Torna alla homepage

Sagarana IL QUINTO OCCHIO


Monica Dini


IL QUINTO OCCHIO



 
A te affido o Signore,
la mia terza ascella
l’incavo del quarto piede
i capelli della seconda testa
il diciottesimo dito delle mani
le sopracciglia del quinto occhio
il battito del mio secondo cuore.
A te o Signore
affido l’anima del mio gatto.

Preghiera – Monica Dini

 

Quella mattina era partita a piedi da casa facendo una prova: tenere gli occhi inchiodati a terra e riconoscere la strada dai particolari bassi. Anche se era pratica di quei posti non era stato facile. Istruttivo però sì.

 

In questo modo era arrivata fino a casa di Giordano, il suo amico. Da tempo non lo vedeva. Lui viaggiava per lavoro.

 

Era un’amicizia di tipo confuso la loro.

 

Contò i gradini che portavano sulla veranda. Erano cinque, di cotto, verdi di muschio. Il secondo aveva una mezzana sbeccata, mostrava il rosso originario.

Soltanto allora alzò gli occhi e si guardò intorno.

 

Giordano aveva apparecchiato per la colazione sul tavolo nell’angolo della veranda. C’era la teiera blu e il barattolo del miele.

L’aria era quella lucida di settembre.

Miriam sedette senza far rumore. Le piaceva tutto di quella vecchia casa ma in particolare il giardino con la sua quercia secolare, strana lì in città. Un avanzo.

 

-          Eilà!? Buongiorno! Quando sei arrivata?

 

Giordano era apparso con la scatola dei biscotti.

 

-          Ora, sono arrivata ora. Guardavo la quercia … abbracciami un po’ ti prego.

 

Si stringono forte. Dondolano mentre si stringono.

 

Non avevano mai scopato però.

 

-          Già … non se ne può fare a meno. Di guardare la quercia intendo.

-          Logico, avevo capito che non ti riferivi all’abbracciarmi! Come stai?

-          Bene … sono solo un po’ stanco. Anche tu stai bene vero?

-          Sì, tutto nella media.

-          Vuoi dei biscotti?

-          No, solo tè. Grazie, col miele. Devo raccontarti cosa ho fatto venendo, una specie di esperimento: ho camminato da casa mia a qui tenendo gli occhi a terra.

-          Cosa?

-          Sì, sì, hai capito bene, li ho tenuti a terra e ho riconosciuto la strada dai particolari. Ho visto un sacco di cose che di solito non vedo mai.

-          Le cacche dei cani ad esempio?

-          Anche, di tipi diversi. Poi quelle di topo in un angolo vicino al cassonetto. E segni di orina sui muri all’altezza canina e più su all’altezza di umano. E poi: un bottone dorato, una foto tessera irriconoscibile … cartacce, un pezzo di focaccia … un biglietto dell’autobus e una scatola con dentro un paio di scarpe, sotto al cassonetto, pensa erano pulite, le avevano persino riempite di carta per mantenerle in forma.

-          Ecco questo è interessante, senz’altro le scarpe di un morto, un peccato buttarle via ma nemmeno le volevano più in casa, e poi gli sputi … vero?

-          Sì, di diversa consistenza e …

-          No! Ma … complimenti! Interessante argomento a colazione! Brava …

-          E dai, so che non ti scandalizzi, e poi è così tanto tempo che non chiacchiero un po’.

-          Immagino, chi vuoi che ascolti le tue farneticazioni!

-          Non dovresti stare via così a lungo.

-          Ora sono qui … continua …

-          E poi per terra rimangono le strisciate delle ruote, le impronte appiccicose, e i fili delle gomme da masticare calpestate.

-          Di bene in meglio e …?

-          E si vedono gli angoli smussati da chi ha preso male le misure. Magari in bicicletta. E ci si può divertire a immaginare come è andata …

-          Divertente … non dubito.

-          Ho visto anche un massaggiagengive rosa …

-          Un cosa?

-          Un massaggiagengive, un ninnolo che i bambini piccoli si divertono a tenere in bocca.

-          Ah, ecco … dunque sei arrivata fin qui facendo tutte queste osservazioni e non hai investito nessuno?

-          No, si vedono le scarpe della gente che si avvicina di molti tipi e colori, vecchie e … poi si sentono i rumori, si capisce se arriva qualcuno.

-          Va bene, ma il senso di questo tuo esperimento?

-          Vedere il mondo da un altro punto di vista. Non ovvio.

-          E …

-          Allenarsi a guardare anche il resto in modo non ovvio.

-          Di mattina a quest’ora … prendi un altro po’ di tè. Meglio cambiare argomento. Che hai fatto in questi giorni che non c’ero?

-          Le solite cose. Non dovresti stare via per così tanto tempo …

-          Un po’ ripetitiva non credi? Bisogna pure che lavori.

-          Scherzo … e tu? È stato un viaggio produttivo?

-          Produttivo sì, ma un po’ banale. Non mi è venuta in mente questa cosa dell’evitare di guardare in faccia chi avevo intorno … forse poteva rimediare. Hai scritto in questi giorni?

 

Giordano sorride mentre la guarda.

Miriam soffia sul tè.
 

È possibile che ci stiano pensando.

 

-          Non ho scritto ma …

-          Ma?

-          Non ho scritto però ho in mente una storia …

-          E allora? Racconta.

 

Un merlo atterra sul prato. Zampetta.

 

-          La storia di una donna che ritiene di avere vissuto abbastanza.

-          Eccola là una bella storia triste.

-          No, ti sbagli, non che è delusa dal vivere, solo che ha vissuto quanto basta per lei.

-          Può darsi che ci sia differenza …

-          Pensaci …

-          Vorresti dire una che ritiene di avere fatto tutto quello che si era proposta e che quindi può morire? Si può suicidare, perché morire nel senso che dici tu: ecco ora muoio non è possibile. Tipo: ora spengo l’interruttore. In ogni caso suicidarsi è il termine giusto non credi?

-          Smettere di vivere. Il suicidio è il culmine di un travaglio. Smettere di vivere, in questo caso, la conseguenza logica di aver vissuto quanto basta. La protagonista è una donna di una cinquantina d’anni, che ha avuto la prima figlia a sedici, poi magari ne ha avuto un paio di altre. Comunque tutte adulte autosufficienti e lontane da casa.

-          Senza marito? Senza nipoti?

-          Il marito malato con la badante. Malato di Alzheimer. Non la riconosce nemmeno. I nipoti sistemati in scuole di lusso e comunque troppo lontani.

-          Un lavoro, un animale da curare, non ha niente?

-          Ha sempre lavorato in casa, il cane è morto di vecchiaia.

-          Tutti i presupposti per un suicidio dovuto alla solitudine.

-          Facciamo un esperimento. Troviamo un altro punto di vista. Meno ovvio. Come avessimo un quinto occhio.

-          Terzo se mai …

-          No, quinto, il terzo può essere frainteso. È sfruttato da un sacco di divinità.

-          Cosa ti parlo a fare. Aspetta va’ …

 

Giordano avvicina una sedia, ci stende sopra le gambe.

La voce di Miriam è calda e anche il sole di settembre.

 

-          È una storia che voglio sviluppare per il teatro, ho immaginato che questa signora venga invitata a una cena di vecchi compagni di classe. Lei non ha mai partecipato nel corso degli anni a questi incontri. Per la prima volta accetta.

-          Ebbene?

-          La scena si svolge al ristorante dove lei arriva per prima e si siede ad aspettare. Poi arrivano gli ex compagni. Tutti hanno lottato contro il tempo. Le donne: palestrate, capelli tinti, unghie rifatte, labbra al silicone. Rughe al botulino. Gli uomini: rasati a zero, abbronzati. Tanti denti. Giocatori di tennis. Tutti plurisposati. Puoi immaginarli?

 

Giordano chiude gli occhi. Sorride. È un gioco che facevano anche da bambini.

 

-          Aspetta … sì ci sono…

-          Lei è tipo la straordinaria Rina Morelli in Così è se vi pare

-          Magica donna in quella commedia. Ma sempre direi.

-          Ti ricordi vero? Lo sapevo. Ricordi i suoi modi dimessi ma potenti? Una donna così, con i capelli grigi, gli abiti seri, una faccia che sa tutto.

-          Continua.

-          Allora, durante la cena ognuno racconta quello che ha fatto, ma soprattutto i progetti, perché a quelle cene lì di solito si cerca di dimostrare che ne abbiamo ancora di cose da fare. La mia signora racconta la sua vita. Per la prima volta. Saranno le sue parole a far capire che lei ha già fatto tutto quello che si era proposta. Ed è appagata.

-          Appagata? Non felice? Non è facile riuscire a dimostrare che essere appagati è sufficiente a rendere compiuta una vita al punto di lasciarla.

-          Prof nella vita non si è mai felici del tutto …

-          Come mai mi hai chiamato prof ?

-          Perché sei sacciuto, lo dice una mia collega al posto di dire sapiente.

-          Mi piace! Comunque ammesso che tu riesca a dimostrare che è valido il punto di vista di chi soddisfatto della propria vita, desidera lasciarla, come la farai morire? In genere un suicidio non dà l’impressione di un lieto fine.

 

Miriam segue il volo di poche rondini.

Giordano le versa un altro po’ di tè.

 

-          Allora?

-          Allora, qualcosa mi verrà in mente. È sempre così alla fine qualcosa mi viene in mente.

-          Te ne do atto … aspetto di leggere il capolavoro.

-          Starai con me finché non l’avrò finito?

-          E dai! Sinceramente credo che farò in tempo a tornare.

-          Sei crudele! Vieni, andiamo alla quercia.

-          Continuiamo l’esperimento professoressa. Guardiamo per terra fino a là?

-          Sì, dai. Vedrai quante cose.

 

Una cartina d’argento, il guscio bianco trasparente di un grillo, qualche margherita, un funghetto magro magro, una cacca che ipotizzarono essere di riccio, cinque centesimi e tra le radici della quercia una pallina da ping-pong.

Il cielo lo guardarono dopo. Era azzurro come spesso capita in settembre.

Strano però che non l’abbiano mai fatto.

 





Monica Dini

Monica Dini ha pubblicato nel 2009 la sua seconda raccolta di racconti, Leggerezze per Besa editrice.





    Torna alla homepage copertina I Saggi La Narrativa La Poesia Vento Nuovo Nuovi Libri