo sorridente e chiacchierone. Ride di gusto, socchiude gli occhi al sole e chiede ad un giovanotto dal colorito scuro, un suo già corriere: – Senti, Milojica, è possibile trovare un posto da voi nella casa vacanza? Non mi va di stare lì di fronte. – Ci sarà sicuramente. Domani se ne vanno alcuni della nostra azienda. In terrazzo ancora silenzio. Ogni conversazione muore in fretta e di nuovo regna la maestosa noia. – Siete passate per grand’osteria? – chiede il vice alla moglie. – Ma no! Era piena di gente, non potevi trovare nemmeno un posto. – Eh, ma vi è un bellissimo terrazzo, con la vista mare – sospira la cognata. – Li bisognerebbe permettere di entrare solo con dei pass particolari, come in quello nostro, ti ricordi? Così almeno ci sarebbero dei posti, non verrebbe chiunque. – Cosa ci puoi fare! – si scrolla le spalle il vice.
Il compagno ministro tace pensieroso. Da una parte, il cuore lo spinge verso la grande spiaggia, tra la gente, dall’altra, gli pare di perdere qualcosa della sua autorità se si mescola con la gente semplice. Così separato dalla massa sembra a se stesso molto più importante, più bravo e più saggio, un uomo eletto, eppure sente un vuoto nell’anima, come se non fosse nel luogo giusto per lui. Piano e agile, ondeggiando un po’ le anche, si avvicina al ministro il direttore di un grande hotel. Da un paio di giorni si trova lì nell’albergo, un po’ come ospite, un po’ come fornitore principale e consulente. Conosce quasi tutti i ministri, generali e altre “persone importanti”, come dice lui stesso. – Compagno ministro, in una casa di villeggiatura c’è uno splendido biliardo, e a Lei, per quanto ne so io, piace ... comincia lui a bassa voce, sussurrando discretamente. – Forse piace anche ai compagni di quella casa di villeggiatura – involontariamente sfugge al ministro e, come se volesse liberare la propria coscienza, dice decisamente: - No, non occorre. – Non occorre! – come l’eco, approvando, ripete il direttore, e poi, tastando e cercando il modo in cui poteva raddolcire il ministro, gli si avvicina all’orecchio di nuovo e dice mielosamente: - ma come Lei nuota – smack! – fa un segno rumoroso con le labbra e si bacia le punte delle sue tre dita. – Ah, hai visto? – all’improvviso si abbaglia e si rianima il ministo – e non è passata nemmeno una settimana da quando l’ho imparato. – Ed è anche dimagrito abbastanza, è quasi senza la pancia – continua il direttore. Jovanovic, non convinto, misura la sua figura massiccia, e quando il direttore gli conferma un’altra volta la medesima cosa, pare anche a lui stesso di non avere più la pancia. –Eh, si dimagrisce, si dimagrisce.
Il direttore, molto contento, torna indietro in direzione della cucina, mentre il ministro si osserva compiaciuto e sorride. La cognata chiacchierona per un attimo ferma la lingua, allunga il collo e, come se si fosse improvvisamente svegliata, gira di qua e di là la sua testa da scoiattolo. – E dov’è il generale, dove sono?
– Forse sono di là – storce la bocca la moglie paffuta del viceministro e con un pollice, sopra le spalle, indica dove, secondo lei, quel “di là)” porta via, “inghiotte” e irreparabilmente rovina la gente per bene fino a ieri. – Eee, hanno proprio trovato la giusta compagnia! Sta’attento, si sente anche il nitrito di cavalli da lì! – Molto importante – risponde rabbiosa la ragazza e mormora ironicamente, tra sé e sé: - Forse d’estate va di moda corteggiare gli stacanovista. – Può darsi. Attrici e ballerine sono lasciate per la stagione invernale – aggiunge maliziosamente la moglie del vice, prendendo di mira chissa chi della loro compagnia. Sotto la piccola spiaggia si sentono tonfi d’acqua e forte sbuffare barbaro di qualcuno. Una faccia bagnata con prepotenti occhi chiari, arrivata sicuramente dalla spiaggia grande, sbircia curiosa la compagnia solitaria, sale in terrazzo e, battendo con le mani sul costume da pochi soldi, allunga il collo verso il piccolo banco sotto il balcone. La compagnia tace in modo spiacevole e fa finta di non notare l’intruso. Finalmente, si alza l’assessore e s’avvicina allo sconosciuto. – Cosa sta cercando, compagno?
– Hai qualcosa di freddo da bere, qui? – benevolmente chiede il nuovo arrivato, facendo tintinnare le monetine nella tasca bagnata e credendo che l’assessore fosse ospitale padrone di casa. – Qui è vietato ... – inizia seriamente l’assessore, ma il tipo ingegnoso si è già incamminato verso il bar e chiama allegramente il cameriere: – Hei, uno spritz, un po’ più forte, per il fratello.
All’improvviso al ministro qualcosa balena in mente e velocemente getta un’occhiata al visitatore sconosciuto, il quale sta già tornando, servito sgarbatamente al bar. – Sì, è lui.
Ha riconosciuto in lui un gran lavoratore e innovatore al quale personalmente aveva consegnato il premio e la medaglia questa primavera, e ora come se fosse stato scoperto in una compagnia cattiva, ha arrossito e ha piegato la testa per non essere riconosciuto dall’operaio. – Al diavolo, cosa direbbe il tipo se vedesse anche me?! Sua cognata nel frattempo, nella noia mortale, gira la testa sulla sedia a dondolo e chiede: – Perché non portate qui la musica che c’è nel grand’hotel in città? A me qualche volta piacerebbe molto ballare la sera. Il ministro comincia a sentire la rabbia:
– Ma, per piacere, lì ogni sera viene un centinaio di persone. Come fai a prendere da loro la musica e portarla qui, in questa ... questa .. ? La cognata innalza le sopracciglia meravigliata:
– Oh, mio Dio, qui ci sono tutti i compagni responsabili. – Compagni responsabili. E allora? – si irrita Stef Jovanovic, ma nemmeno la cognata si dà per vinta, bensì lo interrompe: – Già, mi avete proprio assicurato una bella vacanza. Chiunque può irrompere qui quando gli pare. E ti ricordi, quando siamo stati qui per la prima volta? – Sì, mi ricordo... E’ stato due anni fa, durante il corso dei “baciuska”2. La cognata si morde la lingua e con malavoglia si gira verso la sua amica, la quale le approva sussurrando: – Non era poi così male quella linea dei baciuska. Non sarà mica meglio questo: oggi durante una conferenza qualsiasi vecchia ti può criticare per il magazzino del ministero. – Ma sì, democrazia socialista – brontola ironicamente la studentessa. – Arrivi all’università in macchina, è già tutti scoppiano d’invidia: la cosa migliore oggi, dicono, è essere cognata del ministro. – Già, vedi...
Sopra l’orlo cementato della spiaggia, spunta dall’acqua una faccia beffarda e furba. Il tono di voce del nuovo arrivato è un po’ più alto di quello solito socialmente accettabile, caratteristico della compagnia di quel terrazzo: – Ehi, vieni qui – dai, ministro, che l’amico ti veda come nuoti. Il ministro balza in piedi, contento di aver occasione per poter dimostrare davanti a qualcuno la sua capacità. La cognata guarda la moglie del vice in modo interrogativo: – Chi sarà ora questo?
– E che ne so, una volta ci siamo conosciuti da qualche parte. E’ un artista: scultore o scrittore, non mi ricordo... Cos’è quello? – chiede la moglie del viceministro al marito. – Eh, cos’è. Batte gli onorari, ecco cos’è! – ruggisce il vice, con fastidio e di mal umore. – E lo rispettano i nostri compagni? – s’interessa la cognata non togliendo lo sguardo dall’ospite. E quello sguardo, interrogatorio e vago, come se dicesse: “Aspetti un attimo che prima vedo chi è, forse Le sorrido anche.” Stef si butta in acqua e muove le braccia. Il suo amico fa un ghigno: – Nuoti male, amico – da pensionato.
Il ministro si aggrotta la fronte, un po’ offeso:
– Sei sempre stato un brontolone. Altri mi dicono che nuoto bene. – Dicono bugie, veramente, non credergli, sei ingrassato, amico, troppo, non va bene così. – Ecco!! – si meraviglia il ministro, ma il viso del suo amico è così aperto e sereno che si mette a ridere anche lui stesso. Nuotano così un po’ insieme, sempre vicino alla riva, finché ad un certo punto il ministro finalmente iniza a lamentarsi: – Mi sono rotto le scatole, amico, in quell’ambiente monotono. Non c’è altra via di uscita, dovrò venire da voi, sulla spiaggia grande, tutti i giorni, o mi trasferirò in qualche luogo di villeggiatura del sindacato. – E non hai paura, forse, per la tua autorità? – interroga, furbo e monello, l’artista. Stef arriva nella parte poco profonda, si raddrizza e con gesto di uno che finalmente vorrebbe liberarsi delle convinzioni non ancora saldamente accettate da lui stesso riguardo al proprio valore superiore, rabbiosamente si bussa nel petto: – E sai cosa, non ho mai schivato la critica aperta del popolo, e non lo farò nemmeno adesso! Che la gente mi dica le cose in faccia, così da vicino, da un passo di distanza! Mentre loro due si perdono nella calca fragorosa della grande spiaggia, lì sul piccolo terrazzo della villa il vice ministro con aria benevole sta ascoltando spiegazione del direttore dell’albergo, il quale ora si sta rivolgendo a lui in qualità del più anziano al momento in tutto il terrazzo: – Sa, se ne sono andati tutti, Lei ora è il più vecchio qui, quindi come Lei ordina ... – Va bene, va bene.
Il più vecchio! Il vice ministro si gira attorno a sé guardando il terrazzo quasi deserto, sprofonda in una poltrona di vimini e s’immerge in grandi sogni. Dapprima fantastica che sua moglie sia morta e lui si sposi con la cognata del ministro, poi diventi il ministro lui stesso, poi il presidente del consiglio, poi ... In fantasie simili, sembra, sono affondati anche altri due accanto a lui, ognuno per conto suo, soltanto che nei loro sogni il ministro è andato da qualche parte nell’industria, e loro, sopra il suo posto, come sopra un gradino, salgono su e vanno avanti. Sogna un pochino anche la bella cognata, solo che, ahimè, non riesce a star tranquilla e a decidere chi sarà suo marito. La scelta è così vasta e attraente e lei, purtroppo, è una sola. E la grande spiaggia strepita in modo impetuoso, esulta, canta e, turbando i loro piani grandiosi, esprime fragorosamente piaceri e desideri accessibili a ciascuno. (1950)
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Note:
[1] Nella Jugoslavia socialista di Tito, esistevano sulla costa adriatica jugoslava case vacanza/alberghi economici dove d’estate alloggiavano a pochi soldi o gratuitamente operai e gente comune di tutto il paese ( n. d. t.) [2] Il nome che gli Jugoslavi davano ai compagni dell’Unione Sovietica. Nel 1948 la Jugoslavia di Tito si è staccata dal “blocco sovietico”, intraprendendo una strada indipendente verso un socialismo auto-gestito (n.d.t.) Traduzione dal serbo-croato: Aleksandra Ivić. Se non ci fosse stato l’attacco diretto del vertice del Partito comunista e del maresciallo Tito in persona, il racconto Una storia eretica di Branko Ćopić (Hašani, Bosnia 1915-Belgrado, 1984), sarebbe considerato soltanto uno fra i numerosi racconti satirici dello scrittore jugoslavo e serbo più letto nel 20 mo secolo. Pubblicato nel 1950 sulla rivista satirica belgradese Il riccio (Jež), subito suscitò reazioni ideologiche fortemente negative nei confronti dell’autore. Giornali e riviste fecero a gara per denigrare sia il racconto che l’autore. Ad un incontro di donne antifasciste, in cui era presente anche la madre dello scrittore, lo stesso Tito si scaglio contro Ćopić, pur assicurando che non sarebbe finito in prigione. Il giorno successivo lo scrittore incollò sulla porta d’ingresso della sua abitazione il ritaglio di uno degli articoli che riportavano sottolineate le parole del capo dello stato sulla sua eresia:“Non lo mettiamo in prigione”. La satira di Ćopić sul divario fra le promesse rivoluzionarie e i comportamenti dei politici comunisti nell’immediato dopo guerra non fu risparmiata neppure da alcuni dei suoi migliori amici. Uno di loro gli rimproverò la falsità dei fatti presentati in Una storia eretica, fino ad affermare che l’autore si era reso estraneo alla verità. In tutte le critiche al racconto di Ćopić non mancavano i riferimenti alla dottrina stalinista e zdanovista sull’arte e sulla letteratura anche se la Jugoslavia si era ufficialmente dissociata dall’influenza di Mosca nel 1948. A tutti gli autori delle critiche lo scrittore rispose con altri racconti satirici. Ne Il giudice con la testa altrui il protagonista è un critico letterario che ciecamente segue la linea della dottrina del realismo socialista. Ćopić scrisse concludendo questo racconto che un tale realismo non esiste come de facto non esiste un pranzo socialista. Ma raggiunse la vetta della critica satirica nel racconto Chi scrive un racconto con il diavolo, in cui Satana sussurra allo scrittore su chi scrivere. Alla pubblicazione del frutto di questi strani sussurri, gli amici dell’autore incominciarono a riconoscersi nel racconto che finiva attribuendo loro una proposta di censura. Una delle critiche più forti (e pericolose) a Ćopić arrivò più tardi da alcuni alti funzionari del Partito perché, secondo loro, aveva scritto una critica che, in realtà, il Partito già stava facendo propria. Ma l’autore di decine di libri di narrativa (anche per l’infanzia), poesie, romanzi, commedie, uno dei rari scrittori che dall’inizio del suo impegno letterario era riuscito a vivere dei prodotti della sua penna, sarà addirittura profetico vent’anni prima della dissoluzione della Jugoslavia. Si tratta della sua lettera a Zija Dizdarević (1916-1942), il suo miglior amico di giovinezza, morto nel lager ustascia di Jasenovac (Croazia). Venne pubblicata come preambolo al volume di racconti fortemente poetic, Il giardino di color malva (1970). Per la sua drammatica bellezza e la profondità del pensiero estetico in relazione con la storia, la propongo intera, nella traduzione di Dragomir Kovačević: Zijo mio caro, So che scrivo una lettera che non può raggiungere il destinatario, ma mi consolo ché sarà letta da qualcuno che ci ama tanto entrambi. E' tarda notte e ho voglia di dormire. A quest'ora di notte, si parla soltanto con i fantasmi e i ricordi, mentre io sto pensando a ragnatele dorate, alle nebbie d'argento dei tuoi racconti, e al terribile destino che ti è capitato a Jasenovac. Io scrivo, mio caro Zijo, ma non sono sicuro che una fine simile non mi colga in questo mondo, in cui ancora girovaga la peste con la falce in mano. Nelle tue notti al chiar di luna, tu hai intuito questo mostro apocalittico con una falce di morte, e ne hai parlato per bocca del tuo eroe Brka. Un giorno tu l'hai avvistato, reale e terreno - il tuo terribile sogno si è realizzato, il tuo incubo. In quegli stessi anni io sono accidentalmente sfuggito al tuo destino, ma da qualche tempo, alla mia scrivania, mi stravolge una premonizione nera; vedo una notte, fredda con le stelle del ghiaccio, in cui mi portano via, chissà dove. Chi sono questi oscuri sicari di forma umana? Sono simili a quelli che avevano portato via te? O i fratelli di coloro che hanno segnato la fine di Goran? Sono forse gli assassini neri di Hasan Kikić? Come da ragazzi, liricamente inebriati, abbiamo pianto insieme sul poeta García Lorca, immaginando dinanzi a noi quell'alba in cui lo portavano via, inesorabilmente, per le strade deserte di Granada. Fui di recente a Granada, guardavo dalla collina il labirinto pietroso delle sue strade sotto il sole, e mi chiedevo: verso dove l'avevano portato? Ancora una volta, in quegli istanti, tu eri accanto a me, molto vicino, e non so chi di noi due allora sussurrò le parole di Lorca, cariche di brivido: "I cavalli neri sono, i ferri sono neri." Si moltiplicano i cavalli e i cavalieri neri nel mondo, i vampiri diurni e notturni, mentre io sto seduto sui miei manoscritti e narro di un giardino color malva, di uomini buoni e ragazzi esaltati. Mi immergo nel fumo di guerra e lì trovo soldati crudeli - ma con cuori di colomba. Prima che mi portino via, mi affretto a raccontare una fiaba sugli uomini. I suoi semi mi si sono piantati nel cuore in tenera età, e germogliano in continuazione e si rinnovano. Sono stati sul fuoco dei molti orrori che ho passato, ma la radice è rimasta vitale ed indistruttibile, esponendo al sole i suoi flebili germogli verdi, il proprio vessillo. Hanno provato a distruggerla le corazze dei carri armati, ma è stata salvata dal palmo di una mano amichevole, che l'ha protetta. Ecco, Zijo, vorrei sussurrare e scrivere la mia fiaba su questo tema. Tu sapresti valutare al meglio che non ho inventato nulla, e che in questo lavoro non si può inventare, e di certo non gente buona e santi guerrieri. Purtroppo, non ho inventato nemmeno gli altri, gli assassini scuri dal volto umano. Di loro non posso e non mi piace parlare. Sento come si moltiplicano e cospirano in questo mondo angusto, li presento per via del freddo gelido che li precede, e mi sembra che, tra un po', verranno a bussare alla porta. E così sia, Zijo... Ciascuno si difende con la propria arma. Ancora non è stata forgiata la sciabola capace di squarciare i nostri chiari di luna, le albe sorridenti e i crepuscoli piangenti. Addio, mio caro. Forse a qualcuno sono ridicoli, questo mio abito antico, la lancia degli antenati in mano, il miserabile ronzino che non promette alcunché per la gara dei trofei. Beh, non si può far niente, è così. Quelle creature nere, che avevano portato via il suo Zijo, Branko non le vide. Ed erano numerose nel periodo degli anni novanta, alcune diventate eroi croati, serbi, mussulmani bosniaci, kosovari… Si suicidò il 26 Marzo 1984. Il ponte sul fiume Sava, quello stesso sotto cui aveva passato la sua prima notte all’arrivo a Belgrado, porta il suo nome: Brankov most (Il ponte di Branko). Le opere di Branko Ćopić sono state tradotte in numerose lingue. In italiano troviamo pochissimo della sua opera in cui è rimasto estraneo ad ogni clichè di rappresentazione della seconda guerra mondiale (che nella Jugoslavia fu anche guerra civile) . In Italia - oltre alla sua favola illustrata più famosa La casetta del ricco (pubblicata dall’Associazione Lipa) e alcune note e frammenti della sua opera apparsi sulle riviste accademiche – nulla d’importante è stato tradotto. Se non fosse stata pubblicata la panoramica della narrativa bosniaco-erzegovese Racconti dalla Bosnia (edizioni Diabasis, Reggio Emilia 2006), a cura di Giacomo Scotti, in cui si trovano tre dei suoi bei racconti, parlare e scrivere di Branko Ćopić sarebbe stata un avventura. Tuttavia, l’enciclopedia Treccani gli ha dedicato alcune righe, malgrado la sordità degli editori del paese più vicino alla ex Jugoslavia sia rimbombante: Branko Ćopić, scrittore serbo (Hasani, Bosnia, 1915 - Belgrado 1984). Narratore prima della guerra (Pod Grmečom "Sotto il Grmeč", 1938, Planinci "I montanari", 1940), divenne poi uno dei più popolari poeti del movimento dei partigiani (Pjesme "Poesie", 1945). Tra le sue opere successive: Izabrane pripovijetke ("Racconti scelti", 1946), Prolom ("La rottura", 1952), Doživljaji Nikoletine Bursača ("Le avventure di Nicolone Bursač", 1956), Gluvi barut ("Sorda polvere da sparo", 1957), Ne tuguj, bronzana stražo ("Non ti rattristare, o guardia di bronzo", 1958), Osma ofanziva ("L'ottava offensiva", 1964), Delije na Bihaću ("Eroi sul Bihać", 1975). Ha scritto anche per l'infanzia (Čarobna šuma "Il bosco incantato", 1957). Nota di Božidar Stanišić
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