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Sagarana OSSERVAZIONE DI UNA SCARPA


Alessandro Trasciatti


OSSERVAZIONE DI UNA SCARPA



Il dott. Pistelli si tolse le scarpe che gli indolenzivano i piedi. Gli piacevano ma erano troppo rigide. Ne prese una in mano soppesandola. Una scarpa fatta non per nasconderli, i piedi, ma per rivestirli di un’armatura quasi sfacciata che pareva dire: “Guardatemi, sono proprio una scarpa e dentro di me alberga un gran bel piede.” Alta fino al malleolo, quattro fori per l’allacciatura, la pianta larga, la punta quadra. Misura quarantaquattro. Due zattere stile inglese marroni e lucide, con riflessi rossicci. Avesse avuto un quaranta o un quarantuno, forse avrebbe scelto un modello meno appariscente. Ma, visto che la natura lo aveva fornito di due piedistalli impossibili da celare, tanto valeva esibirli al massimo. Così aveva optato per quel modello esagerato e incomodo. In verità, mentre le provava, aveva avuto qualche dubbio sull’elasticità della pelle, ma le parole della commessa erano venute a secondare i suoi desideri: “Vedrà che cedono, basta camminarci un po’.”

Era quello che voleva sentirsi dire. La previsione non s’era avverata, ma non importava. Avevano altre funzioni da svolgere oltre quella di rivestire.

Ne osservò i tacchi che l’uso aveva smussato simmetricamente sui lati esterni. Pensò a quei segni precisi di consunzione come a delle impronte digitali. Un esperto avrebbe forse potuto risalire al suo peso corporeo, alla sua altezza, alla lunghezza del passo, alla sua andatura. E già si entrava nel campo della personalità, dal modo di camminare al modo di sentirsi nello spazio e nel tempo. Magari da quegli indizi si sarebbero potuti ricavare anche età, gusti, professione, posizione sociale. Quelle porzioni di materiale mancante erano una carta d’identità in negativo, lo rivelavano per sottrazione, davano significato all’esistente partendo da ciò che era stato distrutto. Si sentì accerchiato, preso in una rete di segni cui non poteva sfuggire. E dire che in altri momenti aveva provato con forza il comune desiderio di lasciare una traccia del proprio passaggio sulla terra, il desiderio di perpetuarsi proprio in un segno, di essere immortale insomma. Adesso, invece, gli sarebbe piaciuto essere trasparente, invisibile, per sfuggire a quel bagno di senso in cui si sentiva immerso.

Non sarebbe servito nemmeno uscire di scena perché il suo gesto estremo avrebbe sempre detto qualcosa a qualcuno. Un interprete era comunque in agguato. Poteva allora tentare la via opposta, quella di mimetizzarsi rendendosi il più opaco possibile, confondendo ad arte gli indizi che disseminava, mandando segnali contraddittori. E se avesse cominciato col calzare le scarpe invertendo la destra con la sinistra?

Guardò la suola di quella che teneva in mano. Gli ricordò la superficie lunare. Davvero sarebbe servito a qualcosa scambiarsi le scarpe?

Con un po’ di fatica fece una prova. Per prima cosa era importante capire come rispondeva il corpo. Un senso di costrizione era inevitabile ma, forse, come diceva la commessa, avrebbero ceduto, bastava camminarci un po’. Figuriamoci, erano rigide a cose normali … Comunque si alzò e fece qualche passo. Si guardò le punte divergenti. Cominciò subito a essere a disagio. Era un tentativo puerile. Sentiva gli alluci premere con forza dall’interno di quegli scrigni oppressivi. Per quanti minuti avrebbe sopportato la morsa delle sue scarpe invertite? E poi non sarebbe servito solo quello per confondere le idee agli altri. Avrebbe dovuto vestirsi, pettinarsi e parlare in maniera incoerente, compiere azioni non riconducibili ad un’unica logica. Uno spreco notevolissimo di energie dal risultato incerto.

Tornò a sedere. Si tolse le scarpe. Ne riprese in mano una. La superficie rifletteva forme indistinte. Forse era il suo viso quella vaga chiazza che mutava aspetto avvicinando agli occhi la scarpa e allontanandola. Fosse stato uno specchio avrebbe potuto formulare qualche quesito di circostanza.

Sapeva bene che quel suo almanaccare non sarebbe approdato a niente. Non ci sarebbe stata nessuna risoluzione per il futuro, neanche immediato, nessun lenimento del suo penoso desidero di non esserci. Avrebbe continuato ancora per un po’, fintanto che l’orologio non avesse indicato l’ora deputata al sonno.

 







Racconto tratto da Il Dottor Pistelli – una vita in ritardo, illustrazioni di Nazareno Giusti – Ottobre 2013 Garfagnana Editrice.




Alessandro Trasciatti

Alessandro Trasciatti (Lucca 1965) si è laureato in letteratura francese, ha fatto l’archivista e il postino. Ha pubblicato Prose per viaggiatori pendolari (Mobydick 2002), La via dell’orco (Trasciatti 2008) e Il dottor Pistelli (Garfagnana editrice 2013). Ha collaborato a «Paragone», «Poesia», «Gente Viaggi», «Il Tirreno». Per alcuni anni ha tenuto un blog letterario da cui è nata l’esperienza editoriale dei «Libratti» e le cui pagine migliori sono state raccolte nei quattro volumi di Stralunario (Del Bucchia 2011).





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