LE BOCCHE DELLE INFERMIERE Brano tratto dal romanzo Il giorno Elie Wiesel (…) Seguita dal dottore, Kathleen lasciò la stanza in punta di piedi. L’infermiera rimase con me. Avrei dato molto per sapere come fosse: vecchia o giovane, bella o accigliata, bionda o bruna... Ma le palpebre non mi obbedivano. Ogni ripetuto sforzo per sollevarle falliva. A un certo punto, mi dissi che la volontà non bastava più, che dovevo servirmi delle mani. Ma erano legate alle sbarre del letto e c’erano ancora i grossi aghi. «Le faccio due iniezioni», mi annunciò l’infermiera la cui voce non mi fornì alcuna informazione utile. «Due? Perché due?»
«Prima la penicillina. L’altra la farà dormire.» «Non ne ha una terza contro la sete?» Respiravo a fatica. I polmoni stavano per scoppiare: paioli vuoti dimenticati sul fuoco. «Dormirà. Non avrà sete.»
«Non sognerò di avere sete?»
L’infermiera sollevò le coperte.
«Le farò una iniezione contro i sogni.» È gentile, pensai. Ha un cuore d’oro. Soffre quando soffro io. Tace quando ho sete. Tace quando dormo. Tace quando sogno. Probabilmente è giovane, bella, radiosa, attraente. Ha il viso serio e occhi ridenti. La bocca sensuale fatta non per parlare ma per baciare. Proprio come gli occhi della nonna, che le erano stati dati non per guardare, non per meravigliarsi ma semplicemente per piangere. Prima iniezione. Niente. Nessun dolore. Seconda iniezione, nel braccio. Ancora niente. Per quel che mi riguardava, potevano farmi punture fino alla fine dei miei giorni. Me ne infischiavo. Stavo così male persino all’interno del mio essere che non le sentivo. L’infermiera sistemò le coperte, mise le siringhe in una scatola metallica, spinse una sedia e girò un pulsante. «Spengo la luce», disse. «Presto dormirà.» All’improvviso mi venne in mente che anch’ella avrebbe voluto baciarmi prima di andarsene. Un bacio sulla fronte o sulla guancia e forse anche sulle palpebre. Si faceva, negli ospedali. Una brava infermiera bacia i malati dando loro la buonanotte. Non sulla bocca. Sulla fronte, sulla guancia. Per tranquillizzarli. Un malato che una donna vuole baciare crede di essere meno malato. Non sa che le bocche delle infermiere non sono fatte per parlare o per piangere ma per tacere e per baciare i malati perché non abbiano paura di dormire, perché non abbiano paura del buio. Una nuova ondata di sudore mi ricoprì completamente. «Non deve baciarmi», mormorai sottovoce. L’infermiera fece un risolino amichevole. «Certamente no. Fa venire sete.»
Poi abbandonò la stanza. Attesi il sonno. Brano tratto dal romanzo Il giorno, Guanda editrice, Parma 1999. Traduzione di Emanuela Fubini. Eliezer Wiesel (Sighetu Marmației, 30 settembre 1928) è uno scrittore statunitense di cultura ebraica e di lingua francese, sopravvissuto all'Olocausto. Egli è l’autore di 57 libri, incluso La notte un racconto basato sulla sua personale esperienza di prigioniero nei campi di concentramento di Auschwitz, Buna e Buchenwald. Wiesel è anche membro dell’Advisory Board del giornale Algemeiner Journal. Quando Wiesel fu premiato per il Nobel per la Pace nel 1986, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo chiamò il “messaggero per l’umanità”, affermando che attraverso la sua lotta per venire a patti con “la sua personale esperienza della totale umiliazione e del disprezzo per l’umanità a cui aveva assistito nei campi di concentramento di Hitler”, così come il suo “lavoro pratico per la causa della pace, Wiesel aveva consegnato un potente messaggio di “pace, di espiazione e di dignità umana” alla stessa umanità.
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